G8: Scajola e Fini non davano ordini. Li prendevano.

G8: il ministro “a sua insaputa” che dà ordini a Gianni De Gennaro? Il Presidente del “che fai, mi cacci?” che dà ordini a Sergio Siracusa? Ma non scherziamo…

di Danilo De Biasio

Festa di Rifondazione di una cittadina a Nord di Milano. Non ricordo se due o tre anni dopo il G8 di Genova. Ricordo i nugoli di zanzare e il sound check della band giovanile che provava a una decina di metri dallo stand dove si teneva il dibattito. Forse per il nervosismo del combinato disposto zanzare + schitarrate decisi di dire pubblicamente ciò che ho sempre pensato: basta prendersela con Fini e con Scajola…

Gelo tra il pubblico.

Ma come, i nemici per eccellenza, i mandanti politici del massacro di Genova…

Provai a spiegare perché mi sono sempre sembrati un falso obiettivo. Sia chiaro: non è una richiesta di assoluzione, anzi, dal mio punto di vista per esponenti di governo non essere i “mandanti”, ma gli zelanti esecutori di ordini esterni è molto peggio. Sì, sono convinto che non siano stati né Fini né Scajola ad aver ordinato cosa fare a poliziotti e carabinieri (non dimentichiamoci che c’erano pure i finanzieri) a Genova durante il G8 del luglio 2001.

Fini e Scajola – a diverso titolo – hanno “coperto” politicamente i massacratori in divisa ma non hanno certo detto loro cosa fare. E non è una differenza di poco, dal punto di vista giudiziario, morale e politico.

“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi” scriveva con maestria Pier Paolo Pasolini. Non mi posso neppure avvicinare a quell’intensità, a quella forza, a quel livello. Ma sono anch’io nelle stesse condizioni di Pasolini quando (14 novembre 1974) sul Corriere della sera svelava con un ragionamento storico-politico le ragioni della strategia della tensione e i suoi protagonisti.

Potrei cavarmela con una battuta. Ma v’immaginate il Ministro “a sua insaputa” dare ordini a Gianni De Gennaro con tutto quel curriculum alle spalle? Lo vedete il Presidente del “che fai, mi cacci?” presentarsi dal Generale Sergio Siracusa con tutto quel curriculum alle spalle e dirgli cosa fare? E’ ridicolo pensarlo: per la sproporzione dell’esperienza, ma anche per il potere che incarnano De Gennaro e Siracusa.

Basta guardare la carriera fatta dai quattro protagonisti. Scajola e Fini sono sostanzialmente scomparsi.

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Invece De Gennaro guida Finmeccanica dopo aver diretto il Dipartimento per le informazioni per la sicurezza. Sfolgorante anche la carriera di Siracusa: capo dei servizi segreti militari, comandante generale dei carabinieri, pensione posticipata e consigliere alla Corte dei Conti.

A questo punto ripeto la domanda: secondo voi chi era più potente?

C’è poi il contesto internazionale, fondamentale per capire cosa si muoveva nei giorni di Genova 2001. Le dimensioni della protesta altermondialista erano davvero planetarie. La protesta per la globalizzazione liberista (che cominciava ad allargare la forbice della disuguaglianza) era contagiosa, riguardava – a differenza dell’esperienza di occupy – le metropoli e le campagne, il mondo occidentale e le nazioni impoverite, stava creando condizioni di svolta politica a livello di governi. Pensate davvero che la faccenda potesse essere decisa a livello locale?

I leader delle potenze occidentali dovevano dare una lezione militare a quel movimento che ingenuamente si era dato appuntamento a Genova come se fosse una scampagnata. Ma attenzione: se la risposta dei G8 doveva essere militare perché doveva stroncare il movimento, bisogna ammettere che nessuna forma di servizio d’ordine avrebbe retto lo scontro. Ancor prima di domandarsi se fosse una scelta giusta o controproducente occorre riconoscere che sarebbe stato inutile. La potenza di fuoco sviluppata durante e dopo i cortei fu assolutamente sproporzionata. Non c’è altra spiegazione che la necessità di dare una lezione a quei militanti, spingerne alcuni verso la radicalizzazione del conflitto, altri a gettare la spugna, altri a ritirarsi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

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Il 2001 è stato – si sa – anche l’anno dell’11 settembre. Come ha argomentato in questi giorni Giuliano Ferrara per difendere il rapimento di Abu Omar, “Seldon Lady è stato trattato con grottesco accanimento giudiziario dalla giustizia italiana, decine di anni di galera furono comminati a lui e a molti altri combattenti che nel 2003, due anni dopo l’attacco selvaggio del jihad alle città di New York e di Washington, fecero il loro dovere, secondo le regole del Patriot Act fissate dal presidente americano George W. Bush e confermate, se non ampliate e irrobustite, dal suo successore Barack Obama. I nostri giustizieri hanno realizzato, sotto lo schermo dell’azione penale e in un contesto molto italiano di deresponsabilizzazione dello stato […] il programma ideologico massimo: trasformare un atto di polizia internazionale, che per sua natura doveva essere eseguito fuori dagli schemi legali consueti, in un crimine da punire in forma delegittimante”. Anche durante il G8 di Genova vennero invocate e concesse deroghe alle libertà e ai diritti. Ma fu con l’11 settembre che quelle deroghe trovarono una giustificazione politico-giuridica. Come ha scritto con grande precisione Vito Monetti già nel 2002, il Patriot Act di Bush ha “gemmato” provvedimenti dello stesso tipo in molte legislazioni nazionali.

Nessun collegamento, nessuna suggestione comune tra Genova e le Torri Gemelle, sia chiaro, ma è innegabile che in quell’anno la globalizzazione ha prodotto un corpus ideologico-giuridico potente. Difficile credere di affidare qualsiasi ruolo al presidente “che fai, mi cacci?” e neppure al ministro “a sua insaputa”.



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