L’Orlando coraggioso

Il pugile portoricano Orlando Cruz, tempo fa, ha dichiarato la sua omosessualità, esempio contro l’omofobia

di Christian Elia

Sono giorni dolorosi. In Russia, dopo un feroce pestaggio, ha perso la vita un adolescente gay perseguitato da una banda di nazisti, in Italia un ragazzino ha preferito togliersi la vita piuttosto che affrontare un muro vischioso di piccole e grandi beffe, di sguardi taglienti, di parole acuminate.

E’ assurdo, criminale, mentre il Parlamento italiano chiude per ferie incapace di votare una legge che riconosca l’omofobia come una delle più spregevoli forme di razzismo. Le squadre di calcio di Italia e Argentina si ritrovano dal Papa Francesco I, che in maniera condivisibile invita gli eroi popolari della pedata a utilizzare la propria popolarità anche in maniera costruttiva, per incidere in positivo in una società che a loro, come a pochi altri, riconosce l’aurea del mito.

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Detto che la Chiesa per prima dovrebbe decidersi a rimuovere tutte le ambiguità rispetto all’omosessualità, il messaggio è potente. Se incontri un ragazzo o una ragazza sulla metro, è molto più probabile che conosca Cristiano Ronaldo e Messi rispetto a mille attivisti per i diritti civili. Lo sport può molto, anche e soprattutto fuori dall’evento sportivo.

Ecco perché torna in mente Orlando Cruz, pugile portoricano. Torna in mente il suo coraggio. In un ambiente come quello della boxe, tra i più machisti, avere il coraggio di dichiararsi omosessuale come ha fatto lui il 4 ottobre 2012.

“Sono sempre stato e continuerò a essere un portoricano orgoglioso. Sono sempre stato e continuerò a essere un omosessuale orgoglioso. Non voglio nascondere la mia identità: voglio che le persone mi vedano per quello che sono”, ha dichiarato Orlando alla stampa. Con quel sorriso disarmante, meglio di un gancio destro. “Combatto da più di ventiquattro anni e, mentre la mia carriera è ancora in ascesa, voglio essere onesto con me stesso”, ha continuato il pugile.

Nel mondo della boxe esiste solo un precedente, quello del grande Emile Griffith, campione mondiale nelle categorie dei pesi welter e dei medi, che però si dichiarò bisessuale alla rivista Sport Illustrated solo molto tempo dopo aver appeso i guantoni al chiodo.

Orlando Cruz, 32 anni, è un buon pugile. Un bel record, il suo: 18 vittorie (9 prima del limite, che è un signor numero per un peso piuma), 2 sconfitte e un pareggio. Professionista dal 2000, occupa la quarta posizione del ranking mondiale della sua categoria.

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Tutto questo, però, impallidisce rispetto alla sua voglia di urlare silenziosamente la sua normalità. Perché chi è fuori dalla norma è solo colui che non capisce la complessità. Capitò allo stesso Griffith, nel 1962. Proprio lui. Sfidava sul ring il cubano Benny Paret. Griffith era una furia: pestò con una violenza che non gli era consueta, una rabbia cieca. Nell’ambiente si raccontò, dopo il match, che Benny lo avesse provocato, alludendo ai suoi gusti sessuali. Finì in tragedia: dopo il ko Paret entrò in coma, morendo qualche giorno dopo.

La follia del razzismo, la demenza dell’ironia quando diventa provocazione, la propria identità costretta in un angolo buio, come fosse divenuta un’offesa. E allora forza Orlando, i risultati sportivi non supereranno mai la più bella delle vittorie: quella contro la paura.



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