Nuova puntata nelle interviste di Giovanni Giacopuzzi in terra basca. Oggi al suo microfono Mikel Lakuntza segretario generale di ELA dal 2021
Esiste ancora la dialettica capitale lavoro? Domanda retorica leggendo i giornali mainstream, dove grandi ricchezze e lavoro sono annacquati nella fatale fine della storia. In realtà tutti i giorni si osserva che le cose non stanno proprio così. Nel Paese basco la questione è un continuum negli ultimi decenni. Dalla battaglia, vera e propria, contro la riconversione nel cantiere navale di Euskalduna nel 1984 al primo sciopero generale per le 35 ore nel 1999. Un esempio di oggi: nella provincia di Bilbao dopo 300 giornate di sciopero negli ultimi 5 anni, 5000 lavoratrici delle case di riposo hanno chiuso una vertenza con un aumento salariale del 50% rispetto alle colleghe del resto della Spagna, oltre a una riduzione di 180 ore di lavoro all’anno. Questa conflittualità ha per protagonista il sindacalismo basco. Assieme alla Galizia, nel Paese basco la maggioranza sindacale non è rappresentata dai sindacati spagnoli UGT e Comisiones Obreras, ma dai sindacati baschi ELA, LAB ESK Stee lias. ELA rappresenta la maggioranza degli iscritti nelle province basche. 1O3 mila iscritti, il 43% nella comunità autonoma basca.
Incontro Mikel Lakuntza segretario generale di ELA dal 2021 nella sede di Iruna-Pamplona, città guidata da poche settimane dalla sinistra indipendentista basca di EH Bildu ed altre formazioni basche con l’appoggio esterno del PSOE navarro. Mikel, 49 anni, accompagnato dal responsabile comunicazione Ivan Gimenez, risponde alle mie domande con passione, con un malcelato orgoglio del suo sindacato. Sindacato nato nel 1911, in pieno apogeo della rivoluzione industriale, soprattutto nella provincia di Bilbao.
Un storia lunga più di un secolo
«Bisogna capire il contesto della società basca di allora. Una società praticamente rurale, molto cattolica che vede svilupparsi rapidamente, soprattutto in Vizcaya, un potente settore industriale siderurgico. Si stava disegnando una realtà industriale fino ad allora sconosciuta. In questo contesto sociologico di una società rurale e cattolica nasce, alla fine dell’Ottocento , il Partito Nacionalista Vasco e in questo ambito politico nasce il sindacato ELA molto legato al PNV che era l’unico riferimento del nazionalismo basco politico».
Un legame che rimane durante la clandestinità dell’epoca franchista e nei primi anni di post franchismo
«Sì. Però c’è un momento, nel 1976 con il congresso di Euba, dove avviene una riformulazione, vengono prese decisioni organizzative, si adottano nuovi principi e una precisa strategia che pone le basi a quello che oggi è il sindacato. ELA comunque non ha mai avuto una visione corporativista. Già in quel congresso si delineano i suoi riferimenti, che in seguito diverranno centrali: indipendenza politica e finanziaria e definirsi come un contropotere che si doti di uno strumento come la “cassa di resistenza”, di cui ti parlerò».
In quegli anni sostenevate lo statuto di autonomia.
«Sì, ma non era un appoggio entusiasta. Nelle risoluzioni dei congressi del sindacato di allora, lo statuto di autonomia non ha un peso centrale nelle risoluzioni. Si considerava lo statuto, per il contesto storico, come un’opportunità non come una meta finale. La nostra relazione con il PNV è da contestualizzare. Si usciva da quarant’anni di franchismo; si aveva condiviso la clandestinità e inoltre si doveva costruire istituzionalmente un Paese che aveva subito una durissima repressione del regime franchista. E il PNV di allora era capace di una qualche forma di disobbedienza come fu la creazione della Televisione pubblica basca (ETB). Oggi sarebbe impensabile che il PNV faccia una qualsiasi tipo di contestazione allo Stato. Insomma, si prende parte a progetti comuni per dare voce a una popolazione che chiedeva autogoverno. Una scelta che con il tempo verrà rivista. Poi noi allora avevamo un’urgenza. Non avevamo nulla. Dovevamo costruire un sindacato quasi da zero. Aprire sedi, formare quadri sindacali. Diciamo che eravamo centrati su noi stessi. E come ti dicevo partecipare alla costruzione del paese prendendo parte a organismi, di cui siamo stati fondatori che poi si sono dimostrati strumenti del padronato e del Governo».
Quando è nata questa constatazione?
