Il decreto carceri del governo Letta non risolve i problemi della situazione penitenziaria italiana, ma sembra l’ennesima soluzione tampone che non rimuove le vere cause del dramma sovraffollamento, che sono politiche
di Christian Elia
Qualcosa si muove? Presto per dirlo. Quello che per ora è una certezza è l’ignominia della quale l’Italia si macchia ogni giorno: la Corte ueropea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato il governo italiano per il trattamento disumano che infligge ai suoi detenuti. Più volte, l’ultima a gennaio 2013.
Come potrebbe essere diverso per un sistema carcerario che registra un sovraffollamento di almeno 20mila persone. Quanto una cittadina di provincia.
Il governo Letta, qualche giorno fa, ha presentato il suo piano, nelle mani del ministro degli Interni Cancellieri. Sconto pena maggiore per liberazione anticipata da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata. Liberazione anticipata per chi in custodia cautelare ha una pena residua non oltre i tre anni. Lavoro di pubblica utilità per i tossicodipendenti.
Queste sono alcune delle misure del decreto carceri. Attraverso meccanismi sia in entrata, che in uscita, l’intervento normativo dovrebbe ridurre la popolazione carceraria di 3.500-4.000 persone, secondo le prime stime, in breve tempo. Non basta. Se operativo, questo sarebbe solo un pacchetto di misure-tampone piuttosto per affrontare l’emergenza, ma si resterebbe lontanissimi dai parametri di civilità del resto dell’Unione europea.
Il decreto agirebbe apportando modifiche e aggiunte a diverse norme: l’art. 656 del codice di procedura penale sull’esecuzione delle pene detentive, con ricadute anche sulle disposizioni sulla detenzione domiciliare; la legge sul lavoro all’esterno dei detenuti; il testo unico sulla droga nella parte relativa alla repressione degli illeciti. Una delle misure chiave, prevista nell’articolo 2 del decreto legge, riguarda lo sconto di pena ai fini della liberazione anticipata per i detenuti che danno prova di partecipare all’opera di rieducazione: una detrazione che sale da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontato. Una misura accompagnata da una disposizione transitoria all’art. 4 congegnata per evitare generalizzazioni ed effetti più estesi del necessario.
Quello che serve è un salto culturale, che liberi il Paese di una vision anticostituzionale della pena carceraria. Non ha senso introdurre l’obbligo di formazione, se poi non vengono date le risorse per attuare le attività in carcere. La legge Fini – Giovanardi sulle droghe leggere è una follia che ha riempito le carceri in modo disumano. Ecco quindi la necessità, se si affronta seriamente il tema, di ripensare la cultura penale, in un Paese come l’Italia che mette dentro solo gli ultimi.