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[author] [author_image timthumb=’on’]https://fbcdn-sphotos-b-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn2/208826_10151525732097904_583330344_n.jpg[/author_image] [author_info]Leonardo Brogioni, fotografo, fondatore di Polifemo. Per QCodeMag autore della rubrica HarryPopper[/author_info] [/author]
Come già scritto nell’introduzione a questa serie di articoli sulla street photography (che vi invito a leggere), ecco il primo autore che vi propongo.
Michael Ernest Sweet è un insegnante, uno scrittore e un fotografo che vive tra Montreal e New York. Di seguito le sue immagini e le sue parole nell’intervista che mi ha gentilmente rilasciato.
D Secondo te che cos’è la street photography? Perché ti dedichi alla street photography e non al fotogiornalismo o al ritratto fotografico o ad altri tipi di fotografia?
R In primo luogo io mi dedico ad altre forme di fotografia oltre che alla street photography. Ma pare proprio che la street photography sia quella per la quale sono più noto, almeno in questo momento. E io la preferisco in qualche modo, perchè mi piace stare fuori per strada. Non sono un fan dello studio. Mi piace star fuori a passeggiare e scoprire cose nuove. La street photography per me è questo, vagare per le strade alla scoperta della città, anzi del mondo, con una macchina fotografica in mano. Non sono neanche un grande sostenitore del termine “street photography”, ma lo uso perché è quello compreso dalla maggior parte delle persone. Penso che anche la fotografia documentaria o il fotogiornalismo siano “street photography”, nel senso che si è sempre per strada. Per quanto riguarda la fotografia di ritratto è qualcosa che sto facendo per lavoro, proprio ora, ma non ho ancora mostrato niente pubblicamente. Ho due nuovi libri di street photography in uscita in questo periodo e così la mia attenzione (almeno pubblicamente) rimarrà sulla street photography, per ora.
D Qualcuno dice che la street photography è lontana dalla narrazione, sei d’accordo? Come scrittore hai deciso di dedicarti alla street photography per sperimentare qualcosa di diverso dal racconto?
R Sono completamente in disaccordo. La street photography, come ogni fotografia, se è buona racconta una storia. Come può una fotografia non raccontare una storia. Penso di aver scelto la fotografia in generale perché sono uno scrittore – un narratore – ed essa mi permette di esprimere una storia in un’altra forma. Chi ha detto che la street photography non è una forma di narrazione ha una scarsa comprensione della street photography in particolare e della fotografia in generale.
D Le tue fotografie sono piene di dettagli e di particolari: perché? Cosa cerchi in essi?
R Le mie fotografie sono frammenti, sì. Cerco pezzi di immagini familiari. Tutti possono immaginare qualcuno che cammina sulla 5th Avenue a New York. Abbiamo visto tutti queste immagini iconiche. Volevo fare qualcosa di diverso con le mie fotografie così mi sono concentrato sui particolari delle persone – l’intrusione di un gomito o una gamba vagante o una borsa svolazzante … queste sono le cose che forse non siamo così abituati a vedere sulla 5th Avenue. Queste sono le fotografie che non sono così ordinarie. Penso che la gente guardi le mie immagini e spesso dica … Eh? … Oh, adesso capisco … Sì, è la borsa di un’anziana donna, è la rotula di un uomo. Sì. Questo è ciò che voglio nella reazione dei miei spettatori. Voglio che le mie immagini siano diverse dagli scatti tradizionali dei volti delle persone. Non trovo nessun tipo di interesse nei volti casuali di sconosciuti, ma questo è ciò che penso io.
D I soggetti delle tue fotografie sono persone normali, ma appaiono come strani personaggi: sei d’accordo? È questa la tua opinione della popolazione statunitense o canadese?
R Beh, sono molto fortunato a vivere in due città meravigliose e uniche – Montreal e New York. Entrambe sono piene di personaggi. Sì, sono normali sconosciuti, ma sono anche unici a modo loro. È facile trovare queste persone in queste città. Penso che il mio approccio, quello del frammento umano, aiuti anche ad accentuare quella stranezza che vediamo. Penso che in qualche modo la popolazione canadese e quella americana siano abbastanza comuni e poco interessanti … ma non è così per le popolazioni di Montreal e di New York … sicuramente è più facile trovare “personaggi” in queste città. Dopo tutto questi personaggi hanno reso Bruce Gilden un uomo famoso.
