Valerio ‘Giusva’ Fioravanti firma su L’Unità. Il direttore dell’ex giornale fondato da Antonio Gramsci, Piero Sansonetti, in un editoriale chiede lumi sul perché di tanto scandalo, dopo diverse reazioni social. Ci sono due considerazioni generali che si fa fatica a scrivere, ma vanno scritte.
Fioravanti è un uomo libero, dal punto di vista della giustizia italiana (la stessa di Cospito al 41 bis), dopo calcoli e tabelline che hanno annullato decine di anni ed ergastoli per strage e omicidi, dei quali non si è mai pentito. In calce riportiamo la voce di Wikipedia sul cursus honorum dell’ex terrorista dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, sigla che compare a braccetto spesso con la Banda della Magliana e tutto il triste rosario della strategia della tensione e dello stragismo, servizi segreti protagonisti. Fioravanti è un uomo libero.
Fioravanti è un uomo che ha causato danni e dolore alla società italiana e – pur avendo sempre negato di essere fra gli autori materiali della Strage di Bologna del 2 agosto 1980, per la quale è stato condannato – ha rivendicato 4 degli 8 omicidi contestati, senza pentimento.
Se le prime parole sono quelle della rabbia, legittima, legittimissima, che spesso in un sistema garantista ci dobbiamo trangugiare, esiste una parola semplice da soffiare all’orecchio di Piero Sansonetti: opportunità.
Il timore, neanche tanto sfumato, è che il giornalismo esercitato da tempo da Sansonetti (buon ultimo) sia quello dello stupisci e polemizza. Padrone di farlo, ma il giornalismo è uno strumento fondamentale della tenuta democratica del Paese, mentre nella maggior parte dei casi chi scrive o peggio dirige, pensa di essere dentro logiche esclusive di mercato, o deliri di ego ipertrofico.
Fioravanti, peraltro, fu accusato di aver assaltato a colpi di molotov le redazioni del Messaggero e del Corriere della Sera. Non solo, in un attacco a Radio Città Futura di Roma fu appiccato il fuoco e con altri assalitori vennero sparate raffiche di mitra contro le donne che stavano conducendo una trasmissione femminista, ferendone alcune: sempre fonte della sua biografia criminale.
Che si faccia scrivere Fioravanti su L’Unità è una bestemmia che infanga il ricordo di Antonio Gramsci e da lui fino agli ultimi giorni di quella che fu l’Unità. Questa è la negazione di quella testata storica del giornalismo italiano, quella che veniva stampata, nel ’44, dalle rotative del Corriere per uscire clandestina contro i nazifascisti, per intenderci. Migliaia di morti deportati potrebbero spiegare a Sansonetti cosa si intende per etica.
È importante non lasciar cadere la provocazione come troppe volte è stato fatto: sciocchezze da non commentare, si è detto troppo spesso in passato, e oggi a furia di fare i gentili ci ritroviamo con l’amica di Luigi Ciavardini, altro Nar condannato per strage a Bologna, a presiedere la Commissione Antimafia, Francesco Lollobrigida, il cognato della presidente, a parlare di etnia, loghi che richiamano il littorio, personaggi loschi che vestono gli abiti istituzionali, il fascismo che torna con le parole, le politiche, la protervia dello sconfitto che vuole vendicarsi del progresso della nostra repubblica, nata e fondata sull’antifascismo.
Guardiamo anche in altre direzioni e capiremo come mai se la pianta cattiva, l’erba malata, non la estirpi alla radice, poi torna a infestare. Vox, franchisti, misogini, xenofobi, sono dati al 15% nei sondaggi per il prossimo 23 luglio in Spagna dove si celebreranno le elezioni politiche anticipate. In Francia in questi anni in funzione anti Fronte Nazionale ci si è dovuti turare più volte il naso, ricorrendo a candidati iperliberisti, male minore. L’asse delle destre dall’Italia, Ungheria, probabilmente Spagna, in autunno vedremo la Polonia, potrebbe abbattersi sulle istituzioni europee come una delle più grandi sciagure della storia dell’Unione.
Allora non vale fare spallucce o rimarcare solo i nostri principi garantisti, perché ciò che è legale può essere illegittimo. Perché di fronte ai familiari delle vittime, di stragi e omicidi, la parola opportunità diventa rispetto e ha a che vedere con il concetto di dignità. Perché il silenzio è rispetto.
