Bruxelles portrait – Molenbeek Saint Jean

Bruxelles, la più latina tra le capitali del Nord Europa. Almeno, così si dice. Indubbiamente, Bruxelles è una città paradossale, caratterizzata da ossimori e, per questo, affascinante. Bruxelles non la si ama all’improvviso. Piuttosto la si impara ad amare col tempo, con la pazienza. E’ un luogo che richiede approfondimento e che insegna che non è mai giusto fermarsi all’apparenza. In un certo senso, insegna a non essere superficiali. Ed è cosi che si instaurano i rapporti più sinceri e duraturi, d’altronde. Se il sole non splende, perchè la Natura qui non è particolarmente generosa, e le nuvole si rincorrono, cambiando forma e colori in un cielo plumbeo, la bellezza e i colori vanno necessariamente inventati e ricercati in altro. Ecco come si spiega forse il genio di Magritte che a Bruxelles ha coltivato la sua arte ed ecco perchè, malgrado nebbia e grigiore, Bruxelles è una delle città più colorate al Nord Europa. I colori della sua gente, delle sue diversità, delle iniziative culturali e dei suoi angoli nascosti abbagliano. Scopritela, gustatevela nelle sue particolarità ed anche, perchè no, nei suoi aspetti più controversi. Fate la conoscenza delle persone che la animano. Fate questo viaggio con noi. Anna e Javier

di Anna Maria Volpe, da Bruxelles. 

foto di Javier Aparicio Rubio. 

Molenbeek Saint Jean: un canale, due mondi

17 agosto 2013. Bruxelles è nota anche per essere una città di immigrazione. Il 75% di persone che la abitano è di origine straniera. Uno dei quartieri maggiormente caratterizzati da questo fenomeno è Molenbeek Saint Jean. Dei suoi 95mila abitanti, il 25% sono immigrati. D’altra parte, è tristemente nota l’affermazione che Didier Reynders, ministro degli Esteri, fece al Senato lo scorso anno, definendo Molenbeek un paese straniero. La più grande comunità che anima Molenbeek è quella marocchina. E si vede, passeggiando per le strade: donne con i veli dai mille colori, che adornano il loro viso, sedute sulle panchine della piazzetta, discutendo animatamente in arabo.

Molenbeek non è un quartiere facile. Il tasso di disoccupazione si aggira attorno al 30% e la percentuale di  abbandono scolastico è alta, come sottolineato, qualche giorno fa, dall’assessore alla gioventù, Sarah Turin, nel corso di una trasmissione radiofonica. La questione dell’apprendimento della lingua rappresenta indubbiamente uno dei punti cardine del problema.

Sempre lo scorso anno, Molenbeek è stata teatro di scontri in seguito all’arresto di  una giovane donna in niqab che rifiutò di mostrare i propri documenti alla polizia. Ne derivarono della manifestazioni, a tratti violente, di fronte al Commissariato, degli arresti e la decisione radicale del sindaco socialista, Philippe Moureux, di interdire gli assembramenti pubblici per più di cinque persone. Questa area della città, negativamente stigmatizzata, sorge vicino al canale, frontiera fisica e metaforica che segna il distacco tra Molenbeek e il resto della città.

 

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Eppure, anche Molenbeek è una realtà in evoluzione. Il canale, simbolo di divisione, diventerà nel 2014, simbolo di un possibile rilancio della commune. Partirà da qui, infatti, il progetto “Molenbeek, metropole culture 2014”. Ogni due anni una città o un zona di Bruxelles vengono scelte al fine di mettere in risalto la loro vivacità culturale. Il progetto è ambizioso e di larghe vedute.

La Federazione Wallonie-Bruxelles e la Cocof (Commissione comuntaria francese della Regione Bruxellese) investiranno 700mila euro. L’obiettivo è di far conoscere finalmente, sotto una nuova ottica, i quartieri sorti attorno al canale e di rilanciare intere aree urbane a lungo sottovalutate. Una sorta di rivincita di un quartiere e della sua popolazione che riesce ad affermarsi e far sentire la sua voce per troppo tempo inascoltata.

 

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Discorrendo di immigrati, di voci inespresse, di messaggi distorti, è d’obbligo far riferimento a questa installazione, che sorge imponente vicino alla Gare du Midi, in un luogo che è stato nel tempo teatro di importanti manifestazioni politiche.

La pasionaria, questo è il suo nome, simboleggia il diritto di ciascuno di esprimere la propria opinione e di essere ascoltato, una volte per tutte. Inaugurata nel 2006, è il frutto del lavoro dell’artista spagnolo Emilio-Lopez Menchero. Omaggio a tutti gli immigrati, la pasionaria strizza anche l’occhio al ricordo di Dolores Ibarruri, antifascista spagnola, già segretaria generale e poi presidente del PCE, soprannominata per l’appunto la Pasionaria, per i suoi discorsi impegnati e intrisi di profondo convincimento politico durante la guerra civile spagnola.

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