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D Secondo te cosa deve avere una fotografia per essere considerata “buona”?
R Penso che le buone fotografie siano quelle foto che raccontano una storia, che parlano allo spettatore e gli dicono qualcosa … qualsiasi cosa. Ho appena finito di fare il giudice in un concorso di street photography in Italia e quando ho dovuto eliminare le immagini restringendo la mia scelta, l’ho fatto scartando le fotografie che non mi dicevano niente. Guardavo una foto e se entro un secondo o giù di lì non mi diceva niente la buttavo. Ciò ha contribuito ad eliminare un gran numero di immagini. Poi, se una foto mi dice qualcosa, inizio a guardare aspetti più tecnici, come la composizione, la messa a fuoco, la resa dei colori, il contrasto, etc. Non so te ma io non sono un purista in questo senso. Non mi dispiace una fotografia che è fuori fuoco, con un inquadratura casuale o molto contrastata. Ti suona familiare? (Ride). Mi piace rompere le regole e ammiro quest’atteggiamento anche nel lavoro di altre persone. Nel mondo ci sono troppe fotografie perfette, non mi interessano. Voglio qualcosa di grintoso, qualcosa di tagliente, qualcosa di diverso e unico.
D Nella tua biografia si legge che dividi il tuo tempo tra Montreal e New York, quali sono le differenze sociali e culturali tra queste due città?
R Montreal e New York sono città completamente diverse. Sono due mondi a parte, anche se sono separate solo da sei ore di macchina. Sono molto fortunato a vivere in queste due città. La persona a cui sono legato sentimentalmente lavora a New York, io lavoro a Montreal ed entrambi viviamo in due città. Tutti e due amiamo questa situazione perché ci rende possibile la conoscenza di due delle migliori città del Nord America. Montreal è molto “laissez-faire” e New York è proprio l’opposto – tutti corrono in giro e cercano di fare almeno tre lavori. Montreal è molto europea, nel suo aspetto, nella sua atmosfera, nella sua gente. New York è la quintessenza della cultura nordamericana – il “sogno americano”. A Montreal si lavora 30 o 35 ore alla settimana e poi ci dedichiamo al cibo, al vino e al relax. A New York la gente lavora fino a tarda sera e raramente la vedi in una terrazza con una bottiglia di vino nel tardo pomeriggio. Come dicevo, due mondi diversi. E li amo entrambi. Una cosa che vorrei sottolineare però sono le norme che riguardano la street photography. In Quebec abbiamo una legge che protegge l’immagine delle persone anche quando sono in un luogo pubblico. Quindi, in teoria, se qualcuno diventa il soggetto di una foto è necessaria la sua liberatoria per la pubblicazione. A New York invece in un luogo pubblico è possibile fotografare chi o cosa si desidera e ciò è permesso se usi l’immagine come prodotto artistico (e non per scopi commerciali). Questo, ovviamente, rende il mio lavoro a New York molto più facile. A Montreal mi concentro più sui dettagli che non includono il volto. Sennò infrango la legge.
D Tu sei un insegnante, uno scrittore e un fotografo: come riesci a conciliare queste tre attività?
R Essere insegnante, scrittore e fotografo é facile. Sono attività che si combinano bene. Sono tutte e tre “arti”. E io le amo tutte allo stesso modo. Il mio lavoro quotidiano come insegnante si svolge in una piccola scuola alternativa per bambini in difficoltà. Abbiamo solo 25 alunni in tutta la scuola. Quindi non sono il tipico insegnante, ma la mia è un’attività molto gratificante. Con i bambini riesco a fare un sacco di cose molto divertenti, usando anche la scrittura e la fotografia. Sono fortunato perché il mio è un impiego pubblico, quindi lo stipendio è molto buono e ho quasi tredici settimane di ferie retribuite ogni anno. Questo mi permette di avere tempo e denaro per dedicarmi alle mie altre attività, come la fotografia. Penso che ognuna di queste attività sostenga l’altra. Non potrei essere un buon fotografo o un bravo scrittore se dovessi lavorare 40 o 50 ore alla settimana come dipendente di un’azienda. Mi ucciderebbe. Sicuramente. Mi dispiace per le persone che invece sono schiave di questo sistema economico. Perdono la loro capacità di soddisfare la creatività insita in ogni essere umano. Forse non se ne pentono nell’immediato, ma alla fine lo faranno.
