02. Prologo in cielo

Massimiliano Hütschenreuther ha quarantatré anni. Suo figlio Giacomo, otto.
Uno dei due fa il cameriere in una pizzeria, l’altro la terza elementare.
Abitano a sei chilometri di distanza, in due quartieri opposti della stessa città.
Questa è la storia di come stanno diventando grandi insieme, un giovedì dopo l’altro.

 

“Il Giovedì” è un’opera di finzione letteraria: qualsiasi riferimento a persone ed eventi realmente esistenti è da considerarsi un’incredibile sfortunata coincidenza.

 
Prologo in cielo
 

Inizia con un’attesa bianca, sedata e ovviamente notturna, mossa dal ritmo di piccole scosse brevi telluriche di un corpo che eri certo di conoscere bene -è la tua donna- e che invece si svela segreto, indecifrabile inconoscibile anche a lei, lei che tuttavia è salda e conta gli intervalli e li scopre sempre più ravvicinati, ritmici, ciclici come traversine di binari sotto un treno che accelera senza fatica perché va dentro la pianura.

Poi qualcuno in camice verde vi dice Andiamo, e voi piccola docile mandria di due obbedite: tu un inadeguato pupazzo che strascica i piedi; lei che è già pronta inflebata e, stesa su un lettino a sei ruote, scivola sotto le lampade al neon come in quell’ultima prima scena di un film di De Palma che hai visto decine di volte e di cui ora non ricordi più nulla, figuriamoci il titolo.

Da lì tutto improvvisamente prende e perde velocità, prende e perde velocità, subisce una spinta che è tutta interna e poi una pressione insostenibile esterna, esplode ed implode come una bomba studiata alla moviola, e ogni cosa è allungata nel tempo, e per questo più densa: i picchi sono dolori assoluti e le depressioni sono sollievi totali, ma capisci presto che sono sempre più brevi.

E a un certo punto infatti l’attimo si ferma, è bello; anche se è una deflagrazione di urla, e sudore, e donne che erano quiete e adesso armeggiano esperte dietro mascherine di garza, lenzuola verdi che diventano rosse e gialle e marroni, linee ECG parallele lei-lui, sovrascarpe in tessuto non tessuto, la sua mano che stringe la tua e lo fa sempre più forte e tu che invece che urlarle Mollamicristo le mormori Stringipiùforteiosonoqui. C’è la tua bocca che le dice Respira, anche se sai che lei non potrebbe fare altrimenti, ché ha gli occhi terrorizzati da intervalli corti sempre più corti sempre più corti, e c’è sangue, lacrime, sudore, muco, sangue, lacrime, feci, sangue e capisci che sei al cospetto di un dolore insostenibile che ti fa sentire totalmente inadeguato impotente, pateticamente maschio, di fronte a un crollo che porta fino all’origine del mondo, a superstringhe che non vibrano ma si scuotono eccentriche; è uno spettacolo spaventoso di sofferenza primordiale, in cui per qualche ignoto motivo cerchi le immagini di una giovinezza che sai che adesso davvero non tornerà più, non sai cosa fare se non ripetere pietoso Respira, ma è così che va e deve andare, perché sei immerso nel terrore, nel panico, sei amore, sei terrore, panico, amore, terrore, amore, panico, amore, amore, amore,

finché non lo vedi:

risorge da una terra di carne che tu stesso hai seminato, ed è rosso, gonfio, ha occhi chiusi serrati come brutti tagli in una bistecca, e ha inesistenti capelli rossicci incollati a un cranio oblungo bagnato, vibra trema tende le braccia apre la bocca, che dentro è rossa di un rosso che non hai mai conosciuto, di carne irrorata dal primissimo sangue. Non hai parole adeguate dentro la testa, così ascolti lei che soffia mentre la cuciono come un costume strappato, piange, le riprendi la mano, e piangi anche tu. Poi qualcos’altro tra voi lancia un suo gemito, ed è una piccolissima voce che nessuno ha mai udito prima, voi siete i primi nell’intero universo, eppure la riconosci, e allora dimentichi tutto, sei nel momento, il qui e ora che non saprai mai raccontare: un essere piange, è Giacomo, e te lo mettono addosso.

Lo guardi; anzi no, lo contempli. È minuscolo, inerme, quasi invertebrato e potresti schiacciarlo con una pressione solo appena più forte di un abbraccio, e invece lo tieni così delicato e impacciato che quasi galleggia nell’aria che hai tra i bicipiti, ed è lì in quell’istante, in quella scelta che fai di non ucciderlo ma averne cura per sempre, che capisci: sei padre.

 

foto per il giovedì 02

 



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