A causa di ciò che sono

Amnesty International sollecita l’Unione europea a combattere la violenza omofobica. In Italia manca ancora una legge per contrastare i crimini d’odio basati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere

tratto da Amnesty International Italia

19 settembre 2013 – In un rapporto pubblicato ieri, Amnesty International ha dichiarato che l’Unione europea (Ue) e i suoi stati membri non stanno contrastando i crimini d’odio omofobico e transfobico né proteggono le persone dalla discriminazione, dalla persecuzione e dalla violenza.

“La violenza motivata dall’odio ha un effetto particolarmente dannoso e a lungo termine sulle vittime. Ciò nonostante, l’Ue e molti dei suoi stati membri non riconoscono come crimini dell’odio, nelle loro legislazioni, i reati basati sul presunto o reale orientamento sessuale o sull’identità di genere. È un fatto inaccettabile, poiché l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono motivi di discriminazione vietati dal diritto internazionale dei diritti umani” – ha affermato Marco Perolini, esperto di Amnesty International sulla discriminazione in Europa e Asia centrale.

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Il rapporto di Amnesty International, intitolato A causa di ciò che sono: omofobia, transfobia e crimini d’odio in Europa“, mette in luce le lacune esistenti nella legislazione di molti paesi europei in cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere non sono espressamente compresi nei motivi per cui i crimini d’odio possono essere perpetrati. Il rapporto evidenzia, inoltre, l’inadeguatezza degli standard dell’Ue sui crimini d’odio in materia di contrasto della violenza omofobica e transfobica.

Il movente discriminatorio differenzia i crimini d’odio da altri atti criminali. Nelle indagini e nei procedimenti su reati commessi sulla base del reale o percepito orientamento sessuale o dell’identità di genere della vittima, è fondamentale che la polizia e le autorità giudiziarie facciano tutto il possibile per smascherare i motivi che si celano dietro al compimento del crimine.

Secondo un recente sondaggio all’interno dell’Ue, l’80 per cento dei casi di violenza omofobica e transfobica non viene denunciato alla polizia, spesso per timore di un’ulteriore vittimizzazione a causa di un’omofobia e transfobia istituzionalizzate. In altri casi, i gay non apertamente tali non segnalano gli attacchi subiti perché hanno paura di essere scoperti da coetanei e parenti.

In paesi come Bulgaria, Germania, Italia, Lettonia e Repubblica Ceca non esiste una normativa completa sui crimini d’odio in quanto non sono compresi i reati contro le persone a causa del loro reale o percepito orientamento sessuale e dell’identità di genere. In altri paesi, come Croazia e Grecia, le leggi contro i crimini d’odio omofobico e transfobico non vengono adeguatamente applicate, col risultato che talvolta i motivi omofobici e transfobici non vengono registrati dalla polizia o indagati in modo approfondito.

Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto di Amnesty International segnala il caso di Michelle, una giovane transgender di Catania che nel febbraio 2012 è stata picchiata da numerose persone a causa della sua identità di genere. Durante l’aggressione, gli uomini le gridavano frasi offensive come “Fai schifo! Tu sei un uomo, un frocio sei!”

Michelle ha denunciato l’aggressione alla polizia e uno dei presunti responsabili è stato identificato. Tuttavia, a causa delle lacune nella legislazione penale italiana l’odio transfobico non sarà esplicitamente preso in considerazione come movente nel perseguimento di questo crimine o nella determinazione della  condanna e della pena.

“Mi volevano massacrare solo a causa di ciò che sono, perché ho una faccia un po’ mascolina e perché hanno capito che sono transgender dalla mia voce” – ha denunciato Michelle.

Il 30 settembre 2008 Mihail Stoyanov, uno studente di medicina, è stato ucciso a Sofia, capitale della Bulgaria, perché ritenuto un omosessuale. Cinque anni dopo, il processo nei confronti dei due presunti responsabili non è ancora partito. Sebbene le indagini abbiano accertato l’esistenza di un movente discriminatorio, questo non sarà tenuto in considerazione durante il processo. I ritardi della giustizia stanno avendo un drammatico impatto su Hristina, la madre della vittima, che è rimasta senza sostegno psicologico o di qualsiasi altro genere da parte delle autorità.

“L’Ue e i suoi stati membri hanno l’obbligo di combattere la discriminazione, ma non possono darvi seguito senza adottare misure adeguate contro tutte le forme di crimini d’odio. I doppi standard attualmente vigenti danno l’idea che alcune forme di violenza meritino meno attenzione e meno protezione di altre. Questo è inaccettabile, per un’Ue che si vanta di promuovere l’uguaglianza e l’inclusione” – ha concluso Perolini.

Intanto, in Italia, è ripresa la discussione, alla Camera dei deputati, del disegno di legge sul contrasto dell’omofobia e della transfobia. Amnesty International continua a chiedere ai parlamentari di Montecitorio di adoperarsi affinché l’Italia introduca senza ulteriori ritardi una legge per contrastare i crimini d’odio basati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

In particolare, l’organizzazione per i diritti umani chiede che l’orientamento sessuale e l’identità di genere siano inclusi nell’elenco dei motivi discriminatori associati ai reati specifici descritti nell’articolo 1 del decreto legge 122/1993, e che venga emendato l’art. 3 dello stesso decreto, relativo alle circostanze aggravanti, aggiungendovi l’orientamento sessuale e l’identità di genere.

La legge italiana considera reato l’istigazione a commettere atti discriminatori e la violenza fisica per motivi di razza, etnia o religione della vittima. Il codice penale inoltre prevede che quando un reato sia commesso sulla base della razza, dell’etnia o della religione della vittima, questo elemento debba essere considerato come una circostanza aggravante.

Tuttavia, queste norme non si applicano ai reati motivati dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima.



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