«A metà degli anni 90 il sindacato rivede completamente le sue posizioni perché considera che non servono alla istituzionalizzazione del Paese ma che sono organi posti al servizio del padronato e che il governo utilizza per portare avanti le sue politiche neoliberali. Una revisione quindi totale anche per altri motivi. Il primo che lo statuto di autonomia non viene attuato completamente e nell’atto di Gernika del ottobre 1997 si sancisce che questa epoca, autonomista, è arrivata al capolinea: Sovranismo e denuncia di questo modello autonomista formano parte della nostra strategia sindacale».
E nel 1993 un avvicinamento a LAB il sindacato della sinistra indipendentista
«Pogressivo direi, per un cambiamento del quadro politico e sindacale. LAB era un piccolo sindacato che cresceva costantemente, noi UGT e CCOO eravamo i principali sindacati ed avevamo anche una unità d’azione. ELA vedeva da tempo i limiti di questa unità d’azione. Sia perché noi stavamo cambiando la considerazione dello statuto di autonomia sia per la strategia soprattutto di UGT, che era molto legata alla politica del Governo del PSOE di Felipe Gonzales. Quindi ci fu una presa d’atto quasi naturale con LAB. Comunque non eravamo ancora coscienti della potenzialità di questa relazione.
La vostra scelta era carica di incognite perché rompeva, per la prima volta, quell’isolamento che i patti antiterrorismo di fine anni ‘80 avevano materializzato nei confronti delle organizzazioni della sinistra indipendentista..
«Fu una scelta che ebbe conseguenze. Ci furono molte dimissioni nel sindacato soprattutto in settori come l’Ertzantza (polizia autonoma). Lo stesso presidente della Comunità Autonoma, Ardanza, ci segnalò dicendo “quanti morti ci vogliono ancora affinché ELA riveda la sua scelta di allenza con LAB”. La nostra scelta fu dettata da due questioni. Storicamente ELA criticava ETA e la strategia armata sia politicamente che eticamente. Poi c’era la convinzione che poteva esistere una sinistra basca che lavorasse congiuntamente attraverso una maggioranza sindacale e quindi definire una realtà che in Europa non aveva uguali: costruire uno spazio politico di sinistra che lavorasse con un maggioranza sindacale, basato su due principi sovranista il diritto del popolo basco ha decidere il suo futuro e quindi nell ambito del lavoro un quadro di relazioni lavorative autonomo e un modello di società ispirato ai valori della sinistra, condivisione della ricchezza, servizi pubblici. Questa visione strategica e la scelta di unità con LAB significava dire qui c’è un’altra strada da percorrere. Quindi aprire vie di dialogo, tracciare ponti e risolvere il conflitto attraverso il dialogo».
La vostra strategia sindacale nasce, tra l’altro, dalla constatazione che il PNV che guida le istituzioni basche nella CAV è un partito della destra neoliberista
«Non solo. Noi abbiamo optato per un modello di contropotere sindacale a un politica maggioritaria nelle istituzioni che ha un chiaro orientamento neoliberale. Un contropotere al mondo economico, al mondo impresariale e padronale. Perché il conflitto capitale lavoro esiste. E’ questo di dibattito che noi vogliamo con la sinistra istituzionale politica, mi riferisco a EH Bildu e Podemos perché sembra che la dialettica capitale lavoro sia scomparsa dall’agenda politica. Eppure i fatti lo dimostrano. L’ accumulazione di benefici avviene attraverso una precarizzazione del lavoro. Prendendo come parametro il PIL, dal 1985 ad oggi la rendita da lavoro è passata dal 55% al 47%. 8 punti in percentuali che sono andati ai benefici del padronato. Sono la conflittualità e gli scioperi che rendono visibile questo conflitto capitale lavoro. Questo ha relazione con il fatto che siamo maggioranza, che abbiamo strumenti, la cassa di resistenza e che abbiamo una strategia per sviluppare il contropotere e la conflittualità».
Voi mettete in risalto la funzione dello sciopero.
«Un inciso. Certo che sarebbe più costruttivo risolvere la conflittualità nel mondo del lavoro attorno a un tavolo e discuterne. Ma la realtà è che impongono l’idea di una società armonica e i fatti dimostrano il contrario. Quindi per noi lo sciopero ha la virtù di evidenziare l’esistenza del conflitto capitale-lavoro; propone una soluzione a questo problema di precarizzazione e negative condizioni di lavoro; crea a un riferimento molto importante e rende visibile l’esistenza della classe lavoratrice. Quando vedi lavoratrici che sono protagoniste di 200-300 giorni di sciopero, chi sono? Un collettivo? Una comunità? Sono semplicemente classe lavoratrice. E questo dato di fatto lo mettiamo sul tavolo del confronto con la sinistra istituzionale, EH Bildu e Podemos. Senza una politica redistributiva, senza una politica fiscale incisiva, la possibile cassa di risonanza della nostra azione e presenza nelle istituzioni, scompare, scompaiono le alternative. Lo sciopero è un’opportunità e uno strumento. Quando osserviamo le vertenze vediamo che negli ultimi venti anni più scioperi ci sono, più contratti collettivi si firmano e sempre migliori. Quindi perché dovremmo abbandonare questa strategia? Gli aumenti salariali in Euskal Herria sono il doppio che nel resto dello stato. Il territorio dello stato con il maggiore aumento salariale è Gipuzkoa dove il sindacato ha la maggioranza più grande».
