All’improvviso i protagonisti di uno spettacolo di magia che conoscono a memoria, si sono accorti che le reazioni del pubblico sono cambiate. Nessuna standing ovation al momento del numero clou; nessuna trepidazione all’acme magica, nessuna immedesimazione con l’eroe mago che infila le spade nell’involucro che avvolge la sua bella assistente. Attoniti, i maghi guardano il pubblico di pietra. Cosa è successo? Tre insider dello spettacolo, quelli che conoscono bene ogni gesto e piega dello spettacolo, hanno parlato. Hanno svelato il trucco.
di Nicola Sessa, da Berlino
È così che deve esseri sentito David Cameron quando la Camera dei Comuni ha respinto la sua appassionata chiamata alla guerra. È così che deve sentirsi Barack Obama, già ribattezzato il presidente Tentenna, che in questi giorni di attesa (fino al 9 settembre) è messo sulla graticola dall’opinione pubblica americana: da quelli che volevano più decisione e un’azione di guerra immediata senza il vaglio del Congresso; da coloro che gli chiedono di rinunciare al Premio Nobel per la Pace visto il suo istinto di guerrafondaio. Umiliati, offesi, sbeffeggiati.
In realtà, per la prima volta, chi doveva prendere la decisione di muovere un’ennesima guerra nel Grande Medioriente ha dovuto considerare gli occhi attenti del pubblico che adesso conosce il trucco. Per la prima volta, e fuori dai toni scandalistici, pesa l’effetto Assange-Manning-Snowden, i tre che hanno raccontato al mondo gli orrori, le bugie e le meschinità delle guerre combattute da tredici anni a questa parte: dagli inseguimenti del mullah Omar imprendibile a bordo della motocicletta sulle mulattiere afgano-pakistane alle armi chimiche in Iraq inventate di sana pianta dall’amministrazione Bush. Fino alle torture di Abu Ghraib e Bagram e all’uccisione di civili inermi da parte di soldati che premevano il grilletto ridendo ed esultando come se stessero giocando a un videogame. Tutto questo pesa sul giudizio di chi deve decidere. Anche per questo Obama deve aver deciso di dividerne il peso con il Congresso.
Troppe le tessere oscure nella composizione di un quadro senza cornice che supera i confini della Siria e invade le tele intrecciate di altri paesi, rischiando di mandare in frantumi gli equilibri traballanti di un gigantesco Mikado. Tutti si muovono cautamente: senza Onu non si fa niente. Lo dicono le cancellerie di Roma e Berlino. La via diplomatica deve prevalere, affermano Mosca e Pechino. Solo il francese Hollande, che insieme a Obama detiene la palma della delusione delle sinistre europee, è pronto a mettersi in scia agli americani e a bombardare quanto prima, all’inseguimento della grandeur dell’impero sulle orme del predecessore Sarkozy.
Restano i dubbi. Non sull’uso dei gas Sarin, che sembra ormai appurato. Ma su chi li abbia usati. Li ha davvero usati il governo siriano dopo due giorni dall’arrivo degli ispettori internazionali? Li hanno usati i ribelli che hanno provocato il superamento della “red line” tracciata da Obama? Resta il dubbio sul funzionamento logico della comunità internazionale che rimane inerme per due anni – soprattutto a livello diplomatico – tacendo su decine di migliaia di morti ammazzati da armi da fuoco per poi esplodere sul quanto meno dibattuto uso di armi chimiche. Tanto più quando salta fuori che neanche un anno fa, lo stesso governo di Cameron che oggi chiama alle armi i soldati di sua maestà ha autorizzato l’esportazione e la vendita alla Siria di fluoruro di potassio e fluoruro di sodio, due componenti essenziali per il gas nervino.
La vicenda siriana metterà a dura prova la tenuta del fronte occidentale, non soltanto sul profilo politico e militare, ma soprattutto etico e morale. Forse non esagera chi, paventando una frattura insanabile, evoca il pericolo di un conflitto mondiale.