SACRO GRA
scritto, diretto e fotografato da Gianfranco Rosi, da un’idea di Niccolò’ Bassetti.
Uscita: 19 settembre 2013
di Irene Merli
Per la maggior parte degli italiani il raccordo anulare è solo e soltanto una sorta di incubo tutto romano, dove si verificano code e ingorghi di ore, inimmaginabili nel resto del Paese. Ai cittadini dell’Urbe, che spesso o tutti i giorni lo devono affrontare, evoca stress, invettive, pianificazioni di ore per evitare i blocchi, appuntamenti perduti e un frastuono continuo. In effetti il Gra (Grande raccordo anulare) è una “périphérique” lunga 70 chilometri, che avvolge Roma come un anello di Saturno.
E Gianfranco Rosi, fine documentarista che di solito gira il mondo per quello che definisce il suo ” cinema del reale”‘ , questa volta ha girato in tondo sull’autostrada più vasta d’Italia per due anni, in minivan, perdendosi in un deserto metropolitano.
A farlo innamorare del Gra è stato Niccolò Bassetti, un paesaggista che per professione si occupa di identità di luoghi. In quei 70 chilometri Bassetti aveva girato per 15 giorni, zaino in spalle, percorrendone 300. E poi, per una serie di coincidenze, ha voluto dare il suo materiale a Rosi, che è partito anche lui per il suo viaggio, trovando in quel luogo agorafobico una città oltre la citta, sconosciuta e sorprendente. Un paesaggio umano che illustra quello urbano, in cui ha trovato esistenze di solito invisibili, particolari, marginali, che al momento della narrazione filmica non sono raccontate in modo lineare, come in una storia che ha un inizio e una fine.
Ed ecco chi ci fa incontrare Rosi durante la proiezione. Un professore piemontese che vive con una figlia laureanda in un monolocale di un moderno condominio ai bordi del raccordo, accanto a un dj peruviano. Un botanico che combatte una guerra senza quartiere contro il micidiale punteruolo rosso che sta divorando il suo palmeto, utilizzando sonde sonore, computer e termini militareschi. Un principe decaduto ( già cult in rete) che affitta la sua magione lussuosamente kitch assediata dalle palazzine di periferia come set di fotoromanzi, teatro per bambini, sede di convention e bed & breakfast.
Un saggio anguillaro che vive con la moglie ucraina su una zattera all’ombra di un cavalcavia sul Tevere, un barelliere del 118 che gira giorno e notte sul famigerato anello autostradale. Un paio di transessuali che lavorano in caravan e due ragazzine-immagine di un bar, dove la gente lascia i bicchieri tra i loro tacchi a spillo. A un certo punto si vede pure una massa di fedeli, circonfusi di luce, che guardano un’eclisse al Divino Amore e la attribuiscano alla Madonna.
Il deserto d’asfalto, insomma, brulica di vita. E i suoi abitanti, come dice Rosi, sono attori che recitano senza sapere di recitare, si rappresentano nella poetica e nella verita’ della loro esitenza. Il risultato è la distruzione delle convenzioni sul documentario, un montaggio abilissimo e ad effetto, un film senza nessuna forzatura o nessun voyeurismo che riesce nell’intento di far perdere lo spettatore nel Gra senza mai parlarne e facendolo vedere il minimo possibile.
P.s. Il lavoro di documentazione di Niccolò Bassetti diventerà un libro scritto con Sapo Matteucci e le foto e il materiale raccolto saranno esposti in febbraio in una mostra di Massimo Vitali e i suoi allievi.