Un caldo autunno

Quando a maggio abbiamo incontrato Luciano Gallino, il governo Letta aveva giurato da poco meno di una settimana. Dopo due mesi di stallo politico, Napolitano ha intravisto nella condivisione delle responsabilità tra le forze politiche, l’unica via di scampo da una situazione che si era incancrenita fino a colpire i punti nodali dell’economia del paese.

di Nicola Sessa, da Berlino

6 settembre 2013. Il governo Letta, forte dell’appoggio di Pd e Pdl, avrebbe dovuto rimettere sui binari della recovery un sistema paese complesso, fatiscente e bloccato da politiche clientelari, prassi corrotte, disordine amministrativo. La parole chiave, lanciata dal Quirinale e ripresa dalle parti in gioco, è stata “pacificazione”. Come se fossimo usciti da un conflitto civile – e così forse è – dove si sono combattute fazioni che raramente hanno inseguito gli interessi del paese preferendo interessi particolari e personali, affaristici e propri di circoli di potere che poco hanno a che fare con il senso politico e civico.

Luciano Gallino, voce eminente tra gli accademici, aveva già allora previsto la nascita di un fiore sterile incapace di dialogare con i lavoratori del paese, con gli imprenditori e anche con l’Europa. Troppo distratta questa politica, troppo lontana dalla realtà delle cose. Cieca.

Luciano Gallino for Qcodemag.it from nicola sessa on Vimeo.

In Italia c’è una massa di dieci milioni di persone che non ha più un lavoro o non ha mai avuto accesso al lavoro. Questo il calcolo del professore Gallino: ben oltre le stime riduttive dell’Istat che non tengono conto dei cassintegrati – che di fatto non lavorano, pur avendo un contratto – di quei precari che lavorano un mese, di quei lavoratori impiegati nel sommerso senza un futuro e senza tutele.

Il pericolo è enorme: il lavoro è il pilastro su cui si fonda la Repubblica italiana. Mai, dal dopoguerra ad oggi, si era registrato un così elevato numero di persone emarginate dal mondo del lavoro. Ciò pone un problema di sicurezza sociale. Difficile farsi conquistare dall’ottimismo di Letta e Saccomanni che annunciano un giorno sì e un no, la grande ripartenza per l’economia italiana anche se ogni due ore un imprenditore fallisce e il numero degli esercizi commerciali che chiudono è superiore alle nuove aperture.

L’Italia è in coda: in coda ai paesi maggiormente sviluppati, in coda ai cosiddetti Pigs – i paesi del bacino mediterraneo maggiormente colpiti dalla crisi – in coda nella competitività. Tutto ciò rappresenta in maniera cristallina le responsabilità di una classe politica inetta, cieca e incapace di proteggere il tessuto economico e sociale: misure populistiche e popolari come l’abolizione dell’Imu comportano, dall’altro lato della bilancia il taglio drastico alle risorse di stimolo al lavoro, di servizi importanti – già decapitati nel corso degli ultimi anni – per la parte più debole dei cittadini.

Su tutto questo, aleggia lo spettro delle destre violente, dell’autoritarismo. Non a caso, nell’intervista che ha concesso a Qcode, Gallino cita “La grande trasformazione”, del sociologo austroungarico Karl Polanyi. Nei momenti di grande disordine, malcontento, compressione dei diritti, si può giungere a due tipi di reazione: una progressista che parte dell’area di sinistra, l’altra oscura, violenta, autoritaria che lastrica la strada all’uomo forte di turno che usa gli stessi slogan, le stesse parole egualitarie provenienti da sinistra, ma con scopi, toni e accenti del tutto differenti.

L’Europa che dovrebbe vigilare ed evitare certe derive, si sta dimostrando anch’essa impotente, incapace di agire: dall’Ungheria alla Francia, dalla Finlandia all’Austria fino alla Grecia le forze populiste di destra con forti connotazioni fasciste conquistano consensi settimana dopo settimana. Fidesz a Budapest, Front National a Parigi, Xrysi Avgi ad Atene si muovono sempre più indisturbati e a viso aperto facendo leva su temi razziali le cui parole si traducono di frequente in fatti di violenza, qualche volta in assassinii.



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