Pochi giorni fa è uscita una notizia passata in sordina sui giornali ma che merita attenzione perché, a ben vedere, riguarda tutti noi. La Corte d’Appello di Roma ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare un maxi risarcimento alle Aerolinee Itavia Spa per quanto accaduto la notte del 27 giugno 1980, quando un aereo della piccola compagnia esplose con 81 persone a bordo nel cielo di Ustica. Secondo la Corte, i ministeri sono colpevoli di “omessa attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli”. Il conto è salato: oltre 265 milioni di euro.
In tempi in cui siamo molto attenti alla gestione del denaro pubblico, è bene capire fino in fondo la ratio di questo risarcimento. E allora facciamo un passo indietro fino al 1980, quando c’era ancora l’Itavia, una piccola compagnia aerea che dalla fine degli anni ’50 si era ritagliata a fatica una fetta del mercato dell’aviazione civile italiano. Non piaceva a tutti, però, l’Itavia, che osava sfidare il monopolio della compagnia di bandiera. Ai tempi pochi vedevano di buon occhio i privati che entravano a gamba tesa nella sfera dei servizi pubblici.
Quando uno dei suoi aerei esplose nel cielo di Ustica, per l’Itavia fu l’inizio della fine. La stampa e i partiti incriminarono la compagnia – “fa volare delle carrette!”, si diceva. Il presidente Aldo Davanzali protestò, gridando che era stato un missile ad abbattere il suo aereo. Ma in tutta risposta il magistrato lo indiziò per il reato di “diffusione di notizie esagerate e tendenziose” (non “false”, però, e si è visto poi che non esagerava affatto). La questione si chiuse lì, l’Itavia, già gravata dai debiti, fallì e per 33 anni la sua sorte cadde nel dimenticatoio. Fino a pochi giorni fa.
Adesso che anche la Cassazione ha riconosciuto in sede civile il dovere dello Stato di risarcire i famigliari delle vittime della strage di Ustica per non aver garantito la sicurezza dei cieli (la prima sentenza definitiva è del 27 gennaio 2013) la situazione si è sbloccata anche per l’Itavia. La condanna della Corte d’Appello ha però il sapore amaro di un riconoscimento arrivato troppo tardi. Il fondatore della compagnia Aldo Davanzali aveva intentato causa già nel 1981, e oggi non è più in vita per assaporare questa “vittoria” – ammesso che dopo 33 anni sia possibile chiamarla tale.
Duecentosessantacinque milioni di euro, dunque, interessi e rivalutazione monetaria compresi. A titolo di scuse. È come se lo Stato fosse condannato ad ammettere che il fallimento dell’Itavia è stato un sacrificio necessario perché nel cielo di Ustica è accaduto qualcosa che non si poteva dire. A nessun costo. Ma quanto siamo disposti a pagare, senza ciglio battere, per lavarci la coscienza e cercare di sanare la ferita di Ustica?
“La verità ha un prezzo che vogliamo pagare”, diceva negli anni ’90 l’associazione dei famigliari delle vittime della strage. Sembra, invece, che stiamo pagando per dimenticare di pretenderla, quella verità. Per chiudere i conti con un passato scomodo, ma che in assenza di verità e giustizia non può passare. Come appare debole questo Stato, che non è nemmeno riuscito a porre il segreto su questa vicenda, ammettendo l’esistenza di una ragione per cui, per il momento, non possiamo sapere.
Ben vengano i risarcimenti, un atto dovuto per le persone che hanno visto la loro vita stravolta da questa tragedia. Ma non dobbiamo dimenticare che si è trattato di una “strage” e non di una “sciagura”. Che ci sono responsabilità precise e a più livelli. Chi avrà il coraggio di contestare questa spesa che, nel silenzio generale, ci apprestiamo ad affrontare? Le vittime hanno uno status quasi sacrale nel nostro paese, godono di una legittimità unica. E sembra che solo loro abbiano il potere del perdono. Il risarcimento è giusto e inevitabile, ma evoca una dimensione privata, riducendo una strage gravissima a un contratto tra Stato-colpevole e vittime-capaci di perdono. C’è però un’altra vittima che così facendo rischiamo di dimenticare: il patto che lega i cittadini allo Stato. Il nostro perdono, di noi cittadini comuni, che non dimentichiamo e che abbiamo a cuore le sorti del nostro paese, può passare solo attraverso un gesto di onestà e franchezza. Perché, come si dice, “shit happens”: non resa che trovare il coraggio di ammetterlo.