Se la povertà non è uno stato sociale ma è provocata da fenomeni sociali di marca neoliberista, eliminare la povertà si può. L’economista Riccardo Petrella è tra i promotori la campagna ‘Dichiariamo illegale la povertà’.
Da Genova, Alessandra Fava
2 ottobre 2013 – Lanciata in Italia lo scorso anno alla Marcia per la Giustizia Agliana-Quarrata da una trentina di associazioni, ha come obiettivo ottenere nel 2018, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, l’adozione di una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite che affermi “Noi Stati membri ci impegniamo a mettere fuorilegge i fattori strutturali che sono all’origine dei processi di creazione dell’impoverimento nel mondo”. L’iniziativa verrà divulgata a breve anche in Belgio, Canada, Argentina, Brasile, Malesia.
Negli anni Settanta si credeva davvero che fosse possibile eliminare la povertà, migliaia di associazioni diffusero slogan e campagne. Oggi, in un mondo appesantito da crisi, disoccupazione e scossoni politici, è possibile tornare ai grandi ideali, ad esempio questo di eliminare la povertà dal mondo?
”Effettivamente il mondo d’oggi, parlo naturlamente dei paesi occidentali e del Nord, è caratterizzato da una decostituzionalizzazione dei principi e dei meccanismi che erano alla base, particolarmente dopo la seconda guerra mondiale, dello stato e dell’ economia dei diritti. Uno stato del welfare è basato su un accordo tra stato, capitale, imprese e il lavoro, sulla produttività e la ripartizione delle ricchezze. In effetti l’accordo sulla produttività ha retto dagli anni Cinquanta fino ai Settanta. C’era una crescita del benessere per tutti. La quota destinata al reddito da lavoro era aumentata rispetto al reddito da capitale. E fu un elemento di crescita sociale. L’accapparrramento della ricchezza prodotta insomma andò in modo favorevole al reddito da lavoro e allo stato quindi aumentarono anche gli investimenti pubblici in settori di base, penso a case, strutture, ospedali. Azioni che crearono una ripartizione meno inegualitaria e ineguale nei vari gruppi sociali. Questo è stato smantellato e desocializzato: nelle Costituzioni erano sanciti i diritti al lavoro, alla salute, all’educazione, alla casa. Da 35 anni questi diritti restano formalmente nelle Costituzioni. Ma se in Italia un ministro del lavoro come Fornaro dice che non c’è un diritto al lavoro, il processo di decostituzionalizzazione dei diritti e il principi della ineguaglianza è arrivato a piena maturazione”.
Quindi se l’uguglianza non è più un credo, la società si identifica in strati sociali definiti in base al reddito?
”Per avere accesso a beni e servizi, bisogna meritarli. Come? Se hai un potere d’acquisto, meriti di acquistare servizi di qualità. Oppure li acquisisci in modo inferiore. Il potere d’acquisto determina il valore delle persone. Non puoi accedere a certi beni e servizi se non hai delle possibilità, perchè sei stato selezionato come risorsa umana, altamente produttiva. Se sei poco produttiva ti elimino, ti faccio rimpiazzare dalla tecnologia. Un robot rimpiazza un disegnatore, un cartografo o un operaio. Questa selezione della meritocrazia è alla base dell’accettazione dell’ineguaglianza sociale. Non si può uscire dalla crisi senza sacrifici, ci saranno i perdenti, si dice oggi. Oggi è il rito sacrificale che prevale sul vivere insieme. Si dice: siccome abbiamo sbagliato, c’è la catastrofe. A risalire dall’abisso non tutti ce la faranno. Mario Monti in una conferenza a Bruxelles parlò di generazioni sacrificate. Quando una classe dirigente invoca il rito sacrificale vuol dire che la classe politica è fallita, ha perso il controllo dei meccanismi di base. È come se fossimo in guerra e la guerra storicamente ha sempre rappresentato il rito sacrificale per eccellenza. Così le nostre società si basano ora sulla predazione della vita e sul processo di accumulazione della ricchezza selezionata e grazie alla diminuzione del reddito da lavoro il capitale si impadronisce di tutto, anche della parte che sarebbe destinata alla redistribuzione e anche dei meccanismi di produzione della ricchezza. Il risultato è dunque che nella logica finanziaria non abbiamo diritti, non ci sono obblighi verso la comunità perchè il mercato non ha nessun obbligo.
Da questo quadro, come si fa a pensare al grande obiettivo dell’eliminazione della povertà?
