Intervista al professore di studi islamici contemporanei ad Oxford, voce tra le più influenti dell’Islam politico
di Vincent Mongaillard, Le Parisien,18/08/2013, tradotto da ArabPress
22 agosto 2013. Suo nonno, egiziano, ha fondato nel 1928 il movimento dei Fratelli Musulmani prima di essere assassinato nel 1949 per le sue idee politiche. Tariq Ramadan, 51 anni, segue da vicino gli avvenimenti in Egitto. Condanna la repressione esercitata dall’esercito sui Fratelli musulmani ma rimane tuttavia critico nei confronti della confraternita.
Questo predicatore di nazionalità svizzera, professore di studi islamici contemporanei ad Oxford è molto conosciuto nelle banlieues francesi. E’ regolarmente invitato a conferenze in cui è difficile trovare posto talmente è alta l’affluenza del pubblico. Si presenta come un moderato ma spesso viene accusato dai suoi detrattori di essere “doppiogiochista”. Nel novembre 2003, durante un dibattito televisivo con Nicolas Sarkozy, allora Ministro dell’Interno, questo personaggio controverso si era rifiutato di pronunciarsi chiaramente per il divieto della lapidazione delle donne ree di adulterio.
E’ sorpreso dall’evoluzione degli eventi in Egitto?
Sin dall’inizio dei sollevamenti nel mondo arabo, ho sempre fatto trasparire un ottimismo molto prudente. Sapevo che la direzione verso la quale si stava andando era più quella di una destabilizzazione della regione che verso un processo di democratizzazione. Ero critico rispetto ai movimenti islamisti e mettevo in evidenza le lacune dei loro programmi. Per sfortuna, quanto sta avvenendo in Egitto mi dice che la prudenza è stata una buona consigliera. Non sono quindi per niente sorpreso da questa destabilizzazione e da questa polarizzazione che descrivo nel mio ultimo libro L’Islam et le Réveil arabe (in italiano: L’Islam e il risveglio arabo). Quello che mi sorprende, tuttavia, è l’intensità della violenza! E’ peggiore di quanto potessi immaginare
Questo la tocca personalmente?
Sì, mi rattrista molto. Sono europeo di cultura ma sono egiziano di memoria. Alle mie spalle ho una storia familiare, l’esilio, che fa sì che io sia molto attaccato a questo paese.
Lei condanna la repressione orchestrata dall’esercito..
Quello che vediamo oggi è un regime militare che non ha mai abbandonato la scena politica e che oggi si presenta con una legittimità popolare. Ma questa non gli ha dato carta bianca per una repressione che ha ucciso un numero così spropositato di civili. In una moschea, dei militari hanno accerchiato dei fedeli che stavano piangendo i loro morti. E’ stato detto loro: “Non li potrete sotterrare finché non firmerete un documento che attesta che si sono suicidati!”
I Fratelli Musulmani sono accusati di prendersela con i Copti, i Cristiani d’Egitto, che hanno sostenuto i militari..
Sono vecchi metodi di propaganda dell’esercito che si conoscono e facilmente spendibili in Occidente: bruciare delle chiese copte e accusare gli islamisti senza averne nessuna prova. Per giustificare nei confronti dell’Occidente una repressione di massa, si dice che i Copti sono in pericolo. Sadat l’ha già fatto a suo tempo, così come Mubarak. Ciò dà un’ulteriore carta bianca all’esercito.
Come giudica la reazione dei paesi occidentali?
Sfortunatamente, in Occidente, i nostri governi, cominciando dagli Stati Uniti, si limitano ad una condanna timida. Si difende la democrazia quando fa comodo e si tace di fronte a un colpo di Stato, di fronte a un regime militare che spara sui cittadini che manifestano in modo non violento. Bisogna essere coerenti. Quando si è democratici, non si possono appoggiare gli orrori perpetrati dall’esercito. Critico gli Stati Uniti, l’intervento di Barack Obama che interrompe le sue vacanze per dire, come sola punizione per l’esercito, che le esercitazioni militari congiunte con l’Egitto saranno sospese. L’aiuto di 1,3 miliardi di dollari invece continua ad essere versato. Questo è un appoggio esplicito all’esercito.