Ecco perché essere democratici non significa garantire libertà di espressione a prescindere, perché è proprio da quella fessura che rientrano i liquami delle fogne.
Significa curare la democrazia in base non solo ai diritti, sacrosanti, ma anche all’opportunità e legittimità che possano ledere l’equilibrio sociale.
Scrivano pure Fioravanti, Ciavardini, magari contrattino anche i Carminati. Ci troverete sempre a ricordare, da antifascisti, la feccia e il dolore, lo strazio che da terroristi eversivi, e irriducibili, hanno causato.
Da Wikipedia Nella zona di Monteverde fa la conoscenza di un giovane militante missino, Franco Anselmi. Attraverso la sua frequentazione e, anche per seguire da vicino i movimenti del fratello Cristiano, cominciò a passare sempre più tempo nella locale sezione del Movimento Sociale Italiano dove, tra i tanti soci, Valerio fece la conoscenza di Alessandro Alibrandi, figlio del giudice istruttore del Tribunale di Roma Antonio Alibrandi. Assieme ad altri militanti, i fratelli Fioravanti, Anselmi e Alibrandi presero parte a una guerra di bande contro i militanti di sinistra fatta di piccoli e grandi episodi di violenza nei cortei e nelle strade, per il controllo del territorio. La politica sempre più conservatrice dell'apparato dell'MSI li portò, poi, assieme a una parte del movimento giovanile neofascista, verso posizioni non più conciliabili nei confronti del partito di Almirante e verso una politica maggiormente interventista che li avrebbe spinti, di li a poco, a diventare terroristi. Nel 1977, Valerio fu arrestato per il possesso di una pistola calibro 38 special non denunciata, e finì in carcere per quaranta giorni. Sempre in quell'anno partecipò a un'azione di devastazione del cinema romano Rouge et Noir, dove si proiettava il film Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini. Arrestato per danneggiamento e violenza privata, venne trattenuto in cella per alcuni giorni, reo di aver lanciato un tubo Innocenti contro un agente.[20] Invece di iscriversi all'università, decise poi di abbandonare definitivamente gli studi per arruolarsi, nell'aprile del 1977, nell'Esercito, frequentando come allievo ufficiale di complemento la Scuola di Fanteria di Cesano, ammesso pur risultando già implicato in gravissimi reati, per poi essere assegnato alla SMIPAR, la Scuola Militare di Paracadutismo di Pisa.[21] Nei quattro mesi di permanenza a Pisa, tuttavia, si rivelò estremamente insofferente alla disciplina militare, collezionò diverse punizioni e fu infine inviato in Friuli, presso la Brigata Mameli di Spilimbergo dove con il grado di sottotenente di complemento ha comandato un plotone fucilieri dall'8 febbraio al 18 luglio 1978. Durante questo periodo il 28 febbraio era a Roma, a uccidere l'operaio Roberto Scialabba. A maggio, mentre era di guardia alla polveriera, assieme all'amico Alibrandi venuto appositamente da Roma, sottrasse due casse contenenti complessivamente 144 bombe a mano del tipo SRCM che nascose all'esterno della caserma.[11] Una di queste casse fu poi recuperata il giorno seguente da Alibrandi, mentre l'altra venne invece ritrovata dai militari. A ottobre del 1978, Giusva lasciò il carcere militare di Peschiera dov'era detenuto per l'ennesima volta per abbandono del posto e dismise definitivamente la divisa.[22] Il furto delle bombe a mano fu in seguito scoperto e Fioravanti fu quindi condannato dal Tribunale militare di Padova, con sentenza del 14 giugno 1979, a otto mesi di reclusione. Le bombe arrivarono poi a Roma, dove furono utilizzate sia dai terroristi neri del NAR, sia dalla criminalità comune: una fu infatti trovata addosso a un esponente della Banda della Magliana. La lotta armata con i NAR Lo stesso argomento in dettaglio: Nuclei Armati Rivoluzionari. «A me personalmente dava fastidio che non potevamo fare gli scontri con la polizia dalla parte nostra, oppure che la magistratura ci copriva. Era risaputo che i giovani di destra erano figli di papà che rispettavano la legge, che non andavano contro e io volevo uscire da quegli schemi.» (Valerio Fioravanti dalla perizia del prof. F. Introna[23]) Il gruppo originario dei NAR nacque verso la fine del 1977 intorno alla sede del Movimento Sociale Italiano di