Bruxelles, la più latina tra le capitali del Nord Europa. Almeno, così si dice. Indubbiamente, Bruxelles è una città paradossale, caratterizzata da ossimori e, per questo, affascinante. Bruxelles non la si ama all’improvviso. Piuttosto la si impara ad amare col tempo, con la pazienza. E’ un luogo che richiede approfondimento e che insegna che non è mai giusto fermarsi all’apparenza. In un certo senso, insegna a non essere superficiali. Ed è cosi che si instaurano i rapporti più sinceri e duraturi, d’altronde. Se il sole non splende, perchè la Natura qui non è particolarmente generosa, e le nuvole si rincorrono, cambiando forma e colori in un cielo plumbeo, la bellezza e i colori vanno necessariamente inventati e ricercati in altro. Ecco come si spiega forse il genio di Magritte che a Bruxelles ha coltivato la sua arte ed ecco perchè, malgrado nebbia e grigiore, Bruxelles è una delle città più colorate al Nord Europa. I colori della sua gente, delle sue diversità, delle iniziative culturali e dei suoi angoli nascosti abbagliano. Scopritela, gustatevela nelle sue particolarità ed anche, perchè no, nei suoi aspetti più controversi. Fate la conoscenza delle persone che la animano. Fate questo viaggio con noi. Anna e Javier
di Anna Maria Volpe, da Bruxelles.
foto di Javier Aparicio Rubio.
Saint Gilles: scrigno di storie di straordinaria amministrazione
Saint Gilles è una babele di lingue, culture e nazionalità. Si tratta infatti dell’area più multiculturale di Bruxelles. Più di 140 nazionalità la popolano. Basta farsi una passeggiata tra le strade, costeggiate dalle belle facciate in stile art nouveau, per rendersene conto. Qui si incontrano marocchini con le loro panetterie profumate di thè alla menta, locali portoghesi con le pasteis de nata in bella mostra , spagnoli, congolesi, belgi…La lista potrebbe continuare per delle ore.
Punto centrale del quartiere è la piazzetta del parvis di Saint Gilles, luogo che esplode di vitalità e specchio delle anime del quartiere e delle sue contraddizioni. Raccontare il parvis non è cosa semplice. Ci hanno però provato due attori, Pierre Wayburn et Amelie Lemonnier, che, dopo aver vissuto per alcuni mesi in immersione in questo luogo, hanno messo in piedi lo spettacolo teatrale “Les pavé du Parvis”, letteralmente le mattonelle del Parvis.
Il parvis, come racconta Pierre, è il luogo in cui, in estate, quando il sole tramonta alle 11, ma il cielo rimane costantemente grigio, si raccolgono le persone nelle “terrasses” (spazi con tavolini all’aperto, ndr) per raccontarsi la giornata.
E’ il luogo in cui d’inverno si va a mangiare la zuppa ai porri allo storico bar belga dell’Union. E’ il posto in cui la sera, la polizia giudiziaria procede imperterrita con il proprio lavoro e in cui la Chiesa, che svetta austera, celebra le messe.
Al parvis trovi di tutto: il radical chic annoiato che legge la stampa internazionale, si perde in riflessioni sui massimi sistemi e beve il capuccino alle 5 del pomeriggio, e, ad un metro di distanza rischi di “inciampare” sul clochard che ha fatto della banca ING la sua casa.
Tanti sono i discorsi che le mattonelle di questa piazzetta ascoltano incessantemente: grandi dibattiti politici, dibattititi calcistici, racconti di glorie e miserie quotidiane. Tra una birra e l’altra, il tempo scorre al lento al Parvis, si dilata e culla le persone permettendo loro di staccare temporaneamente dalla frenesia del quotidiano.
Il Parvis è anche la frontiera tra le due facce del quartiere: l’alta Saint Gilles e la bassa.
