Number 9 – Stop violence at the borders!. Un video-reportage, da Osservatorio Iraq, e una campagna di sensibilizzazione per denunciare le violenze commesse sui migranti alle porte della Fortezza Europa
di Sara Creta, tratto da Osservatorio Iraq
Il Marocco, grazie alla sua collocazione alle porte della Fortezza Europa, riesce ad essere uno degli amici più stretti dell’UE. L’ultima “dichiarazione congiunta” è datata 7 giugno 2013 e riguarda la futura instaurazione di un partenariato di mobilità, che faciliti la concessione dei visti ai marocchini (aumento delle ‘quote’ di ingresso) in cambio della conclusione di un accordo di riammissione per richiedenti asilo e altre categorie “indesiderate”.
Un altro pezzo che completa il puzzle di intese e politiche di buon vicinato strette tra Marocco e Unione Europea, volte ad assicurare sostegno e investimenti alla monarchia, sempre più implicata nella gestione dei flussi migratori.
Dare e avere, questa è la regola.
Il tutto era iniziato con la conferenza euro-mediterranea di Barcellona nel 1995: data che segna l’avvio della politica di cooperazione con i paesi del Nord Africa, finalizzata – più che ad avvicinare concretamente le due rive – a trovare nuovi partner economici e commerciali.
La strategia dispiegata dall’UE, inoltre, è stata quella di costruire affianco a sé degli spazi sicuri, sviluppando politiche selettive e azioni di controllo per combattere il traffico di migranti “irregolari”.
Così, dal processo di Barcellona fino alle prime leggi in materia migratoria siglate nel 2003, il Marocco ha portato avanti politiche sempre più condizionate dalle spinte europee di controllo esternalizzato delle frontiere.
Ma dove sono i diritti fondamentali in tutto questo mare di accordi e relazioni internazionali?
Vivere in un paese che si fa scudo delle direttive europee e che non rispetta tali diritti, non include, ma al contrario viola e discrimina, rende estremamente difficile il passaggio, il transito e la più o meno breve permanenza dei migranti che cercano di entrare, di superare le barriere – naturali e artificiali – che li separano dal Vecchio continente.
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Qui, nonostante i controlli, gli investimenti fatti in dispositivi di monitoraggio delle coste e dei confini, si rischia ancora la vita per attraversare la frontiera.
Dalle colline di Gourougou si vedono l’enclave spagnola di Melilla e la città di Nador, a nord del Marocco. Una manciata di terra che separa l’Europa dall’Africa. C’é una barriera metallica, una frontiera costruita per delimitare gli spazi, per controllare; una recinzione che arriva in alcuni punti a 6 metri di altezza, lunga in totale 12 kilometri. È l’icona della Fortezza Europa.
Chi vive vicino all’enclave di Melilla, nella foresta di Gourougou, deve proteggersi dalle continue violenze messe in atto dalle forze di polizia marocchina e spagnola. Una quotidianità di maltrattamenti (denunciatadi recente anche dalla ong Medecins sans frontières) che è diventata, per chi sopravvive in questa terra di nessuno, l’ossessione che scandisce il tempo.
Ostacolare, impedire, bloccare: azioni, elementi, alla base di queste politiche complici attuate da una parte e dall’altra della valla. Il panorama che si estende ai piedi del promontorio racchiude in sé tutte le difficoltà che esistono per chi vuole attraversare, per chi cerca una via di fuga, un transito.
C’è un muro, a difendere Melilla, che è diventato un filtro. Un passaggio obbligatorio e un tentativo irrinunciabile, forse l’ultimo, per chi sogna l’Europa.
Sono le frontiere stesse che scelgono, decidono, chi far passare e chi mandare indietro. Se sei dentro non possono mandarti fuori, questa è la regola, ma nessuno dalla parte spagnola sembra rispettarla; e quando ti rimettono dall’altra parte, in Marocco, quello che ti aspetta è ancora peggio.
Lo denunciano i migranti bloccati alle porte dell’Europa. Quei migranti che cercano di attraversare il muro organizzando i “salti”, passaggi forzati con scale di fortuna spesso messi in piedi alle prime ore dell’alba. Un flusso umano che prova a ricavarsi una porta d’entrata.
Soluzioni a questa situazione sembrano non esistere. Le leggi non sono rispettate, mentre i segni di violenza rimangono indelebili sui corpi e mostrano l’amara verità di chi ci ha provato e non riesce a sopravvivere. Allucinante.
Clément è lì. Non ha la forza di dire nulla. Immobile davanti alla telecamera, senza parole. Viene caricato in spalla, non parla, non riesce più a respirare, agonizza. L’ultimo soffio di vita: “non ho fatto niente”.
Clément è un “numero 9”. Un centravanti, un attaccante, un giocatore su cui la squadra conta per far gol e vincere la partita. Una metafora calcistica, utilizzata nel gergo dei migranti per identificare colui che è disposto a lasciare il paese d’origine, ad avventurarsi in un lungo viaggio e a rischiare, in nome del proprio futuro e di quello della sua famiglia.
La sua storia, assieme ad altre testimonianze che rivelano il persistere delle violenze alla frontiera tra Melilla e Nador, viene raccontata nel breve documentario realizzato al confine sud della Fortezza Europa, con il supporto dell’associazione ALECMA (Association de lutte contre l’émigration clandestine au Maroc). Sono 15 minuti duri, quelli racchiusi nel video-reportage Number 9 – Stop violence at the borders! 15 minuti per dire basta, non è più tempo di voltare lo sguardo altrove, ma di conoscere e di assumerci le nostre responsabilità.
Number 9, infatti, è anche il titolo di una campagna che cerca di far luce e attirare l’attenzione sulle condizioni vissute dai migranti sub-sahariani nel regno alawita e nelle enclave spagnole (Ceuta, Melilla) situate nella costa mediterranea meridionale.
L’iniziativa – lanciata lo scorso 28 giugno a Rabat dalle associazioni marocchine ALECMA, GADEM, FMAS e AMDH – denuncia gli accordi di “mobilità” discriminatori conclusi il 7 giugno, oltre alla complicità tra Spagna e Marocco nella repressione del fenomeno migratorio.
La campagna chiede anche la fine immediata delle violazioni commesse in entrambi i lati della frontiera e delle ritorsioni subite – ad opera della polizia del regno – dai sub-sahariani in attesa di transito nelle regioni settentrionali del paese.
Ritorsioni come quelle che hanno provocato la morte Clément, cittadino camerunese deceduto alle porte d’Europa il 16 marzo 2013 a causa delle ferite riportate al cranio e agli arti.
Clément aveva tentato il “passaggio” qualche giorno prima, senza fortuna. Fermato dagli agenti marocchini, era stato pestato selvaggiamente prima di essere trasferito all’ospedale di Nador. Debole e malridotto, era stato poi dimesso e riportato agli accampamenti sul monte Gourougou, dove ha concluso la sua agonia.
Il documentario è dedicato alla sua memoria. La campagna Number 9, invece, vuole essere uno strumento di pressione per spingere le autorità marocchine ad aprire un’inchiesta ufficiale sulla sua morte.