articolo e foto di Alice Bellini
Lì per lì rimani perplesso e non sai bene come definirla. Perché Creta a essere bella è bella, ma non è comunque il termine giusto. All’inizio risulta solo enigmatica, proprio come il suo leggendario labirinto, che per chi non l’ha costruito e vissuto rimane quasi impossibile da capire. Ma poi ci entri, esplori le vie, trovi il tracciato, segui il filo che un istinto quasi ancestrale ti ha fornito. E allora tutto diventa perfettamente logico.
Creta è immune. Creta è una coesistenza continua. Creta è un gatto felice.
Creta ha trovato la strada, come Tesèo. In mezzo al mare, influenzata da tutto, ma al contempo distante e solida. Perché a Creta, anche se ci arriva tutto il Mondo, sembra che il Mondo non ci sia mai arrivato.
E non è povertà, né abbandono, né trascuratezza. È coesistenza.
I cretesi sanno convivere senza soccombere, né opprimere, prendendosi le loro libertà, ma con rispetto, al contempo padroni e ospiti di un’isola che sa farsi rispettare, senza risultare austera. Vivi e lascia vivere.
Figlia fedele della sua tradizione, Creta è sempre stata e continua ad essere un’isola bella e feconda, come la descrive Omero nell’Odissea, casa di una delle prime e più giuste civiltà del Mediterraneo, quella Minoica, descritta da simboli puri ed equi.
La via di Creta è un percorso interno, che ha viaggiato paziente sotto il sole dei secoli. Che ha attraversato scontri, guerre e culture senza mai farsi trascinare via. Che con impegno e testardaggine è riuscita a sopportare tutto, senza cadere vittima di un labirinto fatto di sviluppo distruttivo, consumo compulsivo e della promessa di un mondo migliore, tra laghi di petrolio e connessioni isolanti. Ha retto fiera e ostinata contro la spersonalizzazione da cartolina e il lustro del finto benessere fatto di riviste patinate e navi da crociera.
Le piccole città sembrano invase da tante influenze, senza che nessuna in particolare spicchi sulle altre. Il profilo di Chania lascia indisturbate, a pochi metri di distanza l’una dall’altra, la vetta di un minareto, quella di una chiesa cristiana e quella di una ortodossa. I vicoletti ricordano Istanbul e Barcellona, passando per Venezia, ma senza mai effettivamente dare adito a un paragone plausibile. Sono ricordi lontani, di momenti di passaggio destinati a lasciare solo una scia.
Gli sguardi dei cretesi sono duri e profondi, scrutano senza vergogna, ma i sorrisi sono grandi e pronti e l’ospitalità sembra scorrere nelle vene anche del vecchio più burbero. E il greco, culla di tutte le lingue, anche lui riverbera di ricordi arabi e spagnoli, senza però accostarcisi mai in maniera decisa e lampante. Sono solo suggerimenti che vengono da qualche scambio trascorso, senza però essere rimasti ancorati a nulla che non sia un più concreto presente.
E poi c’è la natura, che sovrasta ogni cosa con il suo mare calmo e trasparente, gli ulivi che si arrampicano secolari sui profili di montagne che fronteggiano alte un orizzonte a perdita d’occhio. Più capre che macchine. E strade sterrate che così devono rimanere.
Ma c’è una cosa che, più di ogni altra, è emblematica di questa Creta, del suo spirito di coesistenza e al contempo indipendenza. I gatti.
I gatti di Creta, secchi e puntuti, vagamente egiziani, popolano l’isola in ogni dove. Colorati dei colori più strani, invadono i ristoranti con naturalezza, dormendo sulle sedie dei commensali, radunandosi sotto i tavoli di chi mangia, chiedendo cibo a gran voce, saltando sui tavoli senza troppe remore. E nessuno li scaccia, nemmeno i proprietari, che però non si fanno neanche intenerire, in un perfetto equilibrio tra tolleranza e dignità. Per i turisti, la prima impressione è per tutti la stessa: pura perplessità. Perché non siamo più abituati a questi livelli di coesistenza, noi che dentro un ristorante non vogliamo veder volare neanche una mosca. Ma poi qualcosa d’istintivo scatta dentro e ci pare la cosa più naturale del mondo. Anzi, siamo felici che quei mici siano lì, a gironzolarci attorno senza troppi complimenti, senza essere scacciati o sgridati. Ma la loro indipendenza li rende rispettosi e poco invadenti, sfacciati, ma non capricciosi, un po’ impudenti, ma capaci di andarsene in ogni momento, felici di essere lì, senza però abusarne. Creta ha imparato a convivere anche con loro, che ormai inteneriscono solo i turisti, che ancora li considerano piccoli esseri indifesi e sprovveduti, come un qualsiasi essere di cui si ha la presunzione di essere padrone. I Cretesi, invece, li considerano al pari, perfettamente in grado di badare a loro stessi, come natura vuole.
Coesistere, dopotutto, significa principalmente dare a ciò che ci circonda la stessa importanza e la stessa dignità che diamo a noi stessi, che si parli di razza, religione, specie animale o regno naturale. Capire che nessuno è succube e nessuno è oppressore, ma che tutti devono impegnarsi a prendere secondo i propri bisogni e a dare secondo le proprie possibilità, felici di farlo, ma senza abusarne.