“Molti francesi benestatanti vengono qui e, pur lavorando in Francia, comprano casa, facendo salire i prezzi e spingendo i più poveri verso il basso, verso la stazione” spiega Pierre. Quasi una metafora della vita.
Anche per questo motivo “Il Parvis e Saint Gilles diventano un’immagine del nostro mondo, con i suoi poveri, i suoi ricchi, le sue storie crudeli e quelle più leggere, le rosticcerie belghe che coccolano il cliente a suon di bistecche e patate e fritte e i cus cus marocchini”.
Un luogo in cui si intrecciano mille microcosmi che si toccano, si sfiorano l’un l’altro, si osservano. E producono quell’atmosfera così peculiare che rende il Parvis un luogo magico, ma pur sempre a misura d’uomo, nelle sue grandezze e piccolezze.
Saint Gilles cela anche dei tesori poco conosciuti. Tra questi vi è indubbiamente Yollande e il suo orto urbano.
YOLLANDE E L’ORTO URBANO
Yollande è una di quelle persone che si dovrebbero incontrare più spesso. Semplice, discreta, con due guance rosse ad incorniciare un sorriso un po’ sognante. Da 8 anni coltiva un orto nel cuore della commune. Questo terreno, che oggi dà da mangiare a circa 250 persone, doveva essere un campo da calcetto.
Ma 8 anni fa, Yollande, ha avuto l’idea che ha cambiato la sua vita e quella del vicinato: farne un campo coltivabile. Essendo Presidente del Consiglio del Foyer di Saint Gilles (un organo che si occupa di tutelare le esigenze degli abitanti dello stesso immobile, ndr), Yollande ha ben pensato di avanzare la sua proposta al sindaco dell’epoca che ne fu immediatamente sedotto. E non si fatica a capire perchè.
Passeggiando tra la terra umida, bagnata dall’incessante pioggia belga, si respirano gli odori del mediterraneo: menta, rosmarino, timo. Ed è un continuo susseguirsi di alberi da frutto, ciliegi sui cui rami vengono, timidamente, alla luce le primizie, dei peschi, un melo, dei peri. Cinquecento metri quadrati di terreno che contengono delle seminazioni provenienti da undici paesi differenti. “Ad esempio, abbiamo del cavolo portoghese” sorride Yollande.
Metà del terreno è gestita dai “Restos du coeur”, una rete di associazioni francesi che si occupa della distribuzione di pasti a persone bisognose o in difficoltà. L’altra metà è invece gestita da Yollande e dal vicinato.
“C’era tanto spazio e abbiamo quindi deciso di fare un uso diverso. Diciotto persone lavorano qui quotidianamente. E’ un’attività impegnativa che richiede costanza quotidiana” ci spiega Yollande, mentre cerca con sguardo attento la menta che ha portato dal Marocco per assicurarsi che sia sufficientemente rigogliosa.
Qui non si vende nulla, le verdure e i frutti sono distribuiti gratuitamente, non c’è alcun guadagno, se non il piacere della condivisione e di vivere a contatto con la terra.
Questa professoressa di storia dell’Arte al Bozar (uno dei maggiori centri culturali del Belgio, ndr), cinque Dottorati sulle spalle e un’immensa curiosità verso il mondo, riesce a finanziare la sua attività partecipando ai progetti che il governo belga lancia per incoraggiare lo sviluppo sostenibile.
“L’orto mi fa stare bene. Mi riporta indietro nel tempo, a quando ero bambina. Ho 9 fratelli e siamo cresciuti in un grande giardino che mio padre coltivava con amore”. Fa un tuffo nel passato Yollande e quando sussurra che il padre è deceduto proprio in quel giardino d’infanzia, diventa più facile capire la sua passione e il suo impegno verso il suo pezzo di terra.
Ultimamente, un’altra idea sta prendendo forma: una parte dell’orto è gestita da persone con handicap e presto lo spazio rimanente sarà utilizzato per delle attività che possano coinvolgere i bambini. E’ importante che imparino a mangiare, a conoscere il ciclo naturale, a conoscere i sapori veri, quelle freschi e genuini.
