04. Il nuovo nord

Massimiliano Hütschenreuther ha quarantatré anni. Suo figlio Giacomo, otto.
Uno dei due fa il cameriere in una pizzeria, l’altro la terza elementare.
Abitano a sei chilometri di distanza, in due quartieri opposti della stessa città.
Questa è la storia di come stanno diventando grandi insieme, un giovedì dopo l’altro.

 

“Il Giovedì” è un’opera di finzione letteraria: qualsiasi riferimento a persone ed eventi realmente esistenti è da considerarsi un’incredibile sfortunata coincidenza.

 
04. Il nuovo nord
 

Più che un luogo, è un inciso, un intervallo: ha spazi piccoli dedicati a funzioni normali, le quali rimangono però disattese inattive potenziali, perché questo è un territorio, non ostile ma alieno, in cui torni la sera, esausto vinto battuto, e da cui evadi lesto al mattino, per farti esaurire vincere battere ancora.

Casa, la chiami, ma è solo per pigrizia linguistica. È un covo, in realtà. Lo hai trovato con tutta la fretta che esigeva il tuo abbandonare quella che -quella sì- era la tua casa, e non ti assomiglia né vuoi che lo faccia. Per questo è brullo come il piazzale di una caserma e le tue cose sono ancora negli scatoloni e mangi sempre nello stesso unico piatto, riempiendolo poco finendolo mai. Questo è il luogo dove la tua sconfitta la tua rabbia la tua miseria diventano geometriche e fisiche affinché tu possa toccarle con mano.

Qui non viene nessuno, perché in fondo un po’ ti vergogni di quello che sei e perché non hai mai tempo né voglia di passare uno straccio e perché da qualche parte dentro di te speri che questo posto sia temporaneo, un inciso appunto, un ponte traballante tra un prima che non tornerà più e un dopo in cui non sai nemmeno se credi, ma che aspetti, facendo meno rumore possibile, sospendendo ogni cosa, transitando senza attenzione il tuo corpo, che tanto pesa sempre di meno e dove lo metti rimane.

Eppure anche qui, in questo deserto in cui tutto sembra morto due volte, a un certo punto, e progressivamente, dei corpi estranei hanno iniziato a formarsi e come antibiotici hanno figliato anticorpi.

Un piccolo letto di legno svedese che tu stesso hai montato, un microscopico spazzolino da denti accanto al tuo nel bicchiere, un dinosauro di plastica, un batman di gomma, due DVD della Pixar sul televisore.

Queste cose sono qui perché un giorno da quella porta sei entrato per mano a un bambino e con un inganno che era un azzardo che era un invito che era una preghiera gli hai detto: Questa casa è anche tua.

Da allora ha smesso di essere solo un cubo di mattoni e intonaco disposti attorno a una branda: qui ci sono stati dei giochi, delle risate, delle pizze dentro cartoni. Sei stato persino costretto a vederlo dal basso, il tuo bilocale con cucinino che ha le inferriate alle finestre perché sta a un piano ammezzato di periferia dove i passanti ti guardano dentro. Con una certa sorpresa hai riadottato un punto di vista che avevi completamente perduto, quello di quando tutto svettava era enorme era più alto di te, specie tuo padre che mai si accucciava al tuo livello per parlarti guardandoti negli occhi ma ti teneva a distanza di carezza.

I vostri nuovi oggetti emanano un chiarore che ti fa muovere bene nel buio dei vostri weekend alternati, quando ti sposti in una casa -sì, hai detto casa- che ormai credevi di conoscere bene ma dentro cui invece adesso, con il nuovo nord assoluto che è il piccolo respiro regolare del tuo bambino che dorme, non calcoli più correttamente le distanze e le proporzioni. Eppure non sbatti negli spigoli e non inciampi nei mobili che hai dovuto spostare; ti muovi fluido come un hovercraft silenzioso su un lago, e tutto ascolti e riconosci e senti, e vai sicuro a controllare lo scrocchiare di una caviglia minuscola o il rompersi di una bolla di saliva all’angolo di una bocca bionda.

Finché non cedi esausto alla testa pesante per il troppo guardare ascoltare, rimani lì accucciato nell’oscurità a contemplare quell’essere davvero umano che riposa. È per creare quel momento perfetto che gli hai raccontato una storia inventata monotona senza sbocco priva di azione; è perché il tuo bambino scivolasse nel sonno davanti ai tuoi occhi, un miracolo dell’abbandono che conoscevi e conosci benissimo ma che per due settimane infinite ogni volta disperatamente dimentichi, anche se cerchi di mandarlo a memoria ogni giorno.

Ma quando lui c’è, quando il tuo bambino finalmente c’è, e nulla si infila tra voi, e l’orologio non lo richiama a casa ma anzi certifica che quello è il vostro tempo, che per quella sera questo posto è la vostra casa insieme, com’era una volta e come dovrebbe essere sempre, in quei sabati sera miracolosi ogni oggetto rimane sospeso e illumina l’aria. E tu ti ritrovi ti riconosci, finalmente riagguanti il tuo posto nel mondo e scopri che è questo: una casa che normalmente così tanto detesti respingi rimuovi, e che adesso è un tempio, una radura nella foresta che altrimenti urla, è l’acqua del fiume che sposa quella del mare tra le lingue di un delta.

E allora respiri, respiri il suo alito il suo collo le sue giunture, e tari il ritmo del fiato sul suo, e impari a memoria il disegno che ha sul pigiamino, lo scopri e gli guardi i piccoli piedi, che sono proprio simili ai tuoi e adesso finalmente non ti sembra solo un difetto come sosteneva qualcuno.

E infine fai la cosa più bella e più giusta: ti alzi, spegni la luce, saluti gli oggetti e vai nel tuo letto. Ché quella normalità riacquistata di avere tuo figlio nella stanza accanto, non nel tuo letto come un’eccezione, ma ognuno al suo legittimo posto come quando ogni cosa era al suo legittimo posto, entrambi consapevoli l’uno della presenza dell’altro, quella normalità ti fa sentire finalmente felice.

Lontano è lo spirito che tutto nega, lontana la pizzeria, lontana Simona, lontani il dolore il grigiore l’affitto, lontana è persino questa casa in cui stai adesso. E lontana è anche una verità spaventosa pulsante che hai imparato weekend dopo weekend e che -come ogni domenica sera- anche domani riscoprirai puntuale, e cioè che il silenzio che precipita sulla tua casa quando se ne va il tuo bambino non ha nulla di terrestre.

Chiudi gli occhi e dormi, ché quel che hai vicino adesso ti basta.

 

spazzolini_il giovedi 04

 

 

 



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