Euclid Tsakalotos, il ministro delle finanze di Syriza, in dialogo con Q Code Mag
Nel 2015, secondo The Guardian, aveva «il lavoro meno invidiabile d’Europa». È uno dei nove milioni di greci della diaspora, è nato in Olanda nel 1960, ha studiato economia a Oxford, scrive ascoltando musica gregoriana, ha un umorismo che poggia su citazioni di Voltaire e Orwell. L’inglese è la sua lingua madre, il greco lo parla con accento britannico, tratto sul quale ha costruito il suo personaggio pubblico in Grecia, Paese nel quale si è trasferito a metà anni Novanta per insegnare all’università. Vent’anni dopo, nel 2015, ha sostituito il vulcanico Yanis Varoufakis come ministro delle finanze del governo di sinistra di Syriza e si è trovato a gestire la crisi del debito in un paese la cui economia si era ridotta di un quarto, la famiglia media aveva perso un terzo del suo potere d’acquisto e una persona su tre era senza lavoro. Euclid Tsakalotos parla con Q Code Mag della Grecia odierna, degli insegnamenti della crisi e della sinistra ellenica.
«Le cifre principali sono positive: la crescita è un rimbalzo post-pandemia. I mercati sono più disponibili anche perché il nostro governo ha ristrutturato il debito e abbiamo adottato un tasso d’interesse fisso minore di quello di Spagna e Italia. Ma d’altra parte, il governo (di centro destra, del partito Nuova Democrazia (ND) guidato dal Primo Ministro Mitsotakis, in carica dal 2019, nda) non sta cogliendo l’opportunità per modificare la struttura economica. Gli investimenti, pubblici e privati, sono risibili e si concentrano nei soliti due settori: turismo, con la crescita di AirBnB, e immobiliare».
Il turismo rappresenta un quinto del PIL, un posto di lavoro su quattro e circa la metà delle esportazioni. Ma genera poche entrate fiscali e posti di lavoro pagati male, i salari greci sono tra i più bassi d’Europa.
«La Grecia rimane un paese diseguale. Ricordo nel 2015, quando i ministri delle finanze europei venivano qui ad Atene e vedevano i ristoranti pieni, “dov’è la crisi?” mi chiedevano. È come in America Latina: c’è una parte della società che sta bene e va al ristorante, e un’altra che vive in povertà. Il 40% delle famiglie ha un reddito che finisce nella terza settimana del mese, lo si vede dalle vendite dei supermercati che calano a fine mese».
Voi cosa avreste fatto?
«Non certo dare sussidi alle grandi imprese senza chiedere nulla in cambio, avremmo chiesto investimenti green o nella formazione dei lavoratori. La nostra idea è quella di uno Stato imprenditore, che guidi la transizione energetica, si occupi di politiche sociali e cura del territorio.
Penso al disastro nella Tessaglia dell’estate scorsa, con incendi e allagamenti. Ho proposto di fare come Roosevelt negli Stati Uniti che durante la grande depressione aveva istituito la Tennessee Valley Authority, un’agenzia di sviluppo economico regionale che costruiva infrastrutture, investiva in agricoltura e manifattura. Questa politica di cui parlo per la Tessaglia si potrebbe usare come modello da estendere alle isole o alle montagne della Grecia. Il 40% della popolazione vive nella regione Attica (la regione di Atene, che vale il 45% del PIL; mentre delle 6000 isole solo 227 sono abitate, nda), le nostre zone rurali e montane si stanno svuotando, anche per questo abbiamo più incendi: è più difficile il controllo di un territorio disabitato».
Può un Paese piccolo come la Grecia avere uno Stato imprenditore?
«Non penso allo Stato per costruire aeroplani, ma per promuovere la piccola manifattura, supportare le imprese che esportano. A Londra, negli anni ‘80, era difficile trovare prodotti della gastronomia greca, oggi ne trovi decine. Non si tratta di iniziare da zero, ma costruire legami e promuovere il potenziale esistente».
Nel 2015, Varoufakis si dimise da Ministro delle finanze – in protesta per la firma dell’accordo del governo Tsipras con la troika (FMI, Banca Centrale Europea ed UE) – e lei ne prese il posto. Cosa le sarebbe piaciuto sapere allora che sa oggi?
