Tribunale dell’Aja: il fattore Harhoff

La rimozione del giudice Harhoff dal processo Šešelj solleva nuove polemiche sul Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia, avviato a concludere la propria esperienza in un finale di partita sempre più complicato

di Andrea Rossini, tratto da Osservatorio Balcani Caucaso

3 settembre 2013 – La rimozione del giudice Harhoff dal processo Šešelj solleva nuove polemiche sul Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia, avviato a concludere la propria esperienza in un finale di partita sempre più complicato

Il giudice Frederik Harhoff è stato rimosso dal collegio che quest’autunno avrebbe dovuto emettere la sentenza a carico di Vojislav Šešelj.

Il fondatore del Movimento Cetnico Serbo, poi presidente del Partito Radicale, accusato dalla Procura dell’Aja di persecuzione, omicidio e tortura, è in carcere in attesa di giudizio dal febbraio 2003.

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Giovedì scorso l’ex politico serbo, che conduce da solo la propria difesa, ha visto accogliere la propria istanza di ricusazione del giudice Harhoff.

Secondo Šešelj, il giudice andava allontanato dal processo per la sua presunta “parzialità”.

Una lettera incendiaria

Frederik Harhoff è il giudice che, il 6 giugno scorso, ha scritto una lettera che accusava il presidente del Tribunale dell’Aja, Theodor Meron, di aver esercitato indebite pressioni sui giudici per ottenere delle assoluzioni in alcuni dei più controversi giudizi emanati recentemente dall’Aja (Gotovina e Markac, Stanišić e Simatović, Perišić).

Meron, che è un cittadino statunitense, avrebbe agito su indicazione del proprio governo per evitare si stabilissero nel diritto penale internazionale dei pericolosi precedenti in materia di responsabilità di comando, precedenti che avrebbero poi potuto essere utilizzati in altri contesti geografici e militari contro gli Stati Uniti.

La lettera di Harhoff, inviata a 56 suoi colleghi, era filtrata ad un quotidiano danese che l’aveva resa pubblica.

Nel silenzio generale da parte delle istituzioni sulle accuse fatte da Harhoff, Šešelj è riuscito a provare con successo la “parzialità a favore della condanna” dimostrata dal giudice.

Il collegio ristretto chiamato a decidere sull’istanza presentata da Šešelj ha infatti deliberato in tal senso, stabilendo che “nella lettera [pubblicata dalla stampa danese], il giudice Harhoff ha mostrato parzialità […]”

Uno scenario imbarazzante

In base alle procedure del Tribunale, se un giudice viene revocato sulla base di accuse di parzialità, il presidente della Corte assegnerà al caso un altro giudice.

Secondo alcuni giuristi, tuttavia, la ricusazione del giudice dovrebbe portare all’annullamento del processo e alla liberazione dell’imputato.

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Secondo Dov Jacobs, professore di diritto internazionale all’università di Leiden, citato da Rachel Irwin in Uncertainty Over Seselj Case After Judge’s Removal (IWPR), Šešelj potrebbe infatti ora presentare una mozione per ottenere la cancellazione dell’intero procedimento. “La logica vorrebbe che il processo venisse concluso e Šešelj liberato – ha dichiarato Jacobs. Ogni ragionevole standard di giusto processo prevede che se un procedimento collassa dopo 10 anni, sarebbe ingiusto cominciarlo da capo.”

Il lungo processo a carico di Šešelj è dunque nuovamente in questione. La storia di questo caso è già sufficientemente intricata. Il procedimento avrebbe dovuto cominciare nel 2006, ma fu rimandato a seguito dell’inizio di uno sciopero della fame da parte dell’imputato. Dopo che il processo ha infine avuto inizio, nel novembre del 2007, ci sono state ulteriori interruzioni anche a seguito dell’avvio di altri procedimenti a carico di Šešelj, che nel frattempo è stato condannato per oltraggio della Corte e per aver rivelato l’identità di testimoni protetti.

Ora nell’ipotesi più lieve, quella cioè di un semplice avvicendamento nel collegio giudicante, ci sarà un ulteriore prolungamento. Il nuovo giudice dovrà infatti essere nominato, e avrà bisogno di tempo per studiare il caso e analizzare le prove presentate. La sentenza era originariamente prevista per il 30 ottobre. Difficile che questa data venga rispettata.

Un tribunale è soltanto un tribunale

Un’altra conseguenza di quanto avvenuto nell’ultima settimana di agosto all’Aja potrebbe essere la rimozione del giudice Harhoff dagli altri processi che lo vedono impegnato, o la revisione di processi conclusi ai quali il giudice ha partecipato (ad esempio quello contro l’ufficiale di polizia serbo bosniaco Mićo Stanišić o quello contro il comandante dell’esercito bosniaco Rasim Delić, nel frattempo deceduto).

Se Harhoff non presenta garanzie di imparzialità per Šešelj, le può presentare – o aver presentate – per altri? I diversi collegi difensivi stanno verosimilmente già preparando le proprie mozioni.

Per quanto riguarda più in generale la credibilità del Tribunale dell’Aja, si tratta di un ulteriore colpo ad un patrimonio ampiamente dissipato nel corso dell’ultimo anno, in particolare a seguito delle sentenze menzionate nella lettera del giudice Harhoff, che sono risultate incomprensibili alle vittime, familiari e persone sopravvissute ai crimini dei quali le persone prosciolte erano accusati.

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La vicenda Harhoff – che alcuni già sintetizzano come la riduzione al silenzio di una persona che aveva osato raccontare dall’interno quanto stava avvenendo nel Tribunale – non farà che rafforzare ipotesi cospirative e complottiste, che da sempre accompagnano la difficile vita della giustizia penale internazionale, e che si sono moltiplicate in questo lungo crepuscolo del Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia.

Questo Tribunale, creato 20 anni fa dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, era stato caricato sin dall’inizio da attese di ogni tipo, quasi si trattasse di un’istituzione messianica in grado di portare pace e riconciliazione nella regione. Come notato però in un commento pubblicato recentemente da Jelena Subotić, professore associato di scienze politiche alla Georgia State University di Atlanta, si trattava solamente di un tribunale. Ha lavorato nella totale assenza di meccanismi extra giudiziali per il confronto con il passato, di strumenti di giustizia transizionale, quali commissioni per la verità e la giustizia, o di programmi rivolti alla conservazione di una memoria che consentisse uno sguardo comune sul passato e il futuro della regione.

Il Tribunale è rimasto così da solo, incaricato allo stesso tempo di dare giustizia alle vittime e di fornire un rendiconto storico di quanto accaduto, modificare i diversi punti di vista sul passato, portare alla riconciliazione. Una responsabilità, sottolinea la Subotić, che il Tribunale non avrebbe mai dovuto assumere. La semplice amministrazione della giustizia per i crimini compiuti in Europa negli anni ’90 era già un compito immane.



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