Autore di film acclamati dalla critica come Faust (Leone d’oro a Venezia nel 2011), Alexander Sokurov torna sugli schermi con uno strano film d’animazione che usa materiali d’archivio per ridare vita a personaggi del passato. Il titolo russo è Skazka, cioè fiaba (Fairytale il titolo internazionale), ed è stato realizzato a partire da spezzoni di repertorio in cui compaiono Stalin, Churchill, Hitler e Mussolini, tutti riuniti in un oltretomba dantesco da cui si trovano a passare perfino Napoleone e Gesù. Presentato a Cannes a maggio, in Italia uscirà il prossimo 22 dicembre e Sokurov lo ha presentato in anteprima il 9 dicembre a Roma. Poco prima era stato in Portogallo. Lo abbiamo incontrato il 14 novembre scorso a Sintra, dove presentava la sua “fiaba” nell’ambito della 16ª edizione del LEFFEST, Lisbon & Sintra Film Festival.
Come nasce l’idea di dar voce a questi uomini di potere, dittatori e no, alcuni dei quali siamo abituati a sentirli solo gridare dai balconi?
«Nasce dalla mia coscienza europea, perché io sono convinto che la mia coscienza appartenga agli europei e non ai russi. Per tutta la vita sono stato perseguitato dalla domanda: come è stato possibile che succedesse quello che è successo in Europa in quegli anni? Mi sono concentrato sui leader politici, perché sono le persone da cui noi dipendiamo in tutto e per tutto. Noi non possiamo fermare il corso degli eventi dopo una decisione presa da leader come questi. Ci mettono davanti al fatto compiuto».
Impossibile non pensare al 24 febbraio di quest’anno e alla decisione di Putin di invadere l’Ucraina. Che fare per tornare almeno alla vigilia di quella data?
«Cosa possiamo fare quando siamo sul bordo di un fiume in piena? Niente. È inutile tentare di correre più veloce del fiume. E mi stupisce che in Europa non si colga la portata di questo evento. In Europa solo Angela Merkel era in grado di capire il rapporto fra Russia ed Europa e fin dove poteva portare questa relazione. La reazione che vedo in Europa è il boicottaggio della cultura russa, ma la cultura e l’arte in Russia non sono mai state al fianco del potere, come la cultura americana non appoggiava la guerra in Vietnam».
Certo, ma la sua presenza qui significa che noi siamo ancora interessati alla cultura russa. Lei prima parlava di Churchill e ora di Merkel, ma per noi oggi Merkel rappresenta Chamberlain, ossia una posizione superata dai fatti, mentre Churchill è colui che aveva capito che Hitler andava sconfitto militarmente.
«Oggi è facile dirlo, ma sarebbe bello trovare qualcuno che fosse capace ora di parlare con Putin, il quale non è un interlocutore facile. Credo che Merkel sia riuscita, a suo tempo, a fare qualcosa per fermarlo. Penso alla liberazione di Chodorkovskij».
Proprio qui a Lisbona lei ha girato il suo film Padre e figlio, in cui il padre del titolo è un ex-militare. Anche lei viene da una famiglia di militari. Cosa c’è di autobiografico? E perché Lisbona?
«Ho scelto Lisbona perché a Lisbona ho capito che cosa significa amare una città. Io penso che una città, per essere bella, debba essere come Lisbona, con i suoi pregi e i suoi difetti: le case piccole e le strade strette, distanze tali da far sì che le persone stiano sempre insieme. Quanto ai militari, io li conosco bene. È un tipo psicologico uguale dappertutto, sia esso americano, russo, portoghese o inglese. Lo trovo un fenomeno stupendo. Una delle caratteristiche di questo tipo psicologico è quella di fare figli molto presto, come se temessero di essere uccisi da giovani».
Dalle immagini che ci arrivano dal fronte ucraino vediamo che Putin ha cercato fino all’ultimo di risparmiare i giovani delle grandi città europee e ha reclutato soprattutto in Siberia, dove lei fra l’altro è nato.
«È vero, i primi a morire sono stati i miei conterranei siberiani, molti dei quali, è bene precisare, sono etnicamente russi, perché in Siberia ci sono varie etnie. Detto questo, però, dobbiamo pensare anche a quanti ucraini stanno morendo. E muoiono nelle loro città. È una disgrazia. Io lo avevo detto nel 2007 che avremmo avuto una guerra con l’Ucraina o con il Kazakistan, ma nessuno ha voluto ascoltarmi».
Il suo film s’intitola “fiaba” e noi, grazie a Vladimir Propp e alla cultura russa, abbiamo imparato che nelle fiabe popolari cambiano i personaggi, ma le storie e le funzioni della fiaba si ripetono uguali a se stesse. È così anche nella storia reale?
«È così. E nessuna fiaba può essere menzogna. I bambini credono nelle fiabe perché sono vere, se percepissero la menzogna smetterebbero di crederci. Ciò che un po’ mi rincuora è che, a parte alcune fiabe più nere (che io non leggo), le fiabe non finiscono mai male».