Salvo rare eccezioni, le testate all digital italiane sono ancora ben distanti dal generare ricavi che coprano i costi
[author] [author_image timthumb=’on’]http://www.festivaldelgiornalismo.com/pictures/user/small/0/168_s86Jq.jpg[/author_image] [author_info]Pier Luca Santoro è un esperto di marketing, comunicazione & sales intelligence. Attualmente collabora con l’European Journalism Observatory, centro studi non profit dell’Università della Svizzera italiana. [/author_info] [/author]
Già il rapporto “Survival is Sucess”, realizzato a metà 2012 da Nicola Bruno e Rasmus Kleis Nielsen per il Reuters Institute for the Study of Journalism, aveva evidenziato come per le start up all digital dell’informazione del nostro paese la sopravvivenza fosse da considerarsi un successo.
Analisi delle difficoltà ad ottenere redditività che era stata poi confermata dallo studio “Chasing Sustainability on the Net : International research on 69 journalistic pure players and their business models”, che mostrava come le testate all digital italiane fossero ancora ben distanti dal generare ricavi che coprano i costi. Uniche eccezioni virtuose, per motivi diversi, «Varese News» e «YouReporter».
[blockquote align=”none”]Una situazione critica che in questi giorni viene denunciata dal Direttore di «Q Code Mag», iniziativa editoriale sorta dalle ceneri di «E – Il Mensile» di PeaceReporter, che parla delle difficoltà del fare un giornalismo di qualità scrivendo che “il mercato è dopato: quella massa di click che raccogli attraverso un giornale e che riguardano temi non giornalistici – altro che caldi! – drogano costantemente il mercato e spingono le asticelle e le classifiche dei più cliccati in una dimensione di evidente e globale menzogna”.[/blockquote]
Criticità che trasparivano con chiarezza dalla ricerca effettuata da Human Highway che, analizzando la fisionomia e l’immagine delle testate online nel nostro Paese, mostrava con chiarezza che i newsbrand restano quelli che nascono dalla carta, mentre gli all digital, ahimè, non sfondano dopo anni da loro lancio ormai e che sono ulteriormente confermate dall’analisi svolta da Claudio Plazzotta su «Italia Oggi» di venerdì 26 scorso.
Plazzotta ha raccolto i bilanci 2012 di «Linkiesta», News 3.0 [«Lettera43»], «Il Post», Società Editrice Multimediale [«Blitz Quotidiano»] e «Dagospia». Secondo quanto riportato tra le testate prese in considerazione l’unica a reggersi sulle proprie gambe, a produrre un utile, è quella realizzata da Roberto D’Agostino, che giustamente qualcuno ricorda come non sia solamente l’unico a macinare utili ma è anche l’unico a non produrre contenuti o, almeno, a prosperare in gran parte sul valore creato da altri. mentre tutte le altre presentano bilanci in perdita.
«Linkiesta», gravata da costi del lavoro insostenibili, continua a perdere 1 milione di euro all’anno [ed al terzo anno siamo dunque in rosso di 3 milioni di euro complessivamente], «Lettera43», pur a fronte di una crescita dei ricavi del 30% rispetto all’anno precedente aumenta le perdite accumulando anche in questo caso 1 milione di euro di rosso in bilancio. «Il Post» di Luca Sofri, ma sempre più di Banzai, quasi raddoppia i ricavi ma aumenta le perdite del 33% raggiungendo un buco di 480mila euro e «Blitz Quotidiano» resta stabile nei ricavi ma all’aumentare dei costi di produzione perde 142mila euro nel 2012. Non sono ancora disponibili i dati di «Affaritaliani» di Angelo Maria Perrino ma si tenga conto che l’utile del 2011 era stato di soli 2.500 euro.
Se insomma la sopravvivenza è un successo e la stabilità un miraggio il rischio che le testate pure digital italiane seguano il percorso della free press cartacea è concreto.
Difficile dire cosa sia necessario fare, se non analizzando specificatamente ciascuna testata con tempi e costi che rientrano nella consulenza e non più nella divulgazione di questa TAZ, ma incrociando ricavi ed accessi, utenti unici, è chiaro ormai che la strada perseguita sin ora non è quella che paga, da nessun punto di vista.
Se escludiamo «Linkiesta», che però probabilmente è andata a cercare di ritagliarsi una nicchia troppo ristretta rispetto ai costi che sostiene, nessuna delle altre testate ha tratti distintivi in grado di creare valore aggiunto per lettori ed inserzionisti. Non è solo questione di qualità dei contenuti o di indipendenza delle testate, che infatti i lettori riconoscono sia a «Linkiesta» che a «Il Post», ma di trattamento dell’informazione, di relazione con i lettori e di tipologia dell’offerta.
Qualcuno cortesemente mi spieghi, ad esempio, sempre con il massimo rispetto per tutti coloro che svolgono un lavoro onesto, perchè mai dovrei andare a leggere le notizie su «Blitz Quotidiano» invece che su «la Repubblica» o «Il Corriere» online.
Se avete la risposta avete la soluzione al problema, in caso contrario il problema è serio