Frost/Nixon uno spettacolo su un duello televisivo, al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 30 novembre
di BB
La storia della magia del teatro è una vecchia storia da Shakespeare a De Filippo. Tra i suoi incantesimi quello più potente è saper giocare a scacchi con la realtà vincendo molte volte la partita. Una vittoria che vuol dire riuscire a farsi interprete di avvenimenti che spiegano un epoca o un destino. Spesso con un ruolo da Cassandra. Certo non è dote di tutti, né per tutti. Ma è successo al Teatro dell’Elfo che porta in scena fino al 10 novembre Frost/Nixon uno spettacolo su un duello televisivo tra l’ex presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, che ha dovuto lasciare il suo incarico in seguito allo scandalo Watergate nel 1972, e David Frost, un giornalista televisivo che vuole riconquistarsi una posizione perduta nel gotha della stampa statunitense.
[blockquote align=”none”]Non sta accadendo lo stesso da noi? La caduta dell’uomo politico italiano più potente degli ultimi 20 anni: il signor B.., icona mediatica per eccellenza e creatore dell’infotainment nostrano. E pure in diretta tv.[/blockquote]
“E’ stata una coincidenza” spiega Elio De Capitani, “perché volevamo metterlo in scena da quattro anni questo testo scritto da Peter Morgan nel 2006 (da cui Ron Howard ha tratto un film nel 2008). Un caso di contemporaneità che si spiega con i temi centrali di questo testo che sono anche le ragioni per cui lo abbiamo scelto: i rapporti tra mass media e politica e la presenza di un politico corrotto che in confronto ai nostri sembra Gandhi”.
Una scelta che si innesta nella tradizione dell’Elfo di non stare lontano da tutto ciò che ci circonda, ma di perlustrarlo con il talento dei rabdomanti. “Volevamo continuare il lavoro sulla drammaturgia angloamericana iniziato con Angels in America, dove Tony Kushner (l’autore) disegna la sua America reaganiana. Perché sono opere teatrali che parlano del momento in cui sono scritte”, dicono Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. “Ha la capacità di fare i conti con la storia e la racconta con ampia documentazione, senza essere teatro civile”.
Come in questo caso: lo spettacolo fa da specchio a quello che avviene fuori dal palcoscenico dove non c’è più linea di demarcazione tra la politica e lo spettacolo. Frost/Nixon mette in scena il primo caso di giornalismo/spettacolo: un’intervista costata 2 milioni di dollari, (come il kolossal Ben Hur), che è stata seguita da 45 milioni di persone (su canali indipendenti) dove c’è stata la confessione in diretta dell’ex presidente Usa.
Di fronte alla telecamera ammette di essere stato lui ad aver dato l’incarico di mettere le microspie nel quartier generale del Comitato nazionale democratico per cercare di indebolirlo. Nella faccia di Nixon durante la sua confessione di colpevolezza, vista da migliaia di spettatori, c’è la tv attuale da cui ci arriva sempre una verità mediata. Perché le espressioni del viso di un uomo braccato, giunto alla fine, possono anche indurre alla pietà. Ce n’est q’un debut di quello che abbiamo oggi.
Un altro aspetto dell’attualità del testo è lo smacherare il grande potere della pubblicità nell’informazione: i grandi sponsor non partecipano al programma di Frost alcuni perché c’era Nixon, e temevano le conseguenze dell’entrare in contatto con lui, e i “fedeli” per non compromettersi con lui. E questo rischia di non far partire il programma. “Ma questo testo è anche una grande opera teatrale”, fa eco Bruni.
“All’inizio è una commedia brillante, poi diventa quasi una sophisticated comedy, poi è cronaca. Per finire in tragedia con un soliloquio scespiriano di un uomo caduto. Inoltre i due personaggi Nixon e Frost sono molto complessi: Frost è assolutamente originale perché è raccontato da quelli che gli stanno intorno, il suo gruppo di lavoro, il produttore. Agile e leggero, ma anche un professionista di calibro che negli anni ha intervistato importanti personaggi quando lavorava a Londra, e in seguito negli Stati Uniti dove conduceva un programma nello stile dello show di David Letterman. Anche grazie al questa esperienza che Nixon si lascia andare a rivelare la verità. Le sue interviste, dove lascia molto tempo all’interlocutore sono quasi psicanalitiche. E lui ha il grande talento di saper ascoltare”. De Capitani gli fa eco spiegando il suo di personaggio: “Nixon è un retore, e alla fine è un “villain” scespiriano, il cattivo. Di grande intelligenza e capacità retorica. Ma è un uomo con porta come una ferita: la sua origine umile, è uno che si è fatto da solo. Devo stare molto attento a non farlo cadere nel ridicolo, a rispettarne la grandezza. Non scivolare nella figura della vittima”.
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Le due personalità si svelano in una telefonata (mai esistita nella realtà) e scoprono di avere in comune il ceto sociale che ha voglia di riscatto. “Nixon è tragico, mentre Frost è un ottimista”, commenta Bruni. “Nixon ha questa ferita che lo fa sentire prigioniero di un destino. Come dargli torto: durante il suo governo ha fatto anche “cose buone”, la pace in Vietnam e avviato la distensione con la Russia. Ma lo si ricorda solo per il Watergate. Tutto il contrario di Kennedy, che parte bello e ricco. E non ha fatto solo gesti nobili. Ma viene ricordato perlopiù per questi”, aggiunge De Capitani.
Frost/Nixon è un testa a testa tra teatro e tv: “In scena non c’è un’immagine tv, il monitor ha una funzione grafica al servizio del teatro. In più abbiamo scelto di lavorare senza microfoni. Fatto che da noi che siamo stati tra i primi a usarli in scena ha un significato profondo”, precisa De Capitani. All’Elfo Puccini continua a vincere il teatro. Per fortuna.