Fino a qualche tempo fa in Colombia era impensabile vedere contadini ed indigeni insieme per una politica della redistribuzione delle terre. Adesso accade
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/iopapà _brenta.jpg[/author_image] [author_info]di Francesca Caprini, da Garzon (Colombia). Giornalista freelance. Con l’associazione Yaku, che ha contribuito a fondare, si occupa di cooperazione internazionale in America latina. Arriva in Bolivia nel 2005, poco dopo la guerra dell’acqua di Cochabamba e da allora l’acqua diventa il cardine di una ricerca che si dipana fra attivismo, militanza, collaborazione al fianco dei popoli indigeni, lotte locali. Insieme al suo collettivo, ha scritto “La Bolivia che ha cambiato il mondo ” [ed. carta] e “La visione dell’acqua – viaggio fra la cosmogonia andina e l’Italia dei beni comuni” [ed. Nova Delphi]. Fa parte del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, con il quale ha seguito e costruito la battaglia referendaria Acqua Bene Comune. Vive fra Trento e Roma e, ultimamente, frequenti viaggi in Colombia. www.yaku.eu[/author_info] [/author]
Faceva un certo effetto, durante la marcia “NO al Quimbo” che il 12 ottobre ha percorso i 14 chilometri che separano il paesino di La Jagua dalla cittadella di Garzòn, vedere il prima fila i contadini di Asoquimbo con il tipico cappello e il poncho bicolore, insieme agli indigeni Nasa guidati dal leader Feliciano Valencia.
E ancora di più sentire Feliciano, prossimo candidato alle presidenziali del 2014 per il movimento Fuerza Comun, una costola del partito di sinistra Polo, annunciare dal palco di Garzòn, dove la marcia si disponeva in ordine dietro gli striscioni colorati delle varie sigle contadine, l’avviarsi della Minga Indigena per il 14 ottobre: “Bloccheremo il Paese in 25 punti – ha annunciato Feliciano – siamo a preparati ad molti giorni di resistenza. Chiediamo che i nostri diritti di popolazioni indigene vengano rispettati, la difesa dei nostri territori ed il riconoscimento di quelli ancestrali, e che la Madre terra sia rispettata”.
Fino a qualche tempo fa in Colombia era impensabile vedere contadini ed indigeni insieme: contrapposti da una feroce politica agraria che storicamente li ha messi gli uni contro gli altri, prima hanno vissuto lo spoglio delle terre a danno dei popoli originari attraverso le varie entregas de tierras (consegna delle terre) ai contadini da parte dello Stato che voleva colonizzare i territori indigeni; poi lo spoglio dei grandi latifondisti ai piccoli produttori.
Ci sono voluti un Trattato di Libero Commercio e le durissime condizioni che impone su esportazioni, acquisto di semi transgenici e fertilizzanti, e le politiche economiche iperestrattiviste dei governi Uribe e Santos, per produrre il miracolo: campesinos ed indigenas fianco a fianco per una politica della redistribuzione delle terre, la riforma agraria e,più in generale, il miglioramento delle condizioni di vita dei “los de abajo”, quelli che da sempre “in basso” pagano in prima persona la violenta economia neoliberista della Colombia: gli sfollati per i megaprogetti, le colture intensive e le miniere; gli afrodiscendenti, le donne, e gli indigeni, appunto. Al tavolo dei negoziati fra Farc, Eln, governo, che proseguono a L’Avana dal 19 novembre scorso, “tierra y territorio” sono gli snodi attorno a cui il dialogo si è impiantato, i punti focali dai quali i rappresentanti degli eserciti guerriglieri non sposteranno la contrattazione e che, dopo il Paro Campesino Nacional, il grande sciopero contadino che per quasi due mesi ha bloccato la Colombia, fa paura anche al Governo del presidente Manuel Santos .
Feliciano Valencia, referente del CRIC, il coordinamento indigeno del Cauca, rappresenta 11 popoli organizzato in 122 governi per un territorio di 570.000 ettari. Per la marcia ha indossato la collana che per gli indigeni Nasa, uno dei popoli indigeni più importanti Colombia, significa resistenza e lotta. Un puma circondato dai colori dei quattro “spazi” Nasa: la Madre Luna, il Padre Fuoco, la dea del Vento e per quarta ma più importante, la Madre Terra.
La Minga Indigena viene annunciata come impressionante: “200 popoli indigeni per almeno 200.000 persone. Questa minga è la prosecuzione del paro agrario nacional iniziato lo scorso 19 agosto”. La lotta per la rivendicazione dei diritti delle popolazioni indigene ha ora un posto preciso nel panorama politico sempre più articolato in opposizione al governo.
“Siamo pronti all’occupazione delle terre che ci appartengono, Se la risposta repressiva sarà dura, abbiamo un piano B con altri punti di agglomerazione nel Paese. Perché noi non retrocederemo. Questa è una battaglia di tutti senza distinzione: recuperare terre e territori e le sue risorse è recuperare la dignità della vita, che in Colombia è negata.Vogliamo ricostruire un Paese, che deve essere più giusto e dove deve poter regnare la pace. L’imposizione della dittatura delle multinazionali straniere non è più accettabile. L’articolazione della nostra lotta con vertenze come quella del Quimbo è fondamentale per la portata simbolica, ma anche per la resistenza della gente”.
Feliciano parla di Buen Vivir come dottrina politica percorribile, di connessione con le popolazioni indigene di tutto il continente e più in generale, “con tutti coloro che sono disposti a condividere questa lotta: contadini, donne, afrodiscendenti: camminare insieme per salvare difendere la Madre Terra. La crisi politica, economica, ambientale, che stiamo vivendo è l’immagine fedele di come questo sistema sta fallendo. Dobbiamo mettere in discussione l’antropocentrismo e pensare ai diritti della Natura. Gli esseri viventi sono tutti interconnessi. In alternativa, siamo condannati all’autodistruzione”.
Solo per la zona della costruzione della diga del Quimbo, che prevede di inondare più di 8000 metri quadrati di territorio e lo sfollamento di migliaia di famiglie, la resistenza prevista dal CRIC è di almeno 8 giorni. Un’enormità, vista la risposta durissima che Santos, attraverso i battaglioni dell’Esmad, aveva inflitto ai contadini in sciopero generale: 12 morti, 4 dispersi, oltre 400 feriti. Il Governatore della regione del Huila ha promesso che in caso di occupazioni resistenti “pioverà piombo”. Passando per la strada che ci porta verso La Plata, si vedono carri armati e un dispiegamento militare che non fa presagire nulla di buono.