Chungking Mansions

Un concentrato di 120 nazioni inglobate in unico edificio di 17 piani. Siamo a Hong Kong, “il porto fragrante” dove s’intrecciano storie e leggende

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/Foto_Bagnoli-Lorenzo.jpg[/author_image] [author_info]di Lorenzo Bagnoli, da Hong Kong. Freelance con la passione per le inchieste. Scrive soprattutto di mafia, di immigrazione e di altre sciocchezze. Ha lavorato con E il mensile e Peacereporter, oggi collabora con Redattore sociale, Terre di mezzo, Linkiesta, Lettera43 e Q code mag. Ha trovato casa all’Irpi, il centro italiano per il giornalismo investigativo.[/author_info] [/author]

“Buongiorno, vorrei sapere con chi devo parlare per affittare un negozio alle Chungking Mansions“. La domanda lascia comprensibilmente interdetto il receptionist: non sono tanti gli europei che lo approcciano con questo tipo di richieste. Le Chungking Mansions sono richieste soprattutto da persone che vengono della provincia indio-pakistana, o dei Paesi del Sud est asiatico, con importanti aggiunte dall’Africa e il Medio Oriente. Non dall’Europa.

L’uomo muove la testa a scatti da destra a sinistra, come per cercare una risposta alla mia domanda. La trova in due ragazzi del Medio Oriente, che riempiono il suo silenzio: “Chiedi del signor Wong. Sta al distretto D, negozio 30”. “Distretto”, perché le Chungking Mansions non sono solo una specie di centro commerciale, ma una vera e propria città. Dietro di loro arriva un altro gruppetto di venditori: nordafricani, subsahariani, indiani e pakistani. Vogliono vendermi vestiti su misura, rolex, televisori. Ognuno ha tra le mani un biglietto da visita e le parole “my friend” incollate sulle labbra.

Benvenuti a Chungking Mansions, un concentrato di 120 nazioni inglobate in unico edificio di 17 piani Tsim Sha Tsui, dove la penisola di Kowloon si protrae nella Victoria Bay. Siamo a Hong Kong, “il porto fragrante” dove s’intrecciano storie e leggende. Anche Chungking Mansions ha le sue.

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foto di Lorenzo Bagnoli

Due occhiali scuri, incorniciati da una parrucca bionda, s’intrufolano negli anfratti di Chungking Mansions. Negli interstizi laterali, come per i corridoi dei piani alti. Tra le bancarelle che vendono oggetti di pelletteria, cibo, vestiti come nei mini ristoranti incastonati all’interno, o nelle guest house. La telecamera ne segue i movimenti a scatti, trascinando ogni singolo fotogramma, come in un ralenti a singhiozzi. Poi stacca improvvisa: inquadra i comignoli del palazzo, che infilzano le nuvole, sempre basse e minacciose ad Hong Kong. “Ogni giorno sfioriamo così tanta gente. Persone che potremmo non incontrare mai o di cui potremmo diventare buoni amici”.

Così inizia Chungking express, uno dei primi film del regista Wong Kar-wai, l’autore di In the mood for love. Il film è del ’94 ma esce in Europa solo due anni dopo, con il titolo Hong Kong express. Nessuno conosce le Chungking, all’epoca. Wong Kar-wai le ha rese un luogo noto al mondo. Nulla è cambiato in 20 anni: anche i poliziotti indossano la stessa divisa dell’agente 633, uno dei personaggi del film. E inseguono immigrati clandestini o falsi proprietari di negozi.

Chungking Mansions negli anni ’80 è stata una delle zone incontrollabili della città, dove trovavano rifugio chiunque. La nomea conquistata in quegli anni tiene ancora lontano gran parte degli abitanti locali, soprattutto se giovani e di buona famiglia. Eppure il magazine Time, nel maggio 2007, l’ha bollato come “il migliore esempio di integrazione in corso”. Lo conferma il gestore di una specie di bar (dove puoi comprare ma non consumare la bevanda): “Tutto è cominciato nel 1969, quando solo ai primi tre piani c’erano indiani e pakistani che vendevano qualunque cosa. I legami erano stretti, frequentavano la stessa comunità: qui si pagava a credito. I pakistani hanno richiamato altri musulmani e dopo di loro sono arrivati quelli di Hong Kong. Ma puoi parlare con tutti: qui la gente è contenta di parlare d’affari”.

Anche la sicurezza ha fatto passi avanti consistenti: negli anni ’90 è stato messo in piedi un sistema con telecamere a circuito chiuso e preso un servizio di vigilanza 24 ore su 24. “Basta schiacciare un allarme che hanno tutti i negozi: in 15 minuti arriva qualcuno”, continua l’uomo. L’ultimo fatto di cronaca risale all’8 novembre: una turista canadese è scomparsa dopo aver passato una notte in una delle 98 guest house di Chungking Mansions. Alcuni locali raccontano anche di uno stupro di una ragazza, nell’androne di una scalinata, nel 2013. Episodi che però non inficiano un dato di fondo: Hong Kong ha un tasso di omicidi di 1,2 ogni mille abitanti. Una città più che sicura e Chungking Mansions non è da meno.

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Mano a mano che ci si addentra nel complesso diventa sempre più facile perdersi. Soprattutto quando si è scelto l’entrata secondaria come via d’accesso e non la scala mobile principale, che spalanca davanti agli occhi del visitatore uno spettacolo molto più simile ai centri commerciali cha hanno colonizzato Hong Kong. L’unica differenza sta nei padroni dei negozi. È talmente forte la presenza indiana che a Chungking Mansions girano solo dvd di made in Bollywood. Stesso dicasi per la musica e per le sartorie, dove è possibile portarsi a casa capi su misura. Anche la ristorazione è soprattutto indiana. Al “ristorante” (altro non è che un bancone con due tavolini) vegetariano si mangia in due con poco più di 70 dollari di Hong Kong, sette euro.

Il tempo passa e ancora nessuna traccia del negozio 30, dipartimento D. Sulla piantina dell’edificio non ha nemmeno una sua destinazione. Alla fine, dopo la terza volta che transitavo di fronte alla stessa agenzia di viaggi pakistana, trovo conforto in un nigeriano con un negozio di scarpe. “Il negozio di mister Wong è questo”. Fuori l’insegna dice “agenzia immobiliare”. Dentro non c’è altro che un computer. Nessuna traccia di mister Wong, ma c’è la sua assistente: “Ci è rimasto solo un piccolo negozio (circa 20 metri quadrati, la metà di un’abitazione media ad Hong Kong), ma lo diamo a un prezzo scontatissimo. Di che business vi occupate?”, chiede. “Ho una società con amici, vendiamo cellulari, elettronica”.

“Capisco. Il prezzo sarebbe 4.500 dollari al mese (450 euro). Un affare”, chiude. Mister Wong è uno dei 14 proprietari delle Chungking Mansions, un gruppo di persone che ha creato a sua volta un management a parte per risolvere le questioni amministrative. Sono loro a decidere le riparazioni e le ristrutturazioni. Ai negozianti non spetta far altro che vendere, al resto ci pensa Mister Wong e i suoi soci. Il prezzo non è male, ma trattando si potrebbe strappare anche qualcosa meno. “Ora ne parlo con i miei soci. Ci sentiremo nei prossimi giorni”. Non sarebbe male aggiungere la 121esima nazionalità alla lista dei businessmen di Chungking Mansions.



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