L’affaire Boccia e il servizietto pubblico

«Ministro, lei prima ha detto che questa vicenda ha turbato la vita di tante persone. Si sente di chiedere scusa, a chi?». È una delle domande che il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci fa al ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano sull’affaire Boccia.

«Guardi, la prima persona a cui mi sento di chiedere scusa, perché poi è una persona eccezionale, è mia moglie». Secondi di silenzio in cui Sangiuliano si commuove. «Poi chiedo scusa a Giorgia Meloni, che mi ha dato fiducia, per l’imbarazzo che ho dato a lei e al Governo. Chiedo scusa ai miei collaboratori che si sentono investiti da questa vicenda». E via avanti.

Morti nel mediterraneo. Gaza. Ucraina. Europa. Crisi climatica. Legge di bilancio. Nulla. Costernati clicchiamo sul play della videointervista del direttore del Tg1 al ministro.

Il tg1. Povero servizio pubblico, da decenni bistrattato, occupato, vilipeso, camuffato. Ma da ieri sera anche degradato a spazio di penitenza dopo il confessionale meloniano, che ha ascoltato il mea culpa del ministro gaffeur per eccellenza. Queste righe non sono su quella vicenda, continuiamo pure a seguirla nelle quotidiane evoluzioni che finiscono in apertura dei giornali on line, con lo spirito giusto, quello della commiserazione per noi cittadini che abbiamo un ministro così, una politica di governo gestita così. È incaricare il tg1 e il suo direttore di raccogliere le lacrime e tremore di mascella del ministro, scuse alla moglie (e finalmente!), compitino di Giorgia Meloni assegnato (mi ha detto di tutta la verità), carte sventagliate a favor di telecamera, non un euro speso degli italiani, dice e speriamo bene che sia così, e questo tono tremebondo, di chi pochi mesi fa con spocchia se la pigliava con l’egemonia culturale della sinistra e altro.

La faccia del direttore del tg1, poi, altra pugnalata, compresa l’ultima domanda. «Ma pensa ancora alle dimissioni?» Figliuolo, sei pentito? Vero che non lo farai più? E nel caso sei pronto al pentimento? ll viso del giornalista era il viso del sacerdote, quello impassibile e però severo che si è confessato almeno qualche volta nella vita ha ben presente. Il sacerdote della linea Meloni che ha voluto questo autodafé in prima serata che porterebbe qualunque persona decente e dignitosa a sparire dalla circolazione, almeno per un qualche tempo. Ma Genny (signore abbi pietà per ripetere il nomignolo che compare sui giornale, giuro che mi pento anche io e non lo faccio più nelle prossime righe) non può nemmeno scappare in un angolo buio del bagno di servizio, perché la presidente del consiglio che ‘sta facendo la storia’, e che livelli di storia!, non se lo può permettere un eventuale rimpasto tenendo conto di Fitto e Santanché, uno verso l’Europa, l’altra verso i possibili rinvii a giudizio.

Un amico giornalista scriveva con sarcasmo che vedere l’Italia catapultata nel peggior film dei Vanzina, mentre il mondo fuori dà il peggio di sé, potrebbe quasi sembrare rassicurante. Sarcasmo amaro. Sangiuliano non ha nemmeno il phisique du role delle guasconate berlusconiane, che non andavano certo a scusarsi sulla nipote di Mubarak, ma sfidavano a mento in su l’evidenza, riuscendoci pure per diverso tempo in parlamento. Che governo e giornalismo piccini, svuotati, nemmeno più sguaiati, ma miseri, di terz’ordine, nell’appiattimento al tabloid, scandalo e caratteri cubitali, nelle pagine web di grandi giornali che sottostanno alla tirannia del click, nel servizio pubblico che diventa la gogna da espiare, richiesta dalla presidente fumantina. Il famoso adagio dice che quando si raschia il fondo del barile si può sempre scavare più in giù. Qui siamo alla politica mineraria, o forse a un governo da mandare. In miniera.