Bruxelles, la più latina tra le capitali del Nord Europa. Almeno, così si dice. Indubbiamente, Bruxelles è una città paradossale, caratterizzata da ossimori e, per questo, affascinante. Bruxelles non la si ama all’improvviso. Piuttosto la si impara ad amare col tempo, con la pazienza. E’ un luogo che richiede approfondimento e che insegna che non è mai giusto fermarsi all’apparenza. In un certo senso, insegna a non essere superficiali. Ed è cosi che si instaurano i rapporti più sinceri e duraturi, d’altronde. Se il sole non splende, perchè la Natura qui non è particolarmente generosa, e le nuvole si rincorrono, cambiando forma e colori in un cielo plumbeo, la bellezza e i colori vanno necessariamente inventati e ricercati in altro. Ecco come si spiega forse il genio di Magritte che a Bruxelles ha coltivato la sua arte ed ecco perchè, malgrado nebbia e grigiore, Bruxelles è una delle città più colorate al Nord Europa. I colori della sua gente, delle sue diversità, delle iniziative culturali e dei suoi angoli nascosti abbagliano. Scopritela, gustatevela nelle sue particolarità ed anche, perchè no, nei suoi aspetti più controversi. Fate la conoscenza delle persone che la animano. Fate questo viaggio con noi. Anna e Javier
di Anna Maria Volpe, da Bruxelles.
foto di Javier Aparicio Rubio.
Giovane irrequieto, viaggiatore instancabile, scopre la fotografia a Maiorca e ne fa la sua compagna di viaggio durante le sue esperienze eclettiche in giro per il mondo. India, Siria, Marocco, Germania, Norvegia. . . Da solo o con altri, in aereo, in auto o in autostop, Javier trasmette le sue esperienze attraverso la sua vecchia Canon e la sua Nikon. Autodidatta, con tanta voglia capire il mondo, vive a Bruxelles dove cerca di dare un senso alla sua formazione trasformando i freddi dati economici in esperienze di vita reali.
Il Jeu des Balle: dove passato e presente si rincorrono
23 agosto 2013. Il mercato d’antiquariato del Jeu de balle, nel quartiere delle Marolles, è il luogo in cui si passeggia volentieri nelle domeniche bruxellesi. Sì, la domenica, il giorno della settimana in cui si è tutti un po’ più pigri, un po’ più svogliati. Il nome particolare deriva da la “balle pelote”, sport di squadra sferistico praticato prevalentemente in Belgio, nazione nella quale fu ideato.
Ecco, qui, in questa piazza , si è accolti con discrezione perchè, pur trattandosi di un mercato, è anche il luogo in cui il passato ha le sue cose da raccontare. Ed esige ascolto. I mercati di antiquariato infatti sono posti in cui i fantasmi di un tempo andato, camminano in punta di piedi.
Trattasi di luoghi in cui malinconia e allegria si rincorrono vorticosamente. Si riproduce in terra un po’ ciò che accade in cielo: un sole che si diverte a nascondersi dietro nuvole imponenti, proprio come quelle che compaiono nelle tele di Magritte. Il presente e il passato che si alternano.
Il Jeu de balle è una Bruxelles melanconica, in bianco e nero, in cui si respira un’aria gonfia di pioggia. E’ una scatola di foto popolata da ricordi che si accumulano in silenzio negli occhi nostalgici di un commerciante. Tra le scatole sparse per terra, si trovano pezzi di vita regalati alla gente, cartoline con pensieri provenienti dalle piu disparate parti del mondo.
Il Jeu da balle profuma anche. Sa del cuoio delle borse vintage, sa di polvere delle cantine, odora di croque monsieur (tipico toast belga con formaggio e prosciutto, ndr) di porto rosso servito alle 11 del mattino.
Ma soprattutto, il Jeu de Balle parla, si esprime. E racconta di commercianti che si divertono come bambini a contrattare il prezzo di una vecchia e bellissima macchina da scrivere. Urla e bestemmia, quando, a causa di un improvviso acquazzone, il tavolo contenente delle porcellane si rovescia e tutti corrono a cercare i teli per proteggere le mercanzie.
Il Jeu de Balle vive anche. Vive in André, uno dei commercianti più anziani della piazza.
Nato nel 1936, André, aveva 55 anni quando ha iniziato a vendere. Precedentemente, era un ricco industriale, proprietario di fabbriche in Germania dell’Est e in Bulgaria.
Poi si sa, le cose cambiano, le fabbriche hanno chiuso, il fallimento ha bussato alla sua porta.
Andrè però non si è perso di spirito. Anzi, ora che è povero dice di essere molto più ricco perchè ha ottenuto la libertà totale. Da 20 anni a sta parte vive una seconda vita. Viene al mercato solo il sabato e la domenica. Si diverte molto, ama le belle donne, il buon vino. André è un viveur, la star indiscussa del mercato. E’ la persona, che mentre racconta le sue disavventure, viene interrotta da un amico che gli lascia in regalo dei sigari di ottima qualità.
Il suo soprannome qui è “Dio” poiché, essendo anche qualcuno che ama spararle grosse, tutti i suoi interlocutori, ad un certo punto, interrompono le sue storie esclamando “Oh mio Dio”.
Uno dei suoi migliori amici è Jacques, pittore colto, fiero, dallo sguardo scuro e penetrante. Si siede al tavolo con fare sicuro, tira fuori dalla borsa i suoi libri di arte e si perde in conversazioni che vanno da Nietzsche a Pablo Picasso.
La discussioni con Jacques sono complesse. Lui si diverte, provoca, fulmina con lo sguardo se contraddetto. E quando, gli si chiede cosa sia per lui la pittura, ci dà una risposta degna delle migliori uscite teatrali, citando sempre lui, il grande Picasso: “Se consideriamo ogni superficie da dipingere come uno specchio da frantumare al fine di scoprire la metamorfosi successiva, là stiamo dipingendo”. Si alza e se ne va, lasciando André perplesso e, stranamente, ammutolito.
L’ennesima folata di vento, lo riporta alla realtà, e il Dio del mercato, si alza, finendo il suo bicchiere di vino e si dirige lesto verso la sua bancarella. Intanto, il mercato, con la processione dei suoi visitatori, del passato e del presente, prosegue senza sosta.