Samir e Yonatan su Marte, spettacolo teatrale portato in scena da Yogev Yefet, porta in Israele e nel mondo un messaggio di speranza
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/08/fia.jpg[/author_image] [author_info]di Fiammetta Martegani, da Tel Aviv. Nata a Milano nel 1981 a dal 2009 vive a Tel Aviv. Dal 2012, dopo aver conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Antropologia della Contemporaneità, scrivendo una tesi sulla rappresentazione del soldato nell’arte e nel cinema israeliano, svolge, sempre a Tel Aviv, un Postdottorato in Cinema e Lettaratura Comparata. Nel corso di questi anni è stata corrispondente da Israele per il quotidiano online Peacereporter, il mensile E e il programma radiofonico Caterpillar di Radio2. [/author_info] [/author]
“Oggi si torna a casa!”
Così ha inizio lo spettacolo teatrale “Samir e Yonatan su Marte”, che lo scorso 1 Agosto ha raggiunto per la prima volta il palco del celebre Teatro Cameri di Tel Aviv, dopo due anni di fringe theatre e Festival dalla portata internazionale, viaggiando dalla Danimarca alla Colombia.
Tuttavia ne dovrà passare di tempo prima che Samir possa lasciare l’ospedale israeliano, in cui é ricoverato per via di un delicato intervento al ginocchio, per poter ritornare finalmente al proprio villaggio situato dall’altro della Linea Verde.
Anche per questo per la famiglia di Samir risulta molto complicato riuscire ad andare a trovarlo, a causa di tutti i problemi che si incontrano ogni qualvolta si cerchi di attraversare un posto di blocco israeliano.
Samir, infatti, é un bambino palestinese che a causa di un incidente in bicicletta si trova ricoverato nell’“ospedale degli ebrei” assieme ad altri tre bambini, ebrei per l’appunto, ciascuno un volto diverso della complessa società israeliana: Tzachi, figlio di un autorevole generale dell’Esercito, di cui Samir è completamente intimorito; Annah, figlia di immigrati russi, la cui popolazione oggi in Israele ha superato il milione, e infine Yonatan, orfano di madre e figlio di un professore di astrofisica, con il braccio bloccato in una scomoda impalcatura di acciaio, e il naso totalmente immerso nei libri di astronomia.
Ed é proprio Yonatan, grazie alla sua passione per le stelle, ad intrattenere le notti insonni di Samir, i cui incubi lo riportano costantemente agli anni dell’Intifada, in cui il fratello minore ha perso la vita nel corso dell’esplosione di un autobus.
Tutti e due aspettano con impazienza l’arrivo di un grande professore americano “from Chicago!”, in modo che dopo essere stati operati Yonatan possa finalmente portare Samir con sé a visitare il pianeta Marte.
Dal romanzo “Samir and Yonatan” di Daniella Carmi, vincitrice di numerosi premi letterari tra cui The Honorable Mention from UNESCO for Children, la giovane regista Sivan Handelsman ha tratto la sceneggiatura per lo spettacolo teatrale “Samir e Yonatan su Marte”, di cui Yogev Yefet, classe 1985, interpretando ben dieci caratteri diversi, dall’infermiera russa al medico americano, ha vinto il premio come miglior monologo teatrale durante il Festival “Teatronetto” di Jaffo, l’antico porto arabo ai cui piedi, nel 1909, é stata fondata Tel Aviv, e dove ancora oggi vivono, gli uno affianco agli altri, cittadini israeliani ebrei e musulmani, a differenza dei palestinesi costretti a vivere nei Territori Occupati.
Samir é uno di loro, un musulmano che negli anni della prima Intifada ha perso il proprio fratello a causa del conflitto che, dal 1948, ovvero dalla fondazione dello Stato di Israele, caratterizza la regione.
Nel corso del nuovo round di Negoziati di Pace intrapresi tra il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, ho avuto la possibilità di intervistare Yogev Yefet al Minzar, lo storico pub di Tel Aviv aperto da oltre vent’anni 24/7, 365 giorni all’anno, incluso il giorno di Yom Kippur.
E così grazie all’aiuto di una fattoush salad, la tipica insalata mediorientale farcita con pane secco, e soprattutto di abbondante birra ghiacciata, ho cercato di scoprire meglio chi si nasconde dietro ai personaggi di Samir e Yonatan.
“Quando mi chiedono se mi posso definire un artista attivista io non so mai cosa rispondere, perché l’unica certezza che ho, da quando porto avanti questo spettacolo, è che più entro nel personaggio di Samir, ovvero del cosiddetto ‘nemico’, più, lentamente, vedo crollare tutte le mie certezze…”
Lo spettacolo, oggi in programma in numerosi teatri israeliani, ha vinto anche il Festival Internazionale del Teatro per la Pace, a Bogotá, dove Yogev e la regista Sivan non soltanto hanno avuto la possibilità di portare il proprio spettacolo, ma anche di condividere, con un pubblico del tutto eterogeneo, l’esperienza di cosa significhi davvero mettersi nei panni degli altri, soprattutto quando il tuo compagno di sventure vive dall’altra parte del muro che oggi divide i Territori Occupati dallo Stato di Israele.