D Come approcci i tuoi soggetti? Ti consideri un fotografo invadente come Mark Cohen? Hai un codice etico o sei d’accordo con Bruce Gilden quando dice “Io non ho etica!”?
R Mi avvicino ai miei soggetti secondo la situazione che mi si presenta davanti. Non ho paura delle persone, né di star loro vicino. Tuttavia non sono aggressivo nel mio approccio solo per imitare qualcuno, Cohen o Gilden che sia. Sono molto discreto. Lavoro vicino, a volte a distanza di cinque centimetri, ma spesso la persona non si accorge della mia presenza o della mia macchina fotografica. Uso sempre una fotocamera Ricoh GR che è molto piccola, discreta e veloce. La Ricoh non ha rivali nel lavoro in strada. Devo dire che conosco Bruce Gilden e l’ho visto lavorare qui per le strade di New York, lui non è veramente “senza etica”. Si atteggia a cattivo, ma in realtà è una persona simpatica e alla mano. Ho visto Bruce diverse volte ringraziare le persone dopo aver scattato loro una foto e il più delle volte è davvero premuroso. Penso che con il suo atteggiamento da stronzo abbia fallito e, beh, volevo solo far notare che lui in realtà non è proprio così. Mark Cohen, invece, è un po’ irritante. Ho scambiato lettere ed e-mail con lui un paio di volte e certamente può essere considerato bizzarro. Stimo il suo lavoro anche perché mi ha influenzato molto. Quindi, in conclusione (lo so, sto divagando) no, non ho un codice etico, ma cerco di essere il più possibile gentile e amichevole ma, a ciò non resisto, farò anche di tutto per ottenere la mia fotografia.
Grazie Michael!
Chi fosse interessato a conoscerlo meglio può visitare il suo sito internet michaelsweetphotography.com o seguirlo su Twitter @28mmphotos
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### ENGLISH (ORIGINAL) VERSION ###
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Street photography: interview with Michael Ernest Sweet
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Q In your opinion what is street photography? Why do you practice street photography and not photojournalism or portrait photography or other forms of photography?
A Firstly, I do practice other forms of photography aside from street photography. It just seems that street photography is what I am most noted for at least at this moment. I also prefer it in some ways as I love to be out in the streets. I’m not a fan of the studio. I like to be out wandering around and discovering new things. Street photography for me is just that, wandering through the streets discovering the city, indeed the world, with a camera in hand. I’m not a big fan of the term “street photography” but I use it because it is what most people understand. I think that documentary photography or photojournalism is also about “street photography” in the sense that we are still out in the streets. As for portrait photography it is something that I am doing some work on just now but I have not shown anything publicly as of yet. I have two new books of street photography forthcoming and so my focus (at least publicly) will remain on street photography for now.
Q Someone tells that street photography is far away from story telling, do you agree? As a writer did you choose to take street photos to do something different from story telling?
A I disagree completely. Street photography, any photography if it is good tells a story. How can a photograph not tell a story. I think I chose photography in general because I am a writer – a storyteller – and this allows me another form of expressing story. Someone who would say that street photography is not storytelling has a very poor understanding of street photography specifically and photography in general.
Q Your pictures are full of particulars and details: why? What are you looking for?
A My photographs are fragments, yes. I look for bits and pieces of familiar images. Everyone can imagine someone walking down 5th avenue in New York City. We have all seen those iconic images. I wanted to do something different with my photography so I focused in on the fragments of people – a intruding elbow or a stray leg or a flapping handbag … these are the things that maybe we are not so used to seeing on 5th Avenue. These are the photographs that are not so ordinary. I think people look at my images and often say hmm? Oh, now I see … yes, it’s an old woman’s handbag and a man’s kneecap. Yes. That’s what I want in a reaction from my viewers. I want my images to be different from the mainstream shots of people’s faces. I find no interest in the faces of random strangers, but that’s just me.
Q Subjects of your pictures are common people but they look like strange characters: do you agree? Is this your opinion of american or canadian population?
Well I am very fortunate to live in two wonderful and unique cities – Montreal and New York. They are both full of characters. Yes, they are ordinary strangers but they are also unique in their own ways. It’s easy to search these people out in these cities. I think my approach, of the human fragment, also helps to accentuate that strangeness that we see. I think that in some ways the Canadian and American populations are quite normal and uninteresting … but not so with the Montreal and New York populations… definitely easier to find “characters” in these cities. After all those characters made Bruce Gilden a famous man.
