Bruxelles, la più latina tra le capitali del Nord Europa. Almeno, così si dice. Indubbiamente, Bruxelles è una città paradossale, caratterizzata da ossimori e, per questo, affascinante. Bruxelles non la si ama all’improvviso. Piuttosto la si impara ad amare col tempo, con la pazienza. E’ un luogo che richiede approfondimento e che insegna che non è mai giusto fermarsi all’apparenza. In un certo senso, insegna a non essere superficiali. Ed è cosi che si instaurano i rapporti più sinceri e duraturi, d’altronde. Se il sole non splende, perchè la Natura qui non è particolarmente generosa, e le nuvole si rincorrono, cambiando forma e colori in un cielo plumbeo, la bellezza e i colori vanno necessariamente inventati e ricercati in altro. Ecco come si spiega forse il genio di Magritte che a Bruxelles ha coltivato la sua arte ed ecco perchè, malgrado nebbia e grigiore, Bruxelles è una delle città più colorate al Nord Europa. I colori della sua gente, delle sue diversità, delle iniziative culturali e dei suoi angoli nascosti abbagliano. Scopritela, gustatevela nelle sue particolarità ed anche, perchè no, nei suoi aspetti più controversi. Fate la conoscenza delle persone che la animano. Fate questo viaggio con noi. Anna e Javier
di Anna Maria Volpe, da Bruxelles.
RITRATTO DI PROSTITUTA IN RUE D’ARSCHOTTE
22 settembre 2013. “Proprio di fronte ad una grande Mercedes bianca”. Ecco, la sola indicazione per arrivarci. E’ un signore incontrato casualmente per strada che ci mostra dove andare. Proprio qui, nel bel mezzo della Rue d’Arschotte, cuore pulsante del quadrilatero della prostituzione bruxellese. Ed è seguendo le parole di questo sconosciuto che si arriva da V.
Questa giovane donna apre la porta e si guarda attorno con aria interrogativa. E infine, ci pensa lei a rompere il ghiaccio. Diffidente sì, ma sicuramente dotata di un buon sense of humor. “Puoi entrare, ma sappi che questi dieci minuti di chiacchierata ti costeranno 50 euro”.
E’ l’unica nella strada che accetta questa intrusione. Le altre sono quasi seccate da una presenza estranea. Trattasi infatti di luoghi in cui se non si è del posto, non ci sono sconti. Tutto ciò che si deve fare è andare via, senza troppe storie. Le domande e la curiosità non sono ben accette.
V., invece, mostra con disinvoltura il suo luogo di lavoro, ondeggiando con estrema sicurezza sul suo tacco 12 che regge un paio di scarpe bianche e due gambe lunghissime. La stanza rossa in cui riceve i suoi clienti è presto invasa dal fumo di una sigaretta accesa forse per stemperare il nervosismo. In questo momento, una chiave, appesa al braccialetto del suo polso destro, brilla nella luce soffusa. “E’ la chiave che apre l’altra stanza”. Sguardo complice e occhiolino, che valgono più di mille spiegazioni, seguono immediatamente l’affermazione. E infine, dopo un sospiro che somiglia ad uno sbuffo, V. decide di raccontare la sua storia. E lo fa con voce soffiata, cercando di far passare inosservato il suo leggero accento dell’est Europa.
“Vivo in Belgio da 6 anni, sono arrivata dalla Bulgaria con il mio protettore, senza sapere che il mio lavoro sarebbe stato prostituirmi”. Dice tutto d’un fiato mentre un velo di tristezza le attraversa gli occhi. “Adesso invece svolgo questo lavoro come libera professionista”.
Tuttavia, in Belgio, la prostituzione non è legalmente riconosciuta. Le case chiuse sono ufficialmente considerate dei bar. La situazione potrebbe comunque presto cambiare. Dal 2011 è infatti in corso d’approvazione un regolamento comunale che mira a riconoscere l’attività svolta nei “saloni di prostituzione”. Il permesso per poter gestire un’attività del genere lo si ottiene essendo in possesso di un diploma che attesti la capacità di essere liberi professionisti. Tagliando così fuori dal mercato, la maggior parte di prostitute straniere.
V. affitta la stanza e paga anche una donna per essere sostenuta in caso di pericolo. Il suo protettore è oggi in prigione, ma “non si sa mai”, dice sussurrando.
Ventisei anni nascosti dietro a quintali di mascara e a dei capelli platino perfettamente piastrati. Eppure, scrutando meglio, si può ancora scorgere un fondo di ingenuità.
Un bichini fuscia “veste” il suo corpo. Un piercing rosa brilla sulla sua lingua. Il colore si intona perfettamente con lo smalto delle unghie che mettono in risalto le dita affusolate.
“All’inzio tutto questo era molto faticoso. Non riuscivo a farlo. Adesso va meglio, posso farlo quasi automaticamente. Certe volte ho paura, ma non voglio lamentarmi”. V. parla del suo lavoro mostrando la disinvoltura che si potrebbe utilizzare per raccontare una serata tra amici. Contenuti pesanti che stonano con la leggerezza ostentata.
Dice di farlo solo per danaro. E’ un lavoro proficuo che le consente di tornare, ogni tre mesi, in Bulgaria e di passare del tempo con la sua famiglia.
“La sola cosa che mi pesa è di non avere accanto nessuno…Ma mi rendo conto che non è facile avere una fidanzata che scopa sei volte al giorno con degli sconosciuti”. E il sorriso, in questo momento, si trasforma in una smorfia.
Questa è l’ultima cosa di cui V. vuole parlare, dopodichè il lavoro la richiama alla realtà. Il campanello suona. Con agilità scatta sul suo tacco 12, apre la porta e ritrova in fretta la postura “Barbie” che aveva abbandonato. Archiviato il momento dei racconti, la sua vita prosegue come sempre. Apparentemente, V. ci ha già dimenticati.