”In questo quadro, logicamente e coerentemente, parliamo di inevitabilità dell’eradicazione della povertà. Davanti alle fabbriche della povertà, tutte le politiche di eliminazione della povertà sono fallite miseramente. Nel 1990 avevano deciso che la povertà andava dimezzata col Millenium Goal. Nel 2000 invece di essere zero, i poveri erano ancora più di 800 milioni. Così la Banca mondiale e l’Onu hanno lanciato il nuovo obiettivo ‘End Poverty’ entro il 2015. Ma non i poveri che vivono con 2,5 dollari al giorno (e oggi sono quasi 3 miliardi di persone), ma eliminare la povertà assoluta, cioè quella di 1,3 miliardi di persone che vivono con 1 dollaro al giorno o meno”.
L’Economist di recente ha dedicato all’argomento un approfondimento dicendo che la situazione sta migliorando a livello globale e gli obiettivi potrebbero essere raggiunti. Lei che cosa ne pensa?
”Tutta questa storia è ridicola, prima di tutto si considera la povertà solo in termini di soldi: se si passa a 2 dollari e 60 centesimi allora non sei più povero? Poi ci sono dei dati taroccati e anche l’Economist lo ha scritto. E’ successo che il governo cinese ha mistificato dei dati dicendo che i poveri nel paese sono diminuiti di 700 milioni, quindi ce ne sarebbero ancora 300 milioni, mentre secondo altre analisi in Cina ci sono ancora 800 milioni di poveri. E siccome la Cina pesa parecchio sul conto mondiale, anche la Banca mondiale ha dovuto diffondere dati con e senza Cina. Insomma un’astuzia statistica”.
Come pensate di incidere con la vostra campagna? Puntate ai cittadini, ai governi?
”È una mobilitazione dei cittadini sul lungo periodo. Parte dalla constatazione che le poltiche perseguite finora sono fallite primo perchè sono state fondate sul principio dell’intervento sui sintomi: diamo da mangiare a chi ha fame, diamo un po’ di reddito a chi non può comprare. Interventi basati sempre sul concetto di dare un potere d’acquisti anche piccolo. A noi sembrano intervento caritatevoli, che non hanno mai attaccato le cause. Qui invece occorre smantellare il sistema capitalistico mondiale. È ingiusto che una persona possa gudagnare 30 milioini all’anno e quindi tra le 23 misure proponiamo un tetto alle remunerazioni da capitale in modo che i manager non guadagnino troppo rispetto all’operaio”.
Si torna in parte ai valori del movimento antiglobalizzaizone di Seattle e del G8?
”In parte, vogliamo spiegare che la povertà è un costruito sociale. Si diventa non si nasce poveri. Quindi proponiamo che nell’agenda culturale e politica si parli di processi di impoverimento, non di stato di povertà.
Avete incontrato qualcuno del governo italiano?
”Abbiamo avuto incontri con membri del parlamento e del governo. Siamo stati ricevuti dalla Comissione affari sociali e abbiamo illustrato le tre campagne principali dell’iniziativa che sono: mettere fuori legge finanza predatrice; dare forza a un economia basata sui beni comuni e costruire una comunità dei cittadini. In Italia oltre a concorrere a una risolzione delle Nazioni unite per mettere fuori legge i fattori strutturali dell’impoverimento del mondo, si può intervenire su leggi, istituzioni e pratice sociali-politiche ad esempio rimettere mano alle Leggi bancarie del 1993 e ’98 che hanno eliminato la separazione tra banche di credito e di investimento e hanno permesso finanza speculativa. Vogliamo modificare leggi che hanno istituito cle ooperative di lavoro e chiudere tutti i Cie del trattato di Shengen”.
Il reddito minimo o di cittadinanza di cui si parla tanto, senza varare niente, rischia però di essere un’altra forma di carità se non inserito in un disegno più complesso. O no?
”Se non si inquadra in una strategia di modifica della finanza, se non si elimina il diritto di proprietà sul vivente (semi, genoma etc) come si fa a fare una politica di salute? Quindi parliamo di reddito reale sociale e di togliere dalla borsa i valori dei beni insostituibili come acqua, grano, riso, conoscenza, educazione, ricerca medica. Insomma per concludere dichiariamo illegale la ricchezza illegale”.
Per saperne di più
http://www.banningpoverty.org/
http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Millennium/Millennium.html
Pdf del libro ‘Le fabbriche della povertà’ Opera collettiva, si prega di versare un contributo all’Associazione Monastero del bene comune (per contributi: http://www.banningpoverty.org/lancio-programma-manifesto-le-fabbriche-della-poverta-versione-ebook/?lang=it) https://docs.google.com/file/d/0B2_7arCgLDOCZTFVdTNKR3JzRkU/edit?usp=sharing&pli=1