Qual è allora la soluzione per far uscire l’Egitto dal caos?
Non bisogna che i Fratelli Musulmani giochino la politica della terra bruciata. La sola cosa che potrebbe salvarli oggi è di riuscire a fare manifestazioni di massa non violente. Non sono sicuro che ne abbiano i mezzi. Ma c’è anche da dire che accettare il fatto compiuto adesso, significherebbe per loro prigione, tortura, esecuzioni sommarie. Quindi penso che debbano cessare le manifestazioni, anche se non violente. In tutti i modi, non avranno scelta. I militari li stanno isolando dal popolo. Oggi si trovano in un’impasse. Ho sempre detto che gli islamisti non sarebbero mai dovuti entrare nel processo elettorale, era una trappola che li ha messi nella situazione nella quale si trovano attualmente. Ma attenzione, perché ridurre l’opposizione alla sola Confraternita dei Fratelli Musulmani, sarebbe fare il gioco della propaganda dell’esercito che si presenta come unico garante della democrazia. Prima della repressione avvenuta negli ultimi giorni, nelle strade, durante cinque settimane, c’erano anche laici, copti, che hanno preso posizione contro l’esercito. Sfilavano sotto al vessillo “anti-colpo di Stato”. Alcuni chiedevano il ritorno di Morsi perché volevano la legittimità. Altri, senza volere il ritorno di Morsi, desideravano soprattutto che l’esercito se ne andasse.
Lei è per un ritiro dell’esercito dal gioco politico..
Sì, se si è a favore della democrazia, bisogna che i militari tornino nelle caserme. Non ci sarà democrazia né tantomeno trasparenza fin quando l’esercito sarà al potere. La sola soluzione oggi è che i laici, gli islamisti, gli indipendenti in Egitto inizino un vero dialogo, una vera collaborazione e vadano oltre le differenze C’è bisogno di un’alleanza civile nazionale.
Dove ha sbagliato il presidente Morsi quando era al potere?
C’erano delle vere e proprie lacune in materia di visione politica. Morsi avrebbe dovuto propugnare una politica di apertura e molto più volenterosa, con i laici e con i Copti in particolare. Il suo ruolo e quello della Confraternita dei Fratelli non era chiaro in materia di decisioni. Non si governa un paese dicendo che si è i guardiani della tradizione musulmana. Si governa un paese quando si ha un progetto politico, sociale ed economico. Il suo era del tutto superficiale. Aveva anche un fare politico “naif”: ha creduto, qualche giorno prima del Colpo di Stato, che gli Americani sarebbero intervenuti in suo favore. L’esercito non gli ha reso la vita semplice. Oggi si sa che un certo numero di cose erano state fatte a monte dai militari, prima del Colpo di Stato, per mettere il governo in una posizione difficile, per esempio procedendo a fare tagli di approvigionamento di elettricità e di benzina, tagli che sono subito scomparsi dopo il 30 giugno, quando l’esercito ha preso il potere.
Quando Morsi era al potere, le libertà individuali sono state ridotte?
No, non c’è stato un comportamento liberticida sul campo. Gli islamisti sono stati estremamente prudenti con tutti i simboli, le questioni sulle donne, sui Copti. Sono intervenuti poco a questo proposito. Le loro lacune si annidavano altrove, e in realtà erano più gravi della gestione maldestra dei simboli. Si sono sbagliati anche nel pensare che una buona gestione dei simboli (le libertà, la questione della donna, la shari’a, ecc..) li avrebbe portati a essere riconosciuti e normalizzati.
I Fratelli Musulmani sono capaci di operare in uno Stato laico?
Ci sono quattro o cinque correnti all’interno della Confraternita. Alcune non sono ancora pronte. Ma altre desiderano aprirsi, in particolare quelle più giovani. E’ a loro che spetta il dovere di stringere nuove alleanze nazionali. Da anni ho sempre preso le distanze dai Fratelli Musulmani. Sono sempre stato molto critico nei loro confronti. Ma non sono d’accordo sul fatto che vengano demonizzati, come fa la propaganda dei dittatori e dei militari che li presentano come violenti ed estremisti. Bisogna comunicare con loro con le idee, non per mezzo della repressione.