Sudan: una rivolta attesa

[author] [author_image timthumb=’on’]http://www.buongiornoafrica.it/wp-content/uploads/2012/06/raffa01.jpg[/author_image] [author_info]di Raffaele Masto. Faccio il giornalista e lavoro nella redazione esteri di Radio Popolare. Nei miei oltre venti anni di carriera ho fatto essenzialmente l’inviato. In Medio Oriente, in America Latina ma soprattutto in Africa, continente nel quale viaggio in continuazione e sul quale ho scritto diversi libri dei quali riferisco in altri spazi del blog www.buongiornoafrica.it. Insomma, l’Africa e gli africani, in questi venti anni, mi hanno dato da vivere: mi sono pagato un mutuo, le vacanze e tutto ciò che serve per una vita di tutto rispetto in un paese come l’Italia.[/author_info] [/author]

4 ottobre 2013 – Almeno cento morti, una settimana di dimostrazioni continue, coinvolte tutte le città del paese, repressione durissima e regime che comincia a mostrare crepe e divisioni. Molti parlamentari del partito di Omar Al Bachir hanno criticato la scelta della repressione dura adottata dal loro leader.

Insomma il Sudan potrebbe essere il primo dei paesi dell’Africa Sub Sahariana a seguire l’esempio delle cosiddette rivolte arabe. Al momento ce ne sono tutti gli elementi, a comiciare dal fatto che Omar Al Bachir è sempre più debole e precario.

SUDAN

La forza in passato gli derivava dal fatto che poteva contare su fiumi di denaro che lui ha impiegato per rimodernare Khartoum che è ormai una delle città più moderne di tutta l’Africa: centri commerciali, tangenziali, grattacieli, palazzi istituzionali.

La forza di Omar Al Bachir era i proventi derivanti dalle entrate petrolifere che non ci sono più dopo la secessione del Sud. Se a questo si aggiunge che la crisi economica picchia duro anche in Africa si ha un quadro più completo. E c’è da aggiungere che la debolezza di Omar Al Bachir deriva anche dal fatto che è accusato dalla Corte Internazionale di crimini di guerra commessi in Darfur.

Non che questa sia una accusa che indebolisca in sè in dittatori, ma nel suo caso verrà probabilmente usata per definirlo impossibilitato a svolgere quel ruolo di leader nel mondo richiesto da un paeae emergente. Omar Al Bachir non è andato alla annuale assemblea dell’Onu a New York. La domanda che è rimbalzata sulla bocca di tutti è stata: per il timore di essere arrestato o per l’ondata di proteste che scuoteva il paese?

C’è poi da dire che le opposizioni interne, anche quella dello storico leader islamico Hassan El Tourabi, di fronte alla debolezza del regime si sono rafforzate, hanno alzato la testa e non disdegnano di usare le proteste di piazza a propri fini politici. In realtà la gente in piazza protesta per i prezzi, quelli dei carburanti e dei prodotti di prima necessità, saliti a dismisura, per la crisi e per la corruzione.

Insomma ci sono tutti gli elementi per una nuova edizione di un film già visto: una rivoluzione nella quale chi vuole il cambiamento viene usato come massa di manovra.



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