Monteverde e comprendeva: Valerio, suo fratello Cristiano, Franco Anselmi, Alessandro Alibrandi. Subito a ridosso delle prime azioni, si unì a loro anche Francesca Mambro, una militante neofascista frequentatrice della sede romana del FUAN di via Siena (nel quartiere Nomentano), che da lì a breve divenne la sua fidanzata (e poi sua moglie). «Ci siamo incrociati da bambini, io avevo 9 anni e lei 8. La scena iniziale della Famiglia Benvenuti, uno sceneggiato televisivo degli anni Sessanta, è stata girata alle case popolari, dove viveva Francesca… Volevo fare l’attore, alla fine ho fatto altro. Con Francesca ci siamo conosciuti lì, poi ci siamo incontrati a 15 anni in giro per le sezioni. Non è stato un colpo di fulmine ma un grande amore aiutato da una grande figlia e da una vita tribolata che rinsalda gli affetti.[24]» Il loro rapporto divenne più confidenziale alla fine del 1979: “Lui, già latitante, si recò a trovarla nell'ospedale dove era ricoverata per un'operazione, poi iniziarono a incontrarsi in un giardino vicino alla casa dove lei lavorava come baby sitter. Non ci volle molto perché un'attrazione reciproca già di lunga data, coniugata a un'affinità politica che secondo Francesca fu determinante quanto l'attrazione stessa, li unisse e a compiere il primo passo fu l'impetuosa ragazza.”[20] Le prime azioni del gruppo furono alcuni attentati a colpi di molotov contro sedi di giornali della capitale: il 30 dicembre del 1977 in via dei Serviti, contro Il Messaggero e il 4 gennaio 1979 alla redazione del Corriere della Sera.[25] Il 28 febbraio 1978, per celebrare il terzo anniversario della morte di Miki Mantakas (giovane militante del FUAN assassinato durante una manifestazione), il gruppo compì il suo primo omicidio. A bordo di tre auto, i due fratelli Fioravanti, Franco Anselmi, Alessandro Alibrandi, Dario Pedretti, Francesco Bianco, Paolo Cordaro e Massimo Rodolfo raggiunsero piazza Don Bosco, nei pressi del quartiere Cinecittà, dove tesero un agguato a un piccolo gruppo di militanti comunisti. Roberto Scialabba, un operaio elettricista, fu raggiunto da Valerio che lo colpì a morte da distanza ravvicinata.[26] Il 6 marzo 1978 con il fratello, Franco Anselmi, Alessandro Alibrandi e Francesco Bianco alla guida dell'auto utilizzata per la fuga, rapinò l'armeria dei fratelli Centofanti nella zona di Monteverde a Roma. Durante la fuga, però, Anselmi si attardò all'interno dell'armeria e venne colpito a morte alla schiena dal proprietario dell'armeria. Anselmi divenne poi una sorta di eroe-martire per il resto del gruppo, il quale celebrerà la sua morte con altre rapine ad armerie e firmando i colpi con la sigla Gruppo di fuoco Franco Anselmi.[27] Il 9 gennaio 1979 Fioravanti, insieme ad Alessandro Pucci e Dario Pedretti (e con altre cinque persone di copertura), assaltò la sede romana di Radio Città Futura, dov'era in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. Il gruppo appiccò il fuoco ai locali della radio e sparò colpi di mitra contro quattro ragazze che furono ferite.[28] Il 16 giugno 1979 guidò l'assalto alla sezione del PCI dell'Esquilino, a Roma, dove si teneva un'assemblea congiunta del quartiere e dei ferrovieri, con oltre cinquanta persone presenti. A seguito del lancio di due bombe a mano, nonché svariati colpi di arma da fuoco, rimasero ferite venticinque persone. Nonostante una sentenza passata in giudicato lo abbia condannato per aver guidato il commando, Fioravanti ha sempre negato questo addebito.[29] Verso la fine del 1979, Valerio fece la conoscenza di Gilberto Cavallini, neofascista milanese gravitante nell'orbita ordinovista di Massimiliano Fachini che, proprio in quei mesi, viaggia spesso tra il Veneto e Roma per riciclare dell'oro rapinato da Egidio Giuliani. Il primo incontro tra i due avvenne l'11 dicembre del 1979, in occasione di una rapina, consumata a Tivoli ai danni dell'oreficeria D'Amore, e a cui parteciparono anche Sergio Calore e Bruno Mariani.[30] Il 17 dicembre 1979, un gruppo congiunto di militanti di Terza Posizione e dei NAR formato da Sergio Calore, Antonio d'Inzillo, Bruno Mariani e Antonio Proietti pianificò un agguato ai danni dell'avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura del leader neofascista Pierluigi Concutelli. Fioravanti, che non aveva mai visto la vittima designata e ne conosceva solo una sommaria descrizione, uccise al suo posto il giovane Antonio Leandri.