«Non sapevamo chi prendeva le decisioni, se l’Eurogruppo, i Ministri delle finanze, la troika. Capimmo col tempo che la chiave era creare alleanze. Molti governi, come quello italiano, erano comprensivi ma non volevano mettersi contro Wolfgang Schäuble (il potente ministro delle finanze dei governi Merkel, morto a fine 2023, nda) speravano che sostenendo la sua linea, lui poi chiudesse un occhio con loro».
L’Europea odierna è diversa da quella della crisi greca?
«Certamente. La risposta alla pandemia non è stata nello stile Schäuble: lui ripeteva “implementation, implementation”, riforme liberiste e austerità fiscale. Con il Covid, Francia e Germania hanno rifiutato l’austerity, il patto di stabilita è stato sospeso, il fondo Recovery and Resilience era basato su una sorta di debito pubblico europeo».
Tsakalotos rimase alla guida del ministero dal 2015 al 2019. Di quegli anni ricorda molte brutte giornate, la peggiore nel 2017, quando immaginavano di essere in uscita dal programma di salvaguardia e dovettero invece accettare ulteriori misure di austerity. La giornata migliore la firma sulla ristrutturazione del debito e l’accordo di Prespa che ha risolto le relazioni con la Macedonia del Nord, «i due risultati più importanti del nostro governo», ricorda.
Una critica frequente a Syriza è quella di aver tradito la volontà popolare, dopo il referendum consultivo del 2015, nel quale i cittadini avevano respinto le misure economiche proposte dalla troika, misure poi adottate dal governo con la firma del terzo Memorandum. È questo il vostro peccato originale?
«Il nostro calo di consenso, nonostante la ristrutturazione economica, è stato marginale: abbiamo preso il 31,5% alle elezioni nel 2019. Nel 2015, quando ci siamo insediati, era l’epoca degli Indignados, delle piazze contro l’austerity, in molti volevano vederci fallire per evitare l’effetto contagio. Il risultato del referendum, il 61% di no all’accordo, fu sorprendente. Il giorno dopo, Hollande e Merkel decisero che l’UE non poteva reggere alla Grexit e che c’era bisogno di un compromesso. Il terzo Memorandum era migliore delle proposte precedenti».
Per questa intervista, Tsakalotos ci riceve in Parlamento, nella piccola stanza del gruppo Nuova Sinistra, partito fondato da una decina di parlamentari che hanno abbandonato Syriza in protesta con il nuovo corso del partito e il suo segretario, il 36enne Stefanos Kasselakīs, eletto a settembre 2023 in primarie aperte. Kasselakīs non aveva militato in Syriza, viveva negli Stati Uniti, dove si occupava di finanza e investimenti nel settore navale, la sua sorprendente vittoria è una reazione alla sconfitta elettorale di Syriza nel 2023 “dove abbiamo avuto il 18% e il centro destra di ND il 40%. Lui ha un profilo che funziona nel mondo post-politico, giovane, gay, efficace sui social, ha fatto una campagna che ha convinto chi cercava qualcosa di nuovo. Ma gestisce il partito come fosse un’azienda” afferma l’ex ministro.
La leadership di Kasselakis intanto comincia a scricchiolare. Nel IV congresso di Syriza, svoltosi lo scorso febbraio, il nuovo segretario è stato criticato per il calo di consensi, per lo stile comunicativo giudicato troppo “all’americana” e per voler portare verso il centro un partito tradizionalmente di sinistra. Tsakalotos pensa che Syriza abbia perso la bussola durante l’opposizione, nel periodo 2019-2023, quando Tsipras non ha costruito il partito come organizzazione sociale e d’opposizione.
«La sinistra italiana è forte socialmente e debole elettoralmente, Syriza è esattamente un’immagine allo specchio, vincevamo le elezioni ma eravamo debolissimi nei sindacati e nei gruppi studenteschi. In questo momento, il governo di ND di Mtistotakis è dominante, ma non è egemonico nella società. Per questo serve un’organizzazione di sinistra forte per fare la politica dello Stato imprenditore di cui parlavo, per combattere il post-politico c’è bisogno di un partito dove si discuta liberamente».