Isca è il mio personale paradiso perduto, il luogo dove mi rifugio quando voglio staccare da ogni routine. E’ una località di mare dal fascino brullo e un po’ decadente come se ne trovano tante sulla costa ionica calabrese, e io me ne sono perdutamente innamorata.
Un piccolo campeggio ciclicamente minacciato dalle mareggiate invernali, la calma languida che natura e assenza di turismo riescono a suscitare, lecci dai tronchi levigati che sembrano volersi tuffare nel mare.
La strada che porta a mare è larga, malandata e poco adatta a passeggiare, con alberi di fichi che come pietre miliari segnano le distanze. Da un grande spiazzo asfaltato si può proseguire tra gli alberi e le sterpaglie per arrivare fin sulla sabbia, in una sorta di vicoletto dove automobili e barche in secca si contendono il poco spazio disponibile.
O si può proseguire ancora, verso uno spettrale campeggio abbandonato i cui piccoli edifici diroccati raccontano di una turismo che non è mai decollato, di una natura che sopravvive nonostante l’incuria dell’uomo e che talvolta grazie ad essa fiorisce di un ritrovato splendore.
Un grande leccio tende la sua ombra fin sul bagnasciuga e ristora i visitatori. L’acqua è cristallina nonostante il fondale sabbioso, subito profonda e fredda. I lidi si trovano a poche centinaia di metri, ma questa piccola insenatura circondata dalla vegetazione li nasconde e, per buona parte dell’anno, regala l’illusione di essere approdati su di un’isola deserta.
Dalla spiaggia una fiumara risale verso il paese vecchio, Isca Superiore, un borgo come tanti altri nella zona, sorto nel Medioevo quando le scorribande dei pirati saraceni obbligarono gli abitanti a rifugiarsi nell’entroterra. Nel 1400 Isca cade sotto l’influenza della vicina Badolato, cittadina più influente che oggi rivive grazie a una pigra e modesta riqualificazione turistica.
Tutti i borghi della zona sono caratterizzati da panorami mozzafiato e da uno spopolamento che appare ormai inesorabile. A Isca i pochi abitanti rimasti ti offrono qualcosa da bere perché sanno che l’unico bar del paese ha chiuso, sono anziani e parlano dei figli. “Dove abitano i vostri figli, signora?” “Sono andati alla Marina”. A me pare di sentire: “Sono andati alla malora”.
Nient’affatto una maledizione scagliata contro i propri figli, piuttosto un’imprecazione contro i tempi che ci troviamo a vivere, incarnati dalla Marina. In malora la Marina! E in malore la fretta, l’assenza di posti di lavoro, il profitto sopra ogni altro valore, l’emigrazione, la malavita organizzata, l’incuria e l’arroganza di chi comanda e di tutti quelli che ci si sono abituati. La Marina come un doppio, proseguimento e negazione delle loro vite.
Il rapporto conflittuale tra le due anime del paese, Isca Marina e Isca Superiore, si scioglie tra le onde della sua spiaggia. Qui sembra che bene e male siano parte dello stesso misterioso progetto superiore. La bellezza naturalistica di questa spiaggia è innegabile; ma senza le piccole e sfortunate vicende umane che la caratterizzano non avrebbe quel fascino solitario e accogliente, ammaliante e decadente che la rende unica.