A In your opinion what must have a picture to be considered “good”? (when a picture is “good”?)
I think good photographs are photographs that tell a story, that speak to the viewer and say something… anything. I just finished judging a street photography contest in Italy actually and when I was weeding out the images and narrowing down my selection I did so by eliminating photographs that did not speak to me. I could look at a photo and if within a second or so it did not “speak” I would just eliminate it. This helped in eliminating a great number of images. Next, when a photo does speak to me, I then look for other more technical things such as composition, focus, color rendering, shading etc. Mind you, I am not a purest in this sense. I don’t mind a photograph which is out of focus, haphazardly framed and heavy on say contrast. Sound familiar? (Laughing). I love to break rules and I admire that in other people’s work too. The world has too many pretty photographs, they don’t interest me. I want something gritty, something edgy, something different and unique.
Q Your bio says “Michael divides his time between Montreal and New York City”: are there some cultural or social difference in this cities? What are them?
A Montreal and New York are completely different cities. They are worlds apart even though one can drive between them in just six hours. I am so fortunate to live in these two cities. My partner works in New York and I work in Montreal and we both live in the two cities. We both love this arrangement too as we both get access to two of North America’s best cities. Montreal is very “laissez-faire” and New York is just the opposite – everyone rushing around and trying to work three jobs. Montreal is very European in its look, its feel, its people. New York is the epitome of North American culture – the “American Dream”. In Montreal we work 30 or 35 hours per week and then we enjoy food and wine and relaxation. In New York people work until the late evening and rarely hit a terrace with a bottle of wine in the late afternoon. As I’ve said, two different worlds. And, I love them both. One thing I would note though is the laws regarding street photography. In Quebec we have a charter which protects people’s image even when they are in public. So, theoretically, if someone if the subject of a photo you need their permission. Period. In New York, on the other hand, you can photograph anyone or anything you want in public and as long as you are using it as art ( and not for commercial purposes) it’s permitted. This, of course, makes working in New York a lot easier for me. In Montreal I focus more on fragments which do not include the face. Or I break the law.
Q You are an educator, a writer and a street photographer: how can you combine this three activities?
A Being an educator, writer and photographer is easy. The three combine well. They are all “arts”. I love all of them equally too. My day job as an educator is in a small alternative school for troubled kids. We only have 25 students in the whole school. So, I am not your typical teacher but it’s a very rewarding career. I get to do all kinds of fun things with kids including writing and photography. I’m lucky in that my job is also a government position so the pay is very good and the paid leave from my position is nearly 13 weeks per year. This allows me the money and the time to do my other endeavors like photography. I think each supports the other. I could not be a good photographer or a good writer if I had to work 40 or 50 hours per week in a corporate environment. It would kill everything in me. Definitely. I feel sorry for people who have to be a slave to the economic machine in this way. They are missing out on fulfilling their creative capacity as humans. They may not regret it now, but ultimately they will.
Q What about the approach to your subject? Are you an “invasive” photographer (like Mark Cohen)? Have you a moral code or are you a Bruce Gilden fan when he says “I have no ethic!”?
A I approach my subjects depending on the situation at hand. I’m not afraid of people or being close. However, I am not confrontational in my approach just to mimic someone like Cohen or Gilden either. I’m very covert. I work close, sometimes within a couple of inches, but often the person is not aware of my presence or my camera. I use a Ricoh GR series camera always and they are very small and discreet and fast. The Ricoh cannot be beat for street work. Period. Interestingly, I know Bruce Gilden and have watched him work in the streets here in New York and he is not really “without ethics”. He tries hard to be a bad ass but is actually quite a likable and approachable person. I’ve seen Bruce thank people after taking their photo more often than not and he really is considerate. I think his asshole attitude has backfired on him a bit and, well, I just wanted to point out that he is not actually really like that. Mark Cohen, on the other hand, is a bit abrasive. I’ve exchanged letters and emails with him a few times and he certainly can be odd. I do greatly respect his work though as it has influenced my own very much. So, in conclusion, (I know, I’m rambling) no, I do not have a moral code per se, but I try to remain as polite and friendly as possible but, that not withstanding, I will do whatever it takes to get the picture also.
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