Massimiliano Hütschenreuther ha quarantatré anni. Suo figlio Giacomo, otto.
Uno dei due fa il cameriere in una pizzeria, l’altro la terza elementare.
Abitano a sei chilometri di distanza, in due quartieri opposti della stessa città.
Questa è la storia di come stanno diventando grandi insieme, un giovedì dopo l’altro.
“Il Giovedì” è un’opera di finzione letteraria: qualsiasi riferimento a persone ed eventi realmente esistenti è da considerarsi un’incredibile sfortunata coincidenza.
Succede ogni estate.
Giacomo parte e restiamo lontani più giorni di un mese. Lui non telefona e quando lo chiamo risponde sillabando tenue come fanno i bambini di cinque e poi sei e poi sette e poi otto anni che hanno altro da fare. Oppure è Simona che lo distrae con una foto da scattare, un bicchiere da bere, una doccia da fare. Sempre in quei due minuti in cui chiamo, qualsiasi sia l’ora in cui chiamo.
Quando riattacco, il mio bambino mi manca come un arto amputato, e fuori di me è l’agosto infocato tossico della mia via desolata della pizzeria chiusa per ferie degli amici che sono tutti in vacanza.
È tutta qui la mia estate, perché nient’altro succede e nient’altro mi aspetto dal giorno col giorno, e non c’è davvero bisogno di aggiungere altro:
anche di notte il sole sfoca i contorni e io sono solo nel mondo.