Un Paese in vendita, anzi se vogliamo essere più precisi in “svendita”.
di Niccolò Mancini
Tra le news di questi ultimi giorni dove ai sempre più numerosi fallimenti si sommano alcune cessioni di pezzi dell’industria nazionale, l’operazione annunciata ieri in pompa magna della vendita Telecom Italia alla Telefonica della disastrata Spagna è certamente quella più clamorosa che da l’idea di un declino inarrestabile del fu Belpaese.
Eh si, perché la storia di Telecom è sintomatica di un Paese diventato con gli anni sempre più terra di conquista dei capitali stranieri, a livello economico, ed etero guidato dai diktato imposti dalle cancellerie europee a livello politico.
Ma veniamo alla storia.
Nel 1997 con Guido Rossi presidente dell’Azienda e sotto il governo presieduto da Romano Prodi viene decisa la privatizzazione di Telecom che nella teoria avrebbe dovuto vedere nella veste di compratori un nucleo forte e stabile di aziende dell’eccellenza italiana ma che nella pratica si è rivelata un “regalo” alla famiglia Agnelli che con uno striminzito 0,6% si sono ritrovati non casualmente a capo di un cosiddetto “nocciolo duro” che totalizzava poco più del 6% del capitale.
Fortuna vuole che di lì a pochi mesi gli Agnelli riuscissero a vendere la loro partecipazione con una plusvalenza miliardaria a Roberto Colaninno, grazie alla regia dell’allora presidente del Consiglio Massimo d’Alema, operazione che non a caso fece nascere la definizione della “merchant bank di Palazzo Chigi”.
Inutile dire che nel corso delle due operazioni straordinarie le cessioni di “asset non strategici” con conseguenti ricche parcelle per studi di avvocati e mediatori vari hanno caratterizzato la vita aziendale fino ad arrivare al capolavoro della gestione Marco Tronchetti Provera, dal 2001 al 2007 dove a qualche ulteriore cessione si è sommata una profonda ristrutturazione del patrimonio immobiliare, settore dove casualmente l’ex numero uno di Pirelli aveva consistenti interessi tramite Pirelli Real Estate.
[blockquote align=”none”]Il comun denominatore di questa raffica di passaggi di proprietà sono stati da un lato le ricche plusvalenze per studi legali, politici e faccendieri del Belpaese, dall’altra la costante discesa del titolo verso lo 0 con conseguente depauperamento degli azionisti di minoranza non a caso storicamente definiti “parco buoi”.[/blockquote]
Nel 2007 il controllo di Telecom viene rilevato dalla holding Telco, partecipata da Generali, Mediobanca, Intesa dalla Telefonica spagnola, la stessa che dopo l’accordo di ieri sera diventerà l’azionista di controllo dell’Azienda di telecomunicazioni inizialmente salendo al 66% ed al 70% successivamente.
Secondo alcuni nel lungo periodo Telefonica incorporerà Telecom mentre è molto probabile che per quanto riguarda Tim Brazil, una delle poche perle ancora controllate da Telecom Italia, l’autority brasiliana delle telecomunicazioni ne imporrà la cessione riducendone in modo consistente il valore.
Non bastasse, considerata l’entità del debito della Società, sono in molti pronti a scommettere su un ulteriore downgrading da parte delle principali agenzie di rating, ragion per cui la valutazione del titolo da parte degli analisti si discosta poco dagli attuali prezzi di 0,6 euro per azione con buona pace degli azionista di minoranza e di quello che fu il fiore all’occhiello del sistema Italia.
E non è finita qui: con un occhio agli scambi di Borsa negli ultimi mesi si sta distinguendo Fiat (sia auto che industrial) che, è cosa nota, tra pochi mesi diventerà “americana” nel settore auto con Chrysler e per l’Industrial che si fonderà con CNH.