Scegliete l’ambiente sonoro della vostra stazione, recita un invito delle ferrovie SNCF francesi per le linee dell’Ile-de-France. Juliette Volcler, su Le Monde Diplomatique di agosto, scrive di marketing sonoro che invade le città. E non è solo un caso francese
di Angelo Miotto
28 agosto 2013. Prendete una metropolitana a Milano, Linea 1 rossa. Ci sono una serie di visori piazzati lungo la banchina che trasmettono immagini e un rullo di notizie. Se poi uscite a Centrale, vuol dire che avete cambiato sulla 2 verde o sulla 3 gialla, e salite fino ai binari della monumentale stazione ferroviaria vedrete una serie interminabile di monitor al plasma che corrono lungo i singoli binari.
Trasmettono tutti le stesse immagini, ma soprattutto lo stesso audio. Giratevi a cercare il grande orologio capace di sentenze irrimediabili sui nostri percorsi e con grade sofferenza di Hugo Cabret noterete che al suo posto ora c’è un enorme schermo che rimanda pubblicità e messaggi. Se prendete una Freccia per Roma e scendete a Termini, noterete che la selva di monitor (ma di chi è l’appalto? Solo per curiosità.) si ripropone ai vostri occhi.
Se prendete un taxi forse ora non vi succederà più quello che mi capitò alcuni anni fa: un rotore faceva schiudere un piccolo monitor all’inizio della corsa, imponendo immagini e audio al malcapitato viaggiatore. In quel caso chiesi di interrompere quel fastidioso rumore di messaggi promozionali non richiesti e non desiderati, ottenendo la risposta che non era possibile, una volta attivato. Ovviamente scesi dalla macchina e ne chiamai un’altra dopo essermi assicurato pace per le mie orecchie. Questo meccanismo, così come la televisione della metropolitana, o gli annunci pubblicitari della stazione centrale, sarebbero un ottimo spunto anche per ragionare su quanta parte del biglietto dovremmo avere rimborsato, per il fatto stesso di essere sottoposti a pubblicità, che le concessionarie vendono, guadagnando, sulla pelle del target, che siamo noi.
Ma rimaniamo sul pezzo e torniamo ai rumori e ai suoni delle nostre città, grazie allo stimolante articolo di Juliette Volcler, che scrive: “ Il paesaggio sonoro urbano resta per la maggior parte quello della seconda rivoluzione industriale: domina quello che gli esperti di acustica chiamano il ‘drone’ delle macchine. Un rumore di fondo grave e incessante nel quale si mescolano motori termici, climatizzazione e rumori ferroviari”.
Alcuni compositori, studiosi del suono della città, definiscono la nostra situazione come più vicina al proseguimento delle misure antirumore decise quarant’anni fa che una nuova dimensione creativa di un suono per le nostre città.
Uno dei casi che viene trattato con grande completezza di fonti nell’articolo riguarda uno dei protagonisti della nostra vita quotidiana: l’automobile. Qui l’audio branding è in piena attività soprattutto per la presenza sempre maggiore nel mercato di motori ibridi o elettrici. Citiamo ancora dall’articolo:
[blockquote align=”none”]Se l’industria si interessa così tanto al suono e ci tiene a farlo sapere, è per il fatto che il suo problema non è tanto quello di ridurre il rumore, ma di risolvere un problema legato al silenzio. I nuovi motori, quasi non udibili, diventano pericolosi per i pedoni e per gli altri automobilisti. «Il silenzio è ansiogeno», afferma Vincent Roussaire, ingegnere ricercatore in piscoacustica al laboratorio Neosound, Peugeot-Citroen.[/blockquote]
Ci sono altri esempi che riguardano alcune fermate della metropolitana parigina, dove la costruzione di materiale acustico serve per far sentire più breve il tempo di scorrimento fra i diversi sottopassaggi che uniscono più linee in un medesimo nodo, oppure con dei suoni di grilli, un insetto che fino a una quindicina di anni fa era ancora possibile trovare in alcune fermate. Qui l’obiettivo è duplice: stupire l’utente e nello stesso tempo recuperare un suono emozionale legato alla storia del luogo, oltre che funzionale.
Il tema del suono della città è senza dubbio intrigante, laddove però si parli di suono della città e non di marketing sonoro, dove nella parola inglese risiede tutto il lato oscuro della propaganda, cioè dell’utilizzo di sempre più sofisticate teorie e tecnologie al fine di modificare i nostri comportamenti che riguardano, nel 99 percento dei casi, quelli dedicati al consumo, all’acquisto. Non è un caso che il sound design, dagli anni 80 a oggi, abbia avuto un ottimo cliente proprio nell’industria dell’automobile. Così come spesso parliamo di inquinamento acustico, ma non è cosa comune affrontare il tema del suono –non del rumore – della città proprio con i diretti interessati, i cittadini stessi.
[blockquote align=”none”]Forse si ritiene che sia un tema secondario, mentre a tutti noi sarà capitato di passeggiare per le vie della nostra città in una situazione di relativo silenzio. Ma il silenzio fa paura, crea ansia e, di fatto, chi lo vuole cercare ormai deve allontanarsi o entrare in un luogo di culto. Il diritto al silenzio, però, pare cosa persa. Il diritto non a un vuoto pneumatico, ma a non essere invasi, a non subire interferenze nel proprio padiglione auricolare.[/blockquote]
Dal walkman all’Ipod, agli Smartphone è un brulicare di cuffiette bianche o di cuffie più serie e presenti, di ottimo design e colori à la page. Ma anche qui fin dove arriva la scelta di ascoltare una propria playlist e quanto, invece, la moda o la tendenza condiziona il fatto stesso di inserire degli altoparlanti nelle orecchie, che siano bianchi, che mi aiutino a sentirmi parte di una comunità estesa, contemporanea?
Quale che sia il futuro delle nostre orecchie nelle città un dato è certo: il paesaggio sonoro è in continuo cambiamento ed è a un momento di snodo. La propaganda di consumo, o i tentativi di migliorare condizioni di viaggio dia nell’auto che nei trasporti pubblici o su ferro sono stati pragmatici pionieri rispetto a studi che dai laboratori vanno a disegnare futuri avveniristici.
Ma il fascino dell’improvvisazione, in modelli di società che vedono ancora lo strapotere del più ricco, forse non può essere l’unica chiave possibile, così come ogni tentativo di regolamentazione presenta il limite – e il rischio – della proibizione.
Alla fine molto, in un sistema capitalista consumistico, risiede nel potere di chi consuma, cioè noi. Troppo atomizzati per rappresentare una seria minaccia, o un parametro politico da temere, troppo anestetizzati dalle logiche che ci pervadono ossessivamente e quotidianamente, abituati a subire, troppo spesso, le novità che si spacciano per moda, tendenza e progresso e sono solo test su cavie destinate all’acquisto.
Anche un ambiente rarefatto di una domenica mattina, con poche fonti di suono o rumore che vengono dai palazzi sulla strada, è una bella esperienza che può appagare l’orecchio o non disturbare il flusso dei nostri pensieri che non hanno bisogno di nessun marketing sonoro per moltiplicarsi.