Intervista ad Antonia Battaglia, militante del Fondo Antidiossina e di PeaceLink, che da anni si batte contro l’inquinamento ambientale di Taranto
di Alessandro Ambrosin, tratto da DazebaoNews
Mentre la lettera di Enrico Bondi inviata al governatore della Puglia fa ancora discutere a Taranto si continua ad assistere alla lenta morte di una città, il cui futuro è stato inesorabilmente segnato dall’assoluto isolamento in cui versa, grazie soprattutto alle mancate politiche.
Abbiamo incontrato Antonia Battaglia esponente di Peacelink e del Fondo Antidiossina che da anni si batte contro lo stato ambientale che, prima l’Italsider e poi l’Ilva, hanno drammaticamente provocato su questo territorio. Giovedì scorso avete per la seconda volta relazionato in Commissione Europea le ultime notizie sulla gravità della situazione dell’Ilva …
Sì esatto, va precisato che oltre alla recente relazione siamo da qualche mese costantemente in contatto sia con la Commissione Europea che con il Parlamento Europeo, ai quali comunichiamo tutti gli aggiornamenti sulle questioni legate all’Ilva e sulla gravità della situazione ambientale che registriamo quotidianamente nella città di Taranto. (LEGGI LA RELAZIONE)
In sostanza cosa emerge dalle ultime relazioni…
Dopo il sequestro dello scorso anno disposto dal gip Patrizia Todisco e dopo il recente decreto 61, meglio conosciuto come “salva Ilva bis” che dopo aver incassato il sì della Camera, la situazione non solo è rimasta immutata, bensì è addirittura peggiorata. Quello che l’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale, ha prodotto in questi mesi in termini di prescrizioni non è mai stato rispettato proprio nei suoi punti piu’ importanti. Nessun sistema di monitoraggio previsto dall’AIA, ad esempio, è ancora stato installato. E di questo ne tengono conto anche le nostre relazioni in cui si esprime lo stesso parere del garante e della magistratura.
Per quali motivi vi siete rivolti all’istituzione europea?
Quando ci siamo resi conto che questa strada alternativa poteva rappresentare una speranza. La promessa di cooperazione con il governo italiano e quindi con l’Aia, infatti, andava nettamente contro le nostre aspettative. Insomma il cerchio si stava chiudendo attorno alla città nel disinteresse generale delle istituzioni, tant’è che la situazione sanitaria epidemiologica a Taranto non è solo peggiorata, ma con il varo dell’Ilva bis, rischiamo di perdere definitivamente anche il nostro unico interlocutore diretto, ovvero l’Aia con il suo garante, che comunque rappresenta un organo di controllo importante. Ma non solo. Anche il sequestro avvenuto il 24 maggio pari a 8,1 miliardi di euro sequestrati alla famiglia Riva su disposizione del gip Todisco, rischia di essere dissequestrato con un nulla di fatto.
Abbiamo già relazionato il 15 maggio e l’11 luglio scorso direttamente con il gabinetto di Janez Potočnik, il Commissario Europeo per l’ambiente e poi direttamente con Karl Falkenberg, Direttore generale della Direzione Generale Commissione Europea Ambiente. A loro trasmettiamo tutti i dati aggiornati in tempo reale, come l’aumento dei tumori, l’incremento della malattie infantili pediatriche e non ultimo il ritrovamento di tracce di diossina anche nell’acqua e non soltanto nelle emissioni atmosferiche com’era già stato appurato.
Intanto però all’Ilva si continua a produrre…
Sì. L’ilva, nel frattempo, continua a produrre a ritmi molto più serrati di prima e sappiamo con certezza che qualsiasi controllo viene automaticamente eluso. Perfino le 94 prescrizioni di cui si parla nella relazione dell’Aia e che avrebbero dovuto porre dei successivi divieti non sono mai state osservate come quando la loro attuazione comportava un costo, un investimento, come riporta l’ultimo rapporto del garante datato 2 luglio 2013.
La cosa grave è che gli operai, non solo sono costretti a lavorare in un ambiente altamente inquinato e lesivo per le loro vite, come attesta l’ordinanza del Gip Todisco, ma vivono la loro condizione come un costante ricatto in cui l’occupazione diventa l’unica fonte di sostentamento da preservare a tutti i costi visto che molti sono padri di famiglia monoreddito.
Cosa ne pensi delle recenti dichiarazioni di Enrico Bondi, che parla di morti a Taranto causate dal fumo e dall’alcol?
Sono parole offensive e oltraggiose per la città e per i suoi abitanti. Nel quartiere Tamburi bisogna tenere le finestre sempre chiuse perchè spesso respirare quell’aria provoca malesseri continui. Forse Bondi non sa neppure che proprio nel cimitero di Taranto il sindaco ha emesso un’ordinanza che obbliga gli addetti allo scavo e alla tumulazione dei defunti di indossare delle tute integrali, poichè il terreno è talmente impregnato di inquinanti che smuoverlo può produrre gravi effetti.
Mi sembra di capire che le speranze siano davvero poche, almeno in Italia. Esiste qualche soluzione fattiva?
Direi siamo senza speranze. Tuttavia abbiamo degli esempi dall’estero dove stabilimenti industriali sono stati messi in sicurezza dal punto di vista ambientale con investimenti importanti. Insomma se la politica agisse di conseguenza anche in Italia l’Ilva potrebbe innescare una procedura di produzione cancellando l’impatto inquinante come accade in molti parti del mondo dove la politica ambientale è al centro delle agenda politica.
In Italia, c’è da aggiungere, che dell’ambiente interessa ben poco. E non interessa neppure quando i numeri dei morti emergono con le loro cause. E al danno ambientale, si aggiunge anche quello sanitario, sociale, e umano che spesso vengono irrimediabilmente colpiti.
A Taranto su un raggio di 20 E PIU’ chilometri da dove sorge lo stabilimento è una zona da considerarsi contaminata. Ci sono tutte le condizioni per poter parlare di un vero e proprio disastro ambientale. Insomma, la città sta morendo. E tutto ciò avviene nel silenzio assordante delle istituzioni. C’è solo da sperare, e questo è il nostro auspicio, che la commissione europea possa continuare ad investigare e porti avanti una procedura d’infrazione contro l’Italia.