Per questo voi criticate una qualsiasi accordo con il PNV..
«Certo. Noi abbiamo diversi fronti aperti con il PNV rispetto al modello sociale. Il primo è il tema fiscale. Per noi questa materia definisce il modello di società e una sua natura di sinistra. Se osserviamo la politica fiscale del PNV, a partire soprattutto da metà degli anni novanta, osserviamo che ha favorito chiaramente il padronato. Hanno rinunciato a ridistribuire la ricchezza attraverso la politica fiscale. Attraverso deduzioni, esenzioni il padronato ha pagato sempre meno imposte. La media delle principali imprese basche in termini fiscali è attorno al 7%. Di 100 euro che pagano il 93% sono utili netti. E questo è stato reso possibile dalla politica e dalla politica fiscale del governo. Poi le privatizzazioni e la rete clientelare. Lo vediamo, per esempio, nella gestione della sanità pubblica che la maggioranza dell’opinione pubblica basca considera come uno dei problemi principali. Nel settore pubblico è in atto una mobilitazione attraverso vertenze aperte e scioperi. Qui la classe lavoratrice ha perso negli ultimi anni il 20% del potere acquisitivo. Il governo autonomo si difende dicendo che è un problema di competenze perché, dice, è Madrid che decide. però curiosamente il PNV non ha fatto nulla contro questa situazione».
Il governo autonomo dice che la situazione economica nella CAV (Comunità Autonoma Vasca) è migliore rispetto al resto dello stato spagnolo e che non hanno senso questa politica sindacale..
«A loro non entra in testa che la situazione è migliore perché la nostra azione ha apportato strumenti correttivi alla precarizzazione e diminuzione dei salari. i contratti collettivi che abbiamo sono contratti di gran lunga migliori qui con resto dello stato spagnolo e questo si spiega per una tradizione storica di lotta sindacale. Certo qui c’è un tessuto industriale si ma anche in Catalogna e a Madrid o in Asturia e Cantabria».
Negli strumenti della vostra azione sindacale continuate a fare riferimento alla cassa di resitenza. Come funziona..
«Con molto rigore. È, forse, il più importante strumento di solidarietà che c’è in questo paese. 103 mila iscritti e iscritte finanziano una cassa che va a sostegno di chi sciopera. Dei 26 euro mensili che versiamo come quota sindacale, un 25 % va al fondo della cassa di resistenza. Con questo fondo si aiutano lavoratrici e lavoratori iscritti al sindacato che fanno sciopero attraverso due tipi di cassa. La più comune è quella che versa al lavoratore 1389 euro. Poi abbiamo una cassa speciale che consideriamo strategica, che viene utilizzata quando le vertenze hanno a che vedere con con la disparità di genere, con i divari salariali, in vertenze femministe, con vertenze strategiche quelle dove vediamo che saranno lunghe e il cui risultato può diventare referenziale. Poi c’è la cassa rinforzata che arriva a 1597 euro in quelle aziende dove gli iscritti ad ELA sono tra il 30 e il 65%».
La questione del divario retributivo di genere è una delle questioni della condizione della donna nella società
«Abbiamo avuto uno sciopero femminista il 30 novembre scorso organizzato da collettivi femministi associazioni e sindacati. In una intervista alla domanda sull’importanza di questo sciopero ho risposto che basta guardare l’Europa. Avanza l’estrema destra, la mancanza di solidarietà, la xenofobia. E in questo paese gli agenti sociali e il sindacali hanno incluso nella loro agenda politica una cosa tanto importante come il lavoro di cura. E questo è un gran contributo del movimento femminista vista la presenza significativamente maggioritaria delle levoratrici. Nulla di nuovo per noi viste le lotte nelle case di riposo, nei settori dei servizi dove stiamo ottenendo contratti con un aumento del 20%. Perché in una impresa industriale difendere l’IPC è normale per difendere il potere acquisitivo dei salari. Però l’IPC in una impresa dove esiste il divario retributivo di genere non è possibile. Il sindacato deve porre fine a questo divario. Quindi in contratti dove l’aumento dovrebbe essere de 4-5% deve essere del 20%. Questa nostra presenza in settori ad alta presenza femminile ha comportato un cambiamento all’interno del sindacato. Una trasformazione di genere profonda. Una riorganizzazione interna per divenire una organizzazione femminista. Decisioni che sono già state prese. Praticamente nei massimi organi dirigenti del sindacato ci sono più donne che uomini Ma il cambiamento necessita ancora diversi passi».
