Joe Kubert è una leggenda del fumetto mainstream statunitense: difficile per un lettore di supereroi non conoscere – o non essersi imbattuti almeno una volta, magari inconsapevolemente – nelle sue iconiche tavole.
Quello che forse non tutti conoscono è l’impegno di Kubert nella realizzazione di un pionieristico lavoro di graphic journalism in 12 volumi, uscito nel 1996 e intitolato Fax da Sarajevo.
Un’opera concepita nei lunghi anni dell’assedio di Sarajevo, tra i più noti e cruenti episodi della guerra in Bosnia-Erzegovina, seguito da Kubert con l’angoscia di sapere coinvolto il suo editore e amico Ervin Rustemagić.
Kubert e Rustemagić si erano conosciuti qualche anno prima in Italia, al Festival di Lucca, dove alla bosniaca Strip Art Features era stato assegnato il premio Yellow Kid 1984 come miglior casa editrice straniera.
Da quel momento, l’intesa di era trasformata in collaborazione – Rustemagić era l’editore di Kubert per l’Europa – e in amicizia, con visite reciproche e vacanze condivise con le rispettive famiglie.
Lo scoppio della guerra e l’assedio di Sarajevo coinvolgono direttamente Rustemagić, che vive e lavorava nella capitale: dal momento in cui per i bosniaci diviene impossibile lasciare la città, Ervin avvia una fitta corrispondenza via fax con Joe e altri amici oltre confine.
Ecco spiegato il titolo del volume, che nobilita uno strumento di comunicazione ormai desueto e abbandonato: negli interminabili mesi di prigionia nella città assediata, infatti, Rustemagić non rinuncerà mai a inviare i suoi fax, anche nelle condizioni più proibitive.
Ma tutto intorno, nel frattempo, crolla. I bambini uccisi dai cecchini nelle strade, le esplosioni delle granate, i carri armati che distruggono le case, le notizie di esecuzioni sommarie e stupri di massa nelle campagne, da una parte i campi di concentramento e dall’altra gli ospedali improvvisati.
La famiglia di Ervin si salva dalla distruzione della propria casa da parte di un carro armato solo grazie a una fortunosa intuizione, cominciando un lungo pellegrinaggio tra case abbandonate, rifugi occasionali e campi profughi allestititi con i mezzi disponibili.
Come il cibo, l’acqua e ogni altro bene di prima necessità, l’elettricità va e viene nella Sarajevo assediata, circostanza che rende spesso impossibile l’invio e la ricezione dei fax.
Ma nonostante tutto, anche assumendosi rischi che altri avrebbero considerato inutili, Rustemagić continua a tenere vivi i suoi legami con il mondo, sapendo che prima o poi avrebbero fatto la differenza tra la vita e la morte.
La ricostruzione che Kubert offre delle vicissitudini dell’amico – elaborata a posteriori nonostante le iniziali resistenze di Ervin, restio a rievocare gli anni tormentati dell’assedio – sorprende per il suo perfetto equilibrio.
Nonostante la ripetitività fisiologica di diverse situazioni, in un contesto che per lunghi periodi si mantiene immutato, la narrazione di Kubert risulta infatti intensa e avvincente, come nei suoi migliori fumetti di avventura.
Uno stile incalzante, tuttavia, pienamente rispettoso della gravità degli eventi narrati, senza enfasi muscolare sulle scene belliche né retorica sentimentalista nei momenti tragici, che pure si susseguono con frequenza.
Lo sapienza con cui Kubert utilizza i migliori strumenti del mestiere restituendo un racconto asciutto ma tutt’altro che freddo si deve probabilmente – come ha osservato acutamente Paolo Interdonato – agli insegnamenti di uno dei suoi più importanti maestri, l’editore e fumettista Harvey Kurtzman.
Fax da Sarajevo è decisamente una lettura adatta sia a chi si avvicina per la prima volta alle terribili vicende della guerra di Bosnia, sia a chi desidera approfondirle da una visuale inedita: una testimonianza di prima mano, arricchita dall’esperienza e dal talento di un maestro del fumetto mondiale.
Per approfondire:
Guardare e ricordare il dolore, il reportage di Cristiano Denanni da Sarajevo
Preghiera nell'assedio, la recensione di Matteo Pioppi del libro di Damir Ovčina