Peperoni: Matrix

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Sono passati almeno 10 anni dallʼuscita di ognuno dei film che rivisiteremo in questo spazio, eppure, nel bene o nel male, nulla pare essere cambiato. Pare che le tematiche siano più attuali del previsto. Dunque, si ripropongono, proprio come i peperoni. Speriamo solo di digerirli il prima possibile[/note]

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/Schermata-2013-07-12-alle-14.20.02.png[/author_image] [author_info]Alice Bellini. Dovendo rinunciare alla sua aspirazione Jedi per cause di Forza maggiore, si laurea in cinematografia tra Londra e New York, con la speranza di potersi definire quanto prima una scrittrice. Già redattrice di cinema per altre testate online indipendenti, non è una critica di nulla, ma le piace dire la sua, sapendo che, comunque, la risposta a tutto è inevitabilmente 42.[/author_info] [/author]

Questa volta non si tratta di premonizioni, ma di paure. Paura che, se per ventʼanni non solo non si è riusciti a digerire nemmeno un boccone, ma la maggior parte non ne ha proprio sentito lʼesigenza, allora in verità non ci si riuscirà mai. Non è per fare i pessimisti, davvero. È solo un pensiero che nasce dallʼanalisi di comʼè andato il ventennio passato – e volendo anche qualche anno più indietro. Un pensiero che sedimentò una volta per tutte poco dopo il 12 Novembre 2011, quando lui si dimise dal governo, ma non dagli italiani, anzi.

Il punto è: okay, lʼhanno condannato. E adesso?

Adesso ci vuole coraggio. Ci vuole il coraggio di affrontare la possibilità (affatto bassa) che anche questa volta non cambi nulla. Già il fatto che, nonostante la condanna, lʼinterdizione ai pubblici uffici non sia prontamente arrivata, come anche il fatto che non sia venuto automatico espellerlo dal Parlamento, forse sono solo un primo riflesso di una luce molto più potente, quella del non-cambiamento. Dicono che è finita unʼera, ma non è forse questa una dichiarazione sensazionale e superficiale, basata solo sullʼapparenza, tanto quanto tutto il resto fu basato sullʼapparenza in questi passati ventʼanni? Non è forse questa una dichiarazione così superficiale da smascherarsi da sola, dando lʼennesima riprova che, ormai, questo modo di fare, così, appunto, superficiale e sensazionale, non è nemmeno più una questione di politica e giustizia, ma proprio di modus vivendi?

Quello che penso, detto in parole povere, è che il fatto che lʼabbiamo condannato nellʼeffettivo non significa niente, perché aver condannato Silvio Berlusconi non ha condannato anche il Berlusconismo. Casomai, e qui sta la mia paura, il contrario. Testate giornalistiche, eserciti grotteschi, uomini di cultura e, last but not least, semplici cittadini sono in rivolta. Sono sconvolti da cotanta ingiustizia. Sono completamente in balia di un senso di sconforto misto a una gran voglia di riprendersi ciò che gli è stato tolto. Peggio che se fosse stato eliminato dal reality show più popolare il loro concorrente preferito – ma, in effetti, è una metafora non pertinente, perché almeno il televoto è democratico per davvero, non come lʼItalia e questi magistrati che complottano contro questi uomini onesti, lavoratori e, soprattutto, simpatici e affascinanti.

Ecco perché ci vuole coraggio. Ci vorrà tanto coraggio ad accogliere quella verità di cui scrive Nicola Sessa proprio su Q Code Mag, su queste stesse finestre cibernetiche, in un articolo che vale davvero la pena di leggere, se quella stessa verità ci dimostrerà che il Berlusconismo non è ancora finito. Che cambierà il nome, ma non la sostanza. Che cambieranno i dettagli, ma non il grande schema. Che cambierà la reazione, ma non lʼazione. Che ambierà il Prescelto, lʼAnomalia, ma non la Matrice.