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“Il fatto che i due protagonisti siano bambini” mi spiega Yogev “rende le cose più facili, perché i bambini hanno meno sovrastrutture e barriere culturali rispetto agli adulti”.
“In qualche modo” aggiungo io “il vostro spettacolo mi ha ricordato il Piccolo Principe di Antoine de Saint Exupery….”
“In effetti per Samir arrivare in Israele dal West Bank è come arrivare da un pianeta all’altro. Per lui è persino la prima volta che incontra” aggiunge sorridendo e mimando le virgolette “degli esseri umani ‘ebrei’”.
“E quale è stata la risposta da parte del pubblico arabo israeliano?”
A questo punto Yogev mi spiega, a malincuore, che come gli israeliani non vanno mai a teatro a vedere spettacoli arabi, anche per via del grosso problema linguistico, allo stesso modo raramente gli arabi vanno a teatro e vedere opere in ebraico.
C’é stato persino il tentativo, da parte del famoso attore e regista arabo israeliano Mohammed Bari, di adattare l’opera in arabo, facendo recitare suo figlio, l’attore Saleh Bakri.
Tuttavia, mi spiega Yogev, l’opera non ha riscosso un grande successo all’interno del pubblico palestinese. “E posso perfettamente capire anche il perché, almeno dal loro punto di vista” aggiunge Yogev “anche se l’intento dell’opera è proprio quello di cercare di superare ogni punto di vista specifico, nazionale, linguistico o religioso. O almeno questo è quello che io ho imparato interpretando Samir, Yonatan, e di tutti gli altri personaggi dello spettacolo. Perché soltanto mettendosi, nel vero senso della parola, nei panni degli altri, si impara davvero a non giudicare”.
E da questo punto di vista, mi spiega Yogev, l’esperienza del Festival della Pace si è rivelata estremamente interessante: “La maggior dei partecipanti al Festival di Bogotá, infatti, provenivano soprattutto dal Sud America, talvolta da aree caratterizzate da estremi conflitti locali e, spesso, immersi come erano nei propri problemi, non sapevano neppure dove si trovasse sulla mappa del mondo la cosiddetta Terra Santa”.
“Immagino che lo spettacolo sia stato un successo?”
E Yogev mi conferma che si è trattato dell’unico caso in cui hanno chiesto di replicare lo spettacolo come conclusione del Festival della Pace.
“In un certo senso” racconta Yogev sorridendo “eravamo diventati una sorta di attrattiva esotica. Persino il fatto che la mia famiglia fosse arrivata in Israele scappando dallo Yemen e quella di Sivan dalla Polonia ai loro occhi risultava qualcosa si incomprensibile…”.
E in effetti, come dar loro torto. Pur vivendo in Israele da quattro anni, infatti, anche io ogni volta rimango stupefatta quando scopro le incredibili storie di coloro che, pur essendo nati in Israele, portano nei proprio geni e nella propria cucina le origini più disparate, dalla Lituania alla Persia, dal Marocco alla Romania.
“Veniamo tutti dalla polvere delle stelle, e lì siamo destinati a tornare” spiega Yonatan a Samir alla fine dello spettacolo, quando finalmente, dopo essere stati operati, una notte scappano all’ultimo piano, nella stanza del Primario, dal cui computer Yonatan può finalmente mostrare a Samir l’Universo, sognando ad occhi aperti fino ad atterrare finalmente, assieme, sul pianeta Marte.
“This is a show for dreamers…” conclude Yogev assieme all’ultima sorsata di birra. “Il sogno dura circa un’ora, come lo spettacolo. Poi, come Samir, si ritorna a casa, al proprio villaggio, alla vita di tutti i giorni e al proprio cinismo…”.
“E’ una storia piccola ma terribile” così ha inizio il testo di Life on Mars di David Bowie, proprio come quella raccontata in “Samir e Yonatan su Marte”.
E la cosa più incredibile di questo spettacolo, così come la storia dei due protagonisti, é che pur essendo basato su una tragedia come quella di vivere in una terra di conflitto, alla fine si conclude con un messaggio si speranza e dalla portata universale.
Non sappiamo, infatti, se esista vita su Marte, tuttavia, come ricorda David Bowie, “It’s the freakiest show…”, e forse, in attesa che i Negoziati di Pace da sogno diventino realtà, vale davvero la pena di viverlo fino in fondo.