Dopo cinque anni, Obama ritorna a casa fortemente ridimensionato. L’ombra dei droni che bombardano l’Afghanistan e il Pakistan ha oscurato il sorriso solare dell’uomo della Speranza
di Nicola Sessa, da Berlino
Berlino è l’unica capitale dove i presidenti Usa in visita sentono di dover fare un discorso: la simbologia della città rimane la stessa, il senso politico è mutato. Non più contesa tra i due mondi del comunismo e del capitalismo (o mondo libero, come si preferisce definirlo), Berlino incarna oggi il ruolo di capitale dell’Unione Europea e al contempo di laboratorio multinazionale a cielo aperto. Quindi, dopo J.F. Kennedy, Ronald Regan e Bill Clinton anche Barack ha sentito la necessità di parlare ai “berlinesi”. Lo aveva già fatto cinque anni fa, quando da candidato alla Casa Bianca passò sotto la colonna della Vittoria, quella dell’angelo dorato, a incassare il plebiscito di 200mila persone, in grandissima maggioranza giovani, che seguivano con trasporto quasi fanatico Mr. Hope.
Dopo cinque anni, Obama ritorna a casa fortemente ridimensionato. L’ombra dei droni che bombardano l’Afghanistan e il Pakistan ha, agli occhi dei berlinesi sensibili a certi argomenti, oscurato il sorriso solare dell’uomo della Speranza. Guantanamo è ancora funzionante a pieno regime e i diritti umani sono più che mai in gioco. Inoltre, lo scandalo Prism sulla intercettazione dati e la proposta del Ttip, il Trattato per il libero commercio, non si sono esattamente srotolati come un tappeto rosso ai piedi di Obama che entrava attraverso la Porta di Brandeburgo.
Indifferenza, fastidio per la blindatura di una vasta area del Mitte e qualche manifestazione di protesta contro la “Stasi 2.0” e Obama raffigurato nei panni di Erich Mielke, il capo degli spioni della Ddr. Così hanno risposto i berlinesi, per nulla curiosi di vedere da vicino l’imperatore.
Andando al sodo: Barack Obama ha parlato a una tribuna di quattromila fortunati invitati per lo più “americanizzati” (studenti di licei o università a stelle e strisce su territorio berlinese) che come “groupies” erano lì sotto il sole cocente a scandire il nome del loro idolo. Solo quattromila spettatori, dunque. Niente a che vedere con il bagno di folla di cinque anni fa. Il discorso in sé è stato a tinte amarcord. Sarà che “Berlino è piena di storia da ogni parte” – come ha detto Barack – sarà che in questa città ci si ricorda dei bei tempi che furono, per questo forse anche le parole di Obama sapevano di naftalina: dai ricordi preliminari del super abusato “Ich bin ein Berliner” di JFK al nocciolo stesso del discorso. Disarmo nucleare, con interlocutore indiretto Mosca. Cose da Guerra Fredda.
Come ha commentato il Berliner Zeitung, Obama ha parlato molto senza dire molto. I colori della speranza rosso-blu si sono sbiaditi. Certo, Barack rimane un grande comunicatore, forse il migliore; e riserva sempre qualche colpo a effetto come quando togliendosi la giacca, ha detto: “Tra amici è permesso essere informali”. Tuttavia, i berlinesi percepiscono che Obama si è trasformato in grand commis dell’Industria America perdendo quel magic touch che aveva raggiunto il cuore di tanti europei persuasi di aver trovato in lui la stella di una nuova era nata sotto il segno della speranza.