[31] Subito dopo l'omicidio Leandri, Valerio incontrò nuovamente Gilberto Cavallini, conosciuto solo qualche settimana prima e che lo portò con sé in Veneto per sfuggire alle forze dell'ordine, ospitandolo nella casa dove viveva con la sua ragazza, Flavia Sbroiavacca. Il 6 febbraio 1980 Fioravanti e Giorgio Vale uccisero il poliziotto diciannovenne Maurizio Arnesano. Lo scopo dell'omicidio era quello di disarmarlo e d'impadronirsi del suo mitra. «La mattina dell'omicidio Arnesano, Valerio mi disse che un poliziotto gli avrebbe dato un mitra» dichiarerà poi il fratello Cristiano, interrogato dal sostituto procuratore di Roma, il 13 aprile 1981 «io, incredulo, chiesi a che prezzo ed egli mi rispose: "Gratuitamente". Fece un sorriso ed io capii».[32] Il 30 marzo 1980 Fioravanti, Cavallini e la Mambro assaltarono il distretto militare di via Cesarotti a Padova. Un sergente fu ferito e furono rubati 4 mitragliatrici MG 42/59, 5 fucili automatici, pistole e cartucce. Sul muro della caserma, prima di andarsene, Francesca Mambro firmò la rapina con la sigla BR per depistare le indagini.[33] Il 28 maggio 1980 partecipò all'uccisione dell'appuntato di Polizia Francesco Evangelista (detto Serpico), davanti al Liceo classico statale Giulio Cesare. Valerio, Francesca Mambro, Giorgio Vale e Luigi Ciavardini, con Gilberto Cavallini, Mario Rossi e Gabriele De Francisci di copertura, quel giorno vollero disarmare degli agenti e schiaffeggiarli, in modo da ridicolizzare la crescente militarizzazione del territorio da parte delle forze dell'ordine, ma la reazione dei poliziotti, in servizio di vigilanza davanti al liceo, scatenò un conflitto a fuoco che si concluse con l'uccisione di Evangelista e il ferimento di altri due agenti.[34] Il 23 giugno i due NAR Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini assassinarono a Roma il sostituto procuratore Mario Amato[35] che aveva ereditato i fascicoli d'indagine del giudice Vittorio Occorsio e da due anni conduceva le principali inchieste sui movimenti eversivi di destra. Poco tempo prima di essere assassinato, Amato aveva chiesto l'uso di un'auto blindata che però gli era stato negato. All'indomani dell'omicidio, i NAR lo rivendicarono con un volantino recapitato ai principali quotidiani: «Oggi 23 giugno 1980 alle ore 8.05, abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore Mario Amato, per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua squallida esistenza imbottito di piombo. Altri, ancora, pagheranno». Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando «alla visione di una verità d'insieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi». Il processo per l'omicidio di Amato si concluse con la condanna di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro come mandanti e di Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini come esecutori materiali.[36] La strage di Bologna Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Bologna. Il 2 agosto 1980 alle ore 10:25, nella sala d'aspetto di 2ª Classe della Stazione di Bologna Centrale, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose uccidendo ottantacinque persone e ferendone oltre duecento. Il 26 agosto dello stesso anno la Procura della Repubblica di Bologna emise ventotto ordini di cattura nei confronti di altrettanti militanti di gruppi di estrema destra, tra cui Valerio Fioravanti. Il 9 settembre 1980, Valerio e Cristiano Fioravanti, Vale, Mambro e Dario Mariani uccisero Francesco Mangiameli, dirigente di Terza Posizione in Sicilia: secondo la versione di Valerio Fioravanti, Mangiameli era accusato di aver sottratto agli stessi NAR i soldi destinati a organizzare l'evasione del terrorista nero Pierluigi Concutelli.[37] Secondo gli inquirenti bolognesi il delitto sarebbe legato alla strage di Bologna e ciò si ritrova anche nelle dichiarazioni testimoniali.