Qui il rumore della città cessa di esistere, i soli movimenti nella staticità dell’orto sono determinati da qualche ape e da una coccinella che si nasconde tra la lattuga.
“ E’ fondamentale che ci siano gli insetti. L’idea di piantare i fiori sta dando i suoi frutti” esclama con un moto di orgoglio. Realizziamo così che le rose e la profumata lavanda non sono lì per soddisfare un’esigenza estetica, ma per attirare le api, elemento essenziale dell’impollinazione e del buon equilibrio dell’orto.
Yollande è consapevole che gli orti cittadini stanno diventando una realtà bruxellese diffusa. Tuttavia, ciò che più le sta a cuore è che ciò non degeneri in una tendenza radical-chic fine a se stessa. “Non bisogna perdere di vista la ragione più profonda della creazione di un orto: dare a tutti la possibilità di coltivare e di nutrirsi a costo zero” ci tiene a sottolineare Yollande.
“Un giorno ha bussato alla mia porta una famiglia che non aveva nulla da mangiare. Sono venuta qui e ho preparato con i prodotti della terra una cena: del cavolo, un puré di mele e della carne ”. Questo è uno degli annedoti che più ci tiene a raccontare. Come anche quello accaduto in un giorno qualunque, quando uno sconosciuto bussò alla sua porta e le regalò due peri. “Mi ha detto: tieni, è meraviglioso ciò che fai e poi è andato via. Non l’ho mai più rivisto, ma gli sarò sempre grata”.
Tra i personaggi che animano Bruxelles, un posto lo merita l’algerino Momo napoletano d’origine che, con intraprendenza, ha aperto nel 2006 una pizzeria.
“Un posto al sole”, questo è il nome del locale, è un luogo in cui l’italianità trionfa. Una gigantografia di Diego Maradona e i quadri che mostrano Totò, Saviano e Troisi lo confermano.
Qui Momo porta avanti la sua avventura lavorativa, servendo, pizze napoletane a volontà, tra i tavoli che occupano la piazzetta di Betlem sulla Chaussée de Foret.
La storia di Mohammed, questo il suo vero nome, è una storia come tante, semplice e straordinaria allo stesso tempo. Un immigrato del Maghreb che tenta la sua fortuna, si mette alla prova e, con un mix di intraprendenza e coraggio, riesce.
Poco più che adolescente, decide infatti di lasciare la città dei genitori, nel Sud dell’Algeria, per trasferirsi in Italia, a Napoli. Qui, Momo scopre per la prima volta l’arte della pizza. Si appassiona al mestiere e coltivare il suo talento, lavorando per 15 anni nella storica pizzeria “del Presidente” e in un piccolo ristorante di Monte di Procida, nei campi flegrei.
Tuttavia, Momo crescendo capisce che nel capoluogo campano non ha la possibilità di sfruttare appiena le proprie capacità. “Mi sentivo un piccolo pesce circondato da pescecani” dice con l’aria di chi si è lasciato i momenti difficili alle spalle.
Nel 2000 matura quindi l’idea di cambiare radicalmente. Raggiunge il fratello a Brussels e si mette alla prova. E sei anni dopo, a due passi dalla Porte de Hal, apre la sua pizzeria con qualche decisivo accorgimento: un forno a legna all’atezza e prodotti di prima scelta che arrivano direttamente dal Sud Italia.
Nasce così l’avventura imprenditoriale di questo quarantenne dal sorriso largo e generoso, che, con cal coppola sul capo, offre sempre un goccio di limoncello campano ai propri clienti. Un posto al sole è uno dei tanti pezzetti della bella Italia che caratterizzano Bruxelles. Dove la convivialità e il calore si sprecano e c’è sempre tempo per fare due chiacchiere di fronte ad un espresso.