Il blockbuster cinese dell’anno è una sorta di “scemo e più scemo” on the road, che ha impallinato al botteghino polpettoni patriottici e presunti successi d’importazione. La sua forza? Racconta le nevrosi della Cina contemporanea ridendoci su.
di Gabriele Battaglia
Ha sbaragliato al botteghino “Vita di Pi” e io finalmente l’ho visto grazie a Swissair sul volo Pechino-Zurigo (pubblicità occulta, speriamo ci diano dei soldi).
È Lost in Thailand, il blockbuster cinese dell’anno che ha già incassato l’equivalente di oltre 200 milioni di dollari dopo esserne costati solo 3.
Racconta la storia di uno stressatissimo chimico-businessman di Pechino, Xu Lang, che inventa una soluzione miracolosa, il “Supergas”: fa dilatare la benzina e la rende quindi più efficiente.
Xu parte per la Thailandia a caccia del maggiore azionista della sua compagnia per avere il finanziamento necessario a lanciare l’invenzione sul mercato. Alle sue calcagna c’è un collega-concorrente che vuole soffiargli la formula, Gao Bo.
Sull’aereo, Xu incontra un totale imbecille, Wang Bao, che di mestiere vende frittelle e che sta andando in vacanza con un inguardabile caschetto biondo, una valigia piena di sogni strampalati, un enorme complesso di Edipo sul groppone e un amore impossibile a fargli da cometa (per l’attrice Fan Bingbing, che esiste davvero).
Dal momento dell’incontro, comincia una commedia on the road piena di situazioni esilaranti dove l’imbecille, come da copione, si rivela grande maestro di vita (una specie di Sancho Panza più stralunato).
Perché è piaciuto così tanto? Io credo che interpreti alla perfezione il difficile momento di transizione che sta vivendo la Cina.
Xu Lang è il lavoratore così fagocitato dalla ricerca del successo personale, che trascura per questo la famiglia. E non è un caso che la sua ragione di vita ruoti tutta attorno agli idrocaburi, la stessa ossessione del suo Paese.
Gao Bo è il concorrente senza scrupoli, votato senza indugi al mors tua vita mea. Entrambi sono vittime del capitalismo completamente deregolato così pervasivo nella Cina di oggi: se non create profitto, siete licenziati in tronco.
Wang Bao è il ragazzo semplice ma pieno di risorse (estrae dal cilindro anche un’insospettabile propensione alle arti marziali, ingrediente imprescindibile di ogni film di successo), che crede nei valori confuciani (la famiglia) ed è devoto buddhista; insomma, sa vivere con creativa lentezza e rispettando gli altri.
Lost in Thailand è il film della Cina che vuole una crescita meno quantitativa e più qualitativa, che cerca un nuovo patto sociale, che rallenta senza per questo volersi fermare. Un Dragone meno autistico e più riflessivo, anche ironico, che cerca nella propria cultura le risorse per aprire una nuova fase.
La gente ride, pensando forse che la caccia al benessere a scapito di tutto e tutti non è il massimo della vita. È un piccolo segno, ma anche una buona notizia non solo per la Cina.
E alla fine, anche un imbecille con il caschetto biondo può avere i suoi dieci minuti di felicità.