[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/giuli_cemar2.jpg[/author_image] [author_info]di Giulia Bondi, da Modena. Nata nel 1976, dopo la laurea in Economia si dedica alla “lotta alla sfiga” raccontando storie dall’Italia e dal mondo. Come giornalista e videomaker ha pubblicato su Galatea, E il mensile di Emergency, Popoli, Liberetà, Terre di Mezzo, Internazionale.it, l’Espresso. Il suo blog è Gnomade[/author_info] [/author]
Immagini per gentile concessione di Fondazione Fossoli, Museo Luzzati
Alcuni luoghi, disse Winston Churchill a proposito dei Balcani “producono più storia di quanta ne possono digerire”. Altri sembrano accogliere, strato dopo strato, le conseguenze di quella Storia prodotta altrove. É il caso del campo di Fossoli di Carpi, trenta chilometri da Modena. Dal 1942 vi furono rinchiusi militari catturati dell’esercito alleato, poi ebrei e prigionieri politici destinati alla deportazione e ai campi di sterminio. Passò da Fossoli, diretto ad Auschwitz, anche Primo Levi.
Nel luglio del ’44 al poligono di tiro di Cibeno, poco distante, i nazisti fucilano sessantasette internati prelevati dal campo. Finita la guerra, nel ’47, a occupare le baracche del campo fu il prete antifascista don Zeno Saltini, che ci mise a vivere le famiglie allargate della comunità di Nomadelfia. E dal 1953, ribattenzzandolo Villaggio San Marco, vissero a Fossoli per oltre un decennio 250 famiglie di profughi italiani originari dell’Istria e della Dalmazia, in tutto quasi 2.500 persone, che avevano abbandonato le proprie case dopo gli accordi internazionali che assegnarono quei territori all’allora Jugoslavia.
Leggi la storia del campo sul sito della Fondazione Fossoli
Il campo, che dagli anni Ottanta è di proprietà del Comune di Carpi e dal 1996 è gestito dalla Fondazione Fossoli, ha subito nel 2012 le conseguenze delle scosse di terremoto sull’Emilia. Le visite guidate agli spazi aperti sono comunque continuate e a ottobre la Fondazione prevede di riaprire anche la baracca ristrutturata, che dal 2004 ospitava mostre e attività didattiche. In via di riapertura (31 ottobre) anche il Museo monumento al Deportato, nel centro della città di Carpi, che a dicembre compirà 40 anni. Raccoglie materiali d’epoca e documenti, accanto a opere di artisti come Guttuso, Leger e Picasso.
In attesa di riaprire gli spazi del Campo e del Museo, una serie di delicati disegni di Emanuele Luzzati, raccolti nella mostra Ebraismo in favola si possono vedere alla Ex Sinagoga di Carpi, da domenica 29 settembre, giornata dedicata alla Cultura ebraica in in ventinove Paesi europei e sessantasei località in Italia:
“…sono nato ebreo – scrive lo stesso Luzzati – così come sono nato con gli occhi scuri, così come sono nato a Genova. Certe cose non si scelgono, sono.” Nell’introduzione alla mostra il direttore del Museo Luzzati, Sergio Noberini, cita ancora lo stesso Luzzati, che parlando della propria identità dichiara: “No, nessuna militanza. Ma sono entrato nel mondo ebraico negli anni dell’esilio in Svizzera, quando scelsi Losanna e l’Ecole des Beaux Arts perché in Italia non ci si poteva più iscrivere che alle scuole ebraiche”.
“Ebraismo in favola” è aperta fino al 17 novembre, come un’altra mostra, ospitata a Carpi e curata dal museo triestino della Risiera di San Sabba, che tratteggia, con la levità della matita e della parola, un altro frammento di memoria dimenticata della Guerra Mondiale. I protagonisti sono gli internati militari 103575 e 6865, al secolo Nereo Laureni e Giovannino Guareschi, e la loro memoria dei campi in cui furono rinchiusi dopo l’8 settembre.
Guareschi e Laureni: segni dai lager, curata da Francesco Fait e Anna Krekic, alterna le frasi tratte dal “Diario Clandestino” di Guareschi (all’epoca della cattura, il “papà” di don Camillo e Peppone era già un affermato giornalista e scrittore) ai circa 150 disegni a carboncino di vario formato, realizzati da Laureni durante la prigionia. La storia di Guareschi e Laureni è quella dei circa 650.000 militari italiani che, internati in Germania nei campi di concentramento degli ex alleati tedeschi, rifiutarono di arruolarsi nelle forze armate della Repubblica di Salò e resistettero nei lager fino alla fine della guerra, con alimentazione di sussistenza, lavori sfiancanti e trattamenti inumani.
I disegni, realizzati su fogli diversi e materiali di fortuna, descrivono senza retorica la vita quotidiana del lager, raffigurando anche oggetti di uso quotidiano, e la penna di Guareschi mantiene l’ironia anche nella descrizione dell’orrore. “Robustizza pacco pentachìlo a 1/2 cedola all’uopàta evitando medicincarte et infiammabili. Pàccami lancorredo, sigartabacco e seccacastagne”, scrive alla moglie, nel vano tentativo di contenere la propria lettera nelle 24 righe previste dal modulo, “come vogliono le convenzioni internazionali che tutelano il diritto delle genti”.
LAURENI, 1944