Tu chiamala, se vuoi, islamofobia

Tahar Ben Jalloun riflette sul film Argo e sugli stereotipi hollywoodiani

Tahar Ben Jelloun, per la Repubblica del 12-11-2012, tratto dal blog di Amedeo Ricucci

9 settembre 2014  – “Un tempo andavamo al cinema per sognare, per invitare Ava Gardner o Sofia Loren a entrare a far parte delle nostre fantasie. Ci piacevano quelle storie d’amore che finivano male, eravamo felici di aver potuto vivere per un’ora o due tra le braccia immaginarie delle donne più belle del mondo.

Questo accadeva prima che la politica s’impadronisse della settima arte per fare propaganda a colpi di effetti speciali, con inseguimenti di macchine sui tetti di Istanbul o esplosioni nei mercati popolari di Kabul o Islamabad.
Abbandonati i sogni meravigliosi e il «glamour», si punta sul tema del «pianeta in pericolo». E questo pericolo oggi è l’Islam.

Evidentemente, quello sfigurato da Al Qaeda, o esibito da terroristi e trafficanti di droga per giustificare la loro barbarie, come sta avvenendo anche in questo momento nel Nord del Mali. Nella celebre serie «Homeland » si assiste alla visita di un agente della Cia a Beirut.

islamofobia

Una caricatura. Fin dall’aeroporto, nient’altro che donne velate di nero, come in un feudo dei Taliban. Si dà il caso che io sia nato a Beirut alla fine di ottobre, poco dopo l’assassinio di Wissam al Hassan. E ho avuto modo di constatare la modernità, il
dinamismo di questa città che non ha perduto nulla della sua energia e delle sue speranze, dove le donne sono vestite come le europee; e se alcune portano il velo, non hanno nulla a che vedere con l’immagine diffusa dal serial americano. Bene ha fatto il ministro del Turismo a denunciare il modo in cui «Homeland» descrive la capitale libanese.

Ha certamente ragione, anche perché questo serial, celebrato e premiato con vari Oscar, è distribuito in tutto il mondo e sta appassionando centinaia di milioni di telespettatori. Ma una denuncia contro una produzione di così grande portata e potenza non basta certo a ricostituire un’immagine veritiera del mondo arabo. Nell’immaginario americano, oggi l’Islam e il mondo arabo hanno preso il posto del comunismo. In passato si combatteva con ogni mezzo contro il pericolo comunista (tanto che tuttora il popolo cubano soffre nella propria carne per l’embargo economico imposto dall’America, che neppure un presidente come Obama ha osato ammorbidire, e men che meno abolire).

Ai bambini si diceva che il diavolo veniva dai Paesi comunisti. Ma poiché ormai l’Unione Sovietica si è dissolta, il muro di Berlino è caduto e il comunismo è relegato in Cina e nella Corea del Nord, ci si è rivolti a un nuovo diavolo: l’arabo, il musulmano. Evidentemente, non mancano gli arabi e i musulmani che si impegnano notte e giorno per accreditare nel mondo intero quest’immagine odiosa e devastante, propagando un terrorismo atroce, le cui principali vittime sono gli stessi musulmani. Certo, dall’11 settembre 2001 è stato fatto di tutto per dirigere la lotta contro il mondo islamico e arabo. Al Qaeda è il migliore alleato di quell’America che ha reso tutti gli arabi sospetti, e vede in ogni musulmano un potenziale terrorista.

Chi, come me, viaggia parecchio nel mondo ha avuto occasione di constatare fino a che punto un nome arabo su un passaporto (il mio è francese) susciti diffidenza e sospetti. Nel 2003 mi è capitato di essere trattenuto per varie ore in un box dell’aeroporto di Newark, senza aver fatto nulla di strano o di illegale, e senza che nessuno mi abbia dato spiegazioni. Il mio crimine era quello di essere arabo. Casi del genere si verificano tutti i giorni, ai danni di centinaia di migliaia di viaggiatori. Abbiamo una cattiva reputazione. Siamo percepiti come lo erano i comunisti ai tempi della guerra fredda. In un recente film americano di grande successo, «Argo», con Ben Affleck che ne è anche il regista, si racconta come nel 1979 la Cia riuscì a far uscire dall’Iran sei funzionari dell’ambasciata americana che si erano rifugiati presso quella canadese: una vicenda realmente accaduta.


L’Iran vi è rappresentato nel modo più orrendo possibile. Può darsi che all’epoca i guardiani della rivoluzione fossero veramente individui fanatici e brutali. Ma ciò che questo film suggerisce allo spettatore in maniera molto efficace è l’immagine di un Islam selvaggio, sanguinario e violento. Mi ha ricordato un altro film: «Midnight Express», che tanto male aveva fatto a suo tempo alla Turchia. Non provo alcuna simpatia per il regime iraniano e la sua rivoluzione. Ma il mio pensiero va a quella popolazione, già costretta a subire il regime degli ayatollah. Perché penalizzarla ancora rappresentandola in un modo che non corrisponde affatto alla realtà? Viviamo in un sistema privo di sfumature, che rifiuta la complessità: bianco o nero, vero o falso, buono o cattivo, il
bene o il male.

 Ogni cosa è vista attraverso un prisma che sacrifica la verità. Ma non lamentiamoci, non accusiamo gli americani se non ci rispettano. Sta a noi, agli arabi coscienti di questa situazione lottare all’interno delle nostre società, contro gli impostori, i falsificatori, i bugiardi, gli inquinatori che corrompono la nostra immagine e la nostra storia, sacrificando il futuro dei
nostri figli. Fintanto che i nostri Paesi non saranno divenuti Stati di diritto, con istituzioni realmente democratiche e con una cultura della libertà, saremo sempre soggetti ai perturbatori che ci confinano nell’arretratezza, nel pauperismo, nel sottosviluppo intellettuale.


C’è tanto da fare nei nostri Paesi per ristabilire un’immagine veritiera e rispettata della nostra identità, della nostra religione e del nostro essere. Ma finché continuerà l’ingerenza della religione nella politica, finché regnerà la confusione tra la ragione e la fede, offriremo agli americani, e agli occidentali in genere, le migliori occasioni possibili per rappresentarci come
caricature, o come marionette.

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