Anche se spero non accada, nel caso in cui dovesse succedere, ci vorrà tanto coraggio ad accettare tutta questa desolazione, tutta questa impossibilità di mutare le cose, se non noi stessi, per quanto ignobile. Un poʼ come alla fine del terzo episodio della trilogia di Matrix dei fratelli Wachowski. Hai aspettato cinque anni, dal 1999 al 2003, per veder trionfare il bene e, invece, sei costretto a uscire dalla sala pervaso dallo sconforto e dalla necessità di accettare, anche se è impossibile, che certe cose sono troppo grandi e troppo forti e troppo radicate per essere annientate e che, a dover essere annientato, sei invece tu.

E cʼè una scena, in The Matrix Revolutions, che spiega questo concetto in maniera assolutamente emblematica, quanto sconcertante. LʼArchitetto parla chiaro. Matrix è un sistema talmente perfetto che include e prevede, al suo interno, anche lʼimperfezione, il bug, lʼAnomalia, cioè Neo. È talmente perfetto che sfrutta quella stessa Anomalia per rafforzarsi e, nel momento del bisogno, azzerare tutto e re-istallare il sistema, sempre più perfetto, perché sempre più esperto. Perché Matrix è più vecchia di quanto si possa immaginare. Matrix è vecchia tanto quanto lʼuomo. Matrix è stata creata dallʼuomo, che poi ne è prevedibilmente e stupidamente caduto vittima, per dare voce a dei desideri e dei bisogni di perfezione (apparente, ovviamente) insisti in lui, ma al contempo inespressi. Matrix è lʼuomo stesso. Matrix è dentro, ma è anche fuori. Matrix è sia armonia perfetta, che anomalia. È paradossale e spaventoso, ma è così. Come il fatto che nessuno lʼha votato, ma comunque è stato eletto. Come il fatto che se ne lamentano, ma poi al Governo ce lo mettono lo stesso. Paradossale e spaventoso. Forse inarrestabile. Perché anche la scelta è come Matrix, apparente. Perché anche la scelta, che forse sarebbe più appropriato chiamare illusione, fa parte di Matrix.

[sz-youtube url=”http://www.youtube.com/watch? v=C6AGtZQTL2M” /]E la mia paura è proprio che, ormai, quello che abbiamo tra le mani e che invade le strade, quello che abbiamo dentro gli occhi, dentro le orecchie, dentro la testa, dentro le vetrine dei negozi e negli armadi, nelle buste paga e in quelle della spesa, nelle verità e nelle menzogne, negli schermi dei televisori e in quelli dei cellulari, nei vestiti e nelle mutande, nei letti la notte e nei lettini in spiaggia, negli uffici e nelle case, nei rumori e nei silenzi, nei locali notturni e nelle chiese, nelle conquiste e nelle sconfitte, nelle gioie e nelle pene, nei gelati la sera e nel cornetto la mattina, negli abbracci e nei pugni, nelle partite di pallone e nei cruciverba, nei bicchieri di vino e in quelli dʼacqua, nelle cronache e nei gossip, nella frutta e nella verdura, nelle cose preziose e nella monnezza, nei momenti di privacy seduti sulla tazza del cesso e nei comizi cittadini, non sia altro che una Matrix sui generis, di cui tutti facciamo parte, anche le anomalie, soprattutto le anomalie, così necessarie per assicurarne la sopravvivenza.

E io spero che non sia così, ma, come dice lʼArchitetto, la speranza è la quintessenziale illusione umana e, al tempo stesso, la fonte della nostra massima forza e della nostra massima debolezza. Ma proprio per questa stessa speranza, laddove il peggiore dei casi dovesse manifestarsi, spero che comunque le anomalie non smettano mai di esserci. Che si preferisca sempre la verità. Che perlomeno si preferisca sapere dellʼesistenza di Zion, piuttosto che andare avanti a pillole blu. E io spero solo di avere il cuore abbastanza libero e abbastanza forte. Spero di avere il coraggio.



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