[38] Lentamente e con fatica, attraverso una complicata e discussa vicenda politica e giudiziaria, e grazie alla spinta civile dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 si giunse a una sentenza definitiva: il 23 novembre 1995 Fioravanti fu condannato dalla Corte di cassazione all'ergastolo con l'accusa di essere uno degli esecutori materiali della strage, insieme a Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.[39][40] Fioravanti, Mambro e Ciavardini, anche dopo la condanna in Cassazione e la fine della pena, hanno sempre negato di essere coinvolti nella strage: i tre hanno sempre affermato di trovarsi effettivamente insieme quel giorno, ma a Padova, non a Bologna. Fioravanti ha invece indicato come possibile mandante della strage il leader libico Muʿammar Gheddafi e come esecutori agenti segreti libici o terroristi mercenari, per vendetta contro l'attentato della NATO a Ustica.[41] L'arresto e le condanne Il 5 febbraio 1981 Valerio, insieme ad altri militanti NAR (il fratello Cristiano, Francesca Mambro, Gigi Cavallini, Giorgio Vale e Gabriele De Francisci) stavano tentando di ripescare un borsone di armi precedentemente affidate da Cavallini a un malavitoso comune e poi nascoste da quest'ultimo nel canale Scaricatore, alla periferia di Padova.[42] Durante l'operazione, però, il gruppo fu scoperto da una pattuglia di Carabinieri. Ne nacque un violento conflitto a fuoco al termine del quale Valerio, simulando la resa e approfittando di una distrazione dei militi, sparò uccidendo due militari: Enea Codotto di 25 anni e Luigi Maronese di 23 anni. Prima di essere uccisi, i Carabinieri riuscirono a colpire lo stesso Fioravanti, il quale, gravemente ferito a entrambe le gambe, fu riportato dal resto del gruppo nell'appartamento usato come base e dove, poco dopo, venne arrestato.[43][44] Fioravanti venne quindi processato per diversi reati quali: furto e rapina, violazione di domicilio, sequestro di persona, detenzione illegale di armi, detenzione di stupefacenti, ricettazione, violenza privata, falso, associazione per delinquere, lesioni personali, tentata evasione, banda armata, danneggiamento, tentato omicidio, incendio, sostituzione di persona, strage, calunnia, attentato per finalità terroristiche e di eversione. Dopo sei sentenze della Corte d'Assise d'Appello venne condannato, complessivamente, a 8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi di reclusione.[45] In sede civile, Fioravanti e Mambro furono condannati in primo grado nel 2014 a risarcire 2 134 273 000 euro, da versare alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell'interno, risarcimento che naturalmente non pagheranno mai, non avendone la disponibilità finanziaria e risultando incapienti (cioè nullatenenti). Lo Stato potrà prelevare solo alcune centinaia di euro mensili dai loro stipendi.[46] La pena Dopo 18 anni di detenzione, nel luglio del 1999 fruì del regime di semilibertà per il lavoro esterno, presso l'associazione Nessuno tocchi Caino, con obbligo di rientro serale in cella.[5] Fine pena e altre attività Nel 1997, assieme allo scrittore Pablo Echaurren e all'attrice Francesca D'Aloja ha scritto un film-documentario sul carcere intitolato Piccoli ergastoli e presentato nella sezione "Eventi speciali" del Festival di Venezia quello stesso anno.[47] In occasione della prima proiezione del film, Fioravanti e la Mambro, hanno goduto di un permesso premio di 10 giorni. Dagli anni novanta collabora, come beneficiario di un programma di reinserimento di detenuti, con Nessuno tocchi Caino, l'associazione contro la pena di morte legata al Radicali italiani, associazione della quale è dipendente come impiegato.[48] Nel mese di aprile del 2009, dopo 26 anni scontati in prigione e a cinque anni dal conseguimento della libertà vigilata, è tornato a essere un uomo libero la cui pena è considerata definitivamente estinta.[5][6] Gennaro Mokbel, faccendiere romano al centro dell'inchiesta su un maxi-riciclaggio, sostenne di aver contribuito, anche economicamente, alla libertà di Fioravanti,[49] ma quest'ultimo ha sempre negato l'interessamento dell'uomo.[50] Dal 2021 scrive sul quotidiano Il Riformista nella pagina dedicata a Nessuno tocchi Caino, parlando dei temi dei quali da venti anni si occupa per l'associazione, cioè pena di morte, carcere e giustizia penale negli Stati Uniti d'America e in Iran. Nel maggio 2023 inizia a collaborare[51] con il quotidiano L'Unità.