E sull’Immigrazione?
«Noi vediamo con molta preoccupazione quanto sta avvenendo in Europa. Qui non c’è una estrema destra organizzata politicamente che sia apertamente xenofoba. Il peso di VOX è residuale. Questo non vuol dire che qui non ci siano posizioni xenofobe e razziste. Noi siamo immersi nella società e vediamo ed ascoltiamo. Non possiamo dire che la società basca sia immune e questo lo dobbiamo tenere presente. Se siamo in migliori condizioni rispetto all’ Europa è da mettere in relazione con la cultura di lotta e di rivendicazioni di cui abbiamo parlato in questa intervista. Ti faccio un esempio. A Elorrio in un magazzino in una delle più grandi cooperative basche che è Eroski, che fa parte del Gruppo Mondragon, che i suoi soci cooperativi e i peggiori lavori li sub appalta a lavoratori immigrati. La maggioranza sono africani. Vengono dal sindacato il sindacato li organizza, fanno uno sciopero e firmiamo un contratto. Questo è il nostro modo di affrontare l’immigrazione. Il pericolo maggiore è l’indifferenza dove le idee fasciste trovano spazio e bisogna combattere ideologicamente questa indifferenza. L’immigrazione ha un impatto sulla nostra rivendicazione nazionale, ha un impatto sulla nostra lingua. Però la nostra considerazione è che i lavoratori e lavoratrici immigrate sono parte della classe lavoratrice e che il sindacato ha il dovere di organizzare tutti i lavoratori e lavoratrici al di là della loro provenienza».
La vostra relazione con LAB è in crisi..
«E’ da mettere in relazione al rapporto di LAB con strategia politica della sinistra indipendentista. EH BIldu sostiene che bisogna occupare tutti gli ambiti istituzionali. E LAB sembra scegliere questa strategia quando ne eravamo usciti insieme per la constatazioni che quegli organi di dialogo sociale erano strumenti del Governo e padronato. Applica una logica politica partitica nella pratica sindacale quando sono logiche differenti. Noi non critichiamo che EH Bildu partecipi alle istituzioni. E’ un compito naturale della politica attraverso una propria valutazione e strategia. Ma nell’ambito sindacale sapendo chi controlla questi organi istituzionali non riusciamo a capire il perché. Quello che a suo tempo poteva essere nelle loro strategia, un fronte alleato di ELA LAB, adesso è un problema. Perché la tendenza alla moderazione politica di EH BILDU non contempla una alleanza sindacale che prefiguri un modello sociale di sinistra ,perché si scontra con la politica e gli accordi che stanno facendo».
Che valutazione date del Governo Sanchez
«Quando si analizza la politica del governo Sanchez si deve ponderare e analizzare bene in un’ottica di sinistra. Perché ovviamente c’è un differenza rispetto al quadro europeo dove l’estrema destra continua a guadagnare posizioni e a governare e le politiche neoliberali aumentano. Basta vedere in italia, le tendenze in Germania, Francia etc. Però una delle critiche che facciamo al Governo Sanchez è che le misure adottate sono insufficienti e se poi la valutiamo in una prospettiva basca la situazione è preoccupante. Le poche misure adottate, insufficienti, in materia fiscale provengono dallo Stato spagnolo. Cioé la tassazione delle banche, delle compagnie energetiche, alle grandi fortune trovano opposizione da parte del PNV. Una volta approvate, però, dice voglio gestirle io. Perché? per svuotarle evidentemente. Come fu con le cosiddette “vacanze fiscali”. (NDA Nel biennio 1993-94 il governo autonomo stabili abbassamento della base imponibile grandi e medie imprese per attrarre investimenti nelle province basche misura considerata illegale nel 2000, idalla Commisione europea). Poi la legge sulla riforma del lavoro che avevamo criticato gia nella precedente legislatura. PSOE e Podemos si sono presentati alle ultime elezioni legislative del luglio scorso, dicendo che avrebbe derogato questa riforma del lavoro. E non l’hanno derogata. Una riforma del lavoro è stata accordata con il padronato quindi che prospettive ci possono essere?. Nel merito, ci sono due questioni per noi importanti. Le misure riferite al licenziamento non hanno modificato questa normativa. Le imprese dispongono degli stessi meccanismi per licenziare che avevano prima della riforma. Sia collettivi che individuali. Licenziamenti facili e a basso costo. E il secondo tema, i contratti collettivi baschi. Ovvero che i contratti collettivi approvati nel nostro paese avessero priorità applicativa rispetto a quelli approvati nello stato. Se nlla precedente legislatura l’agenda sociale era stata limitata per la correlazione di forze, adesso lo sarà ancora di più, perché ci sono due forze di destra come PNV e Junts che non faciliteranno certo queste politiche.