Un senegalese, due amici italiani, a metà strada tra due case, il viaggio di J. dall’Italia al paese africano, un ritorno a casa atteso cinque anni. E raccontato tra sorpresa e speranza
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[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/09/Ilaria_Brusadelli.jpg[/author_image] [author_info]Ilaria Brusadelli, classe 1986. Ha la testa fra le nuvole ma i piedi per terra. Giornalista, perché è una buona scusa per conoscere il mondo e fare domande[/author_info] [/author]
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/09/Marco_Besana.jpg[/author_image] [author_info]Marco Besana, classe 1983. Gran sognatore. Gran viaggiatore. Giornalista perché è più facile raccontare gli altri che se stesso[/author_info] [/author]
Ilaria e Marco sono tra i fondatori dell’associazione ¡NO MÁS!
Un equilibrio non scritto
5 ottobre 2013 – Il giorno dopo la festa, tutto torna come prima. E anche J. torna ad essere sospeso, in bilico tra genti e culture.
C’è qualcosa, infatti, che cambia in chi parte dal Senegal. J. non sa dire cos’è, ma a quanto pare tutti capiscono che, ormai, lui abita all’estero.
Lo capisce il poliziotto davanti a cui J. non scappa più perché sa di non aver nulla da temere. “Queste abitudini lasciale dove abiti ora” gli intima il poliziotto vedendo che J., al contrario degli altri, non gli cede il passo.
Lo capisce il guardiano della spiaggia di una località turistica che vedendolo passeggiare gli chiede dei soldi.
Non è sempre facile per J. che, orgoglioso, ci porta a visitare il suo Paese “era il mio lavoro” ci dice. Al mercato la presenza di due Toubap fa lievitare i prezzi di frutta e verdura anche per lui. E nei negozi di tessuti e souvenir, i commercianti non vogliono che J. assista alle nostre contrattazioni: con lui non è possibile fare i prezzi per i turisti, almeno tre volte più alti del normale. “Ci rovini il lavoro” gli dice una donna a una bancarella mentre tenta di venderci la riproduzione di un “Car Rapide” a più di 5.000 CFA (circa 8 euro) “si vede che non vuoi il bene del Senegal se non ci lasci fare i prezzi dei bianchi”.
I bambini che ci vedono ci corrono incontro urlando “toubap, toubap” come fosse un segnale per gli amici che si stanno perdendo l’arrivo dei bianchi e, di conseguenza, delle caramelle. J. è perplesso quando scopre che non abbiamo con noi dei dolci e a fatica lo spiega ai bambini. “Anche io quando ero piccolo” ricorda “correvo dietro ai toubap fino a quando non riuscivo ad ottenere una caramella. Tornavo a casa sfinito, ma avevo la mia ricompensa ed ero felicissimo”.
In questo piccolo gesto, in queste caramelle, si legge un equilibrio non scritto e non discutibile. Due mondi che, incontrandosi, non si ritrovano sullo stesso piano. Agli occhi dei senegalesi i bianchi saranno sempre “quelli che stanno bene” e, come loro, gli africani che vivono in Europa. Uno sguardo che trova conferma nell’atteggiamento degli europei che si riempiono le tasche di caramelle, monete per pagare i sorrisi delle loro fotoricordo. Atteggiamento a cui fa eco quello degli emigrati che in patria ostentano un benessere raramente raggiunto davvero.
Lo stesso J. a fine del viaggio deve far quadrare la sua immagine con la sua situazione. L’acquirente interessato alla macchina non si presenta agli appuntamenti. “In questa macchina ci sono tutti i soldi che avevo” ci dice mentre sistema ancora una volta il cartello “à vendre” sul vetro posteriore “se non vendo la macchina, non posso comprare il biglietto per tornare in Italia”.
Il giorno della partenza si avvicina, la vendita no. Ed è M. la sorella maggiore di J. che chiede al marito francese di acquistare la macchina. Lei, che vive in Bretagna, sa qual è la situazione di J. ma aver sposato un europeo le ha reso, almeno economicamente, la vita più semplice.
J. può così recuperare almeno il costo di quell’avventura. E M., che sogna di tornare in Senegal per avviare un’attività turistica, vede in quella macchina un primo passo verso il suo ritorno.
“Ci proverò ancora” commenta J. prima di partire per l’Italia, “già alcuni miei amici mi hanno chiesto se posso procurar loro una macchina per mettersi in proprio e fare gli autisti”.
J. lascia il villaggio verso l’aeroporto di Dakar. La macchina che ora è di sua sorella, durante l’inverno verrà affidata a un amico che ora guida al ritmo di Adriano Celentano e Renato Zero, i cantanti preferiti del capo italiano di J. e a cui anche lui si è affezionato.
Una partenza che è allo stesso tempo andata e ritorno, lasciare casa e tornare a casa. “Non vi addormentate” ci dice mentre percorriamo 150 Km di palme, baobab, coltivazioni di arachidi e terra rossa. “Chissà quanto passerà prima che possiamo rivedere il Senegal”.