Le recenti ammissioni sulla schedatura dei rom rivelano il lato oscuro di un paese in cui la discriminazione da parte delle autorità è andata avanti fino al passato recente
di Rakel Chukri, da SYDSVENSKAN, pubblicato il 27 settembre 2013 da Presseurop
4 ottobre 2013 – Nel gennaio 2011 il ministro dell’integrazione svedese Erik Ullenhag ha deciso che un “libro bianco” sarebbe stato pubblicato “sulle aggressioni e sulle minacce di cui i rom sono stati vittime in Svezia durante il ventesimo secolo.
In occasione della sua presentazione Ullenhag è stato molto concreto: “Nel corso della storia le popolazioni rom sono state vittime di inaccettabili aggressioni, come la sterilizzazione forzata e la privazione del diritto all’istruzione per i bambini. Se la nostra società vuole andare avanti è importante mettere fine a queste pratiche e lo stato deve riconoscere le ingiustizie compiute”.
Ma cosa sanno gli svedesi di queste ingiustizie? Non è azzardato ritenere che le conoscenze su questo argomento siano scarse. A questo bisogna poi aggiungere che in tutta Europa i pregiudizi – e il risentimento – nei confronti dei rom si stanno diffondendo in modo allarmante. In Ungheria i neofascisti hanno ucciso dei rom nell’indifferenza della polizia. In altri paesi i rom sono vittime di una forte discriminazione sui mercati immobiliare e del lavoro.
È in questo contesto che analizzeremo le rivelazioni del Dagens Nyheter sulla schedatura dei rom in Svezia. Ancora una volta un gruppo vulnerabile può constatare la poca considerazione di cui è vittima. Altrimenti come spiegare la schedatura di bambini di due anni? A meno che i poliziotti svedesi vogliano introdurre il peccato originale nel codice penale. Ma in questo caso, quando scatta il reato? Quando i vostri genitori portano un cognome particolare? Ullenhag dovrebbe aggiornare il suo libro bianco.
Negli ultimi anni pochi ma importanti libri sono stati pubblicati sui capitoli più bui della storia della Svezia. Oltre alla crudeltà delle storie che raccontano, sono accomunati dalla volontà di mettere in evidenza una società che preferisce evitare di complicarsi la vita. La verità è che un paese può avanzare sia in senso positivo che negativo. O, per riprendere i termini della scrittrice Lawen Mohtadi in risposta a un’intervista di Sydsvenskan: “Il modello svedese era in piena ascesa, con l’eguaglianza come obiettivo finale. E al tempo stesso c’era questo”.
Con “questo” Mohtadi si riferisce al trattamento riservato ai rom. Si riferisce alla commissione d’inchiesta sul vagabondaggio, che nel 1923 descriveva i rom come una minaccia. Si riferisce al fatto che dal 1914 al 1954 i rom non hanno avuto diritto di entrare in territorio svedese, con la conseguenza che i sopravvissuti alla seconda guerra mondiale non potevano rientrare nel paese.
Pena di morte
Nel 1943 la Svezia ha proceduto a un “censimento dei bohémiens”. Lawen Mohtadi lo descrive così: “In mezzo al fuoco della seconda guerra mondiale, mentre i rom erano inviati a migliaia nei campi di sterminio nazisti in tutta Europa, i rom svedesi ricevevano la visita di poliziotti in divisa che chiedevano loro di indicare la loro appartenenza etnica e quella dei loro genitori, e di fornire una lunga serie di informazioni personali e intime”.
Chi vuole conoscere meglio il trattamento riservato ai rom in Svezia può leggere anche il rapporto “La casa di vetro blu e giallo“, pubblicato nel 2005, in cui per esempio si scopre che nel 1637 è stata introdotta la pena di morte per i “bohémiens o gli zingari [di sesso maschile] che non avevano lasciato il paese”.
La Svezia del 2013 non può ovviamente essere paragonata alla Svezia del diciassettesimo secolo. E non abbiamo per fortuna neppure un equivalente della “biologia delle razze” che era in voga nel paese all’inizio del secolo scorso. Ma non possiamo neppure far finta che queste cose non siano esistite, altrimenti non riusciremo mai ad analizzare e a combattere il razzismo anti-rom oggi così diffuso. È necessario che le forze dell’ordine e le autorità lo capiscano. Questa condizione è fondamentale per la fiducia in uno stato di diritto.
Traduzione di Andrea De Ritis