Il regista Mimmo Calopresti ha annunciato l’inizio delle riprese di un film dedicato al campione brasiliano Socrates, unico dentro e fuori dal campo
di Christian Elia
“Io non ci tengo ad essere un campione di calcio, ma un uomo democratico e un brasiliano democratico”. Firmato Socrates Brasileiro Sampaio De Souza Vieira De Oliveira, in arte Socrates, centrocampista dalla classe cristallina, ma soprattutto libero pensatore.
Durante le proteste in Brasile dell’ultima estate, gli studenti in piazza indossavano magliette con l’effige di Che Guevara e di Socrates. Perché? Proverà a raccontarlo il regista Mimmo Calopresti, che ha annunciato la realizzazione di un film dedicato al giocatore brasiliano, per raccontarlo fuori dal campo.
Perché Socrates, morto a soli 57 anni, per un’infezione intestinale collegata a una brutta cirrosi epatica, il 4 dicembre 2011, è stato molto più di un calciatore. Il Corinthians, il club per il quale ha giocato dal 1978 al 1984, in occasione della prima partita dopo la scomparsa del campione, durante il minuto di silenzio in suo onore, sorprese il mondo: i giocatori si schierarono al centro del campo, con il pugno chiuso levato al cielo.
Il pugno chiuso era il marchio di fabbrica del ‘tacco di Dio’, come lo chiamavano i suoi tifosi. Perché lui, detto anche il filosofo per ovvia omonimia, ma anche e soprattutto per i discorsi impegnati con cui coinvolgeva i compagni, è sempre stato un lottatore. Non in campo, perché al pallone lui giocava di fino, muovendosi alto e dinoccolato con piccoli tocchi alla palla, lunghi lanci precisi, tiri come rasoiate.
Socrates un lottatore lo era nella vita, nel suo Brasile umiliato e ferito dalla dittatura militare che dalla metà degli anni Sessanta uccideva, torturava e imprigionava i dissidenti. Lo fece con un’iniziativa epocale: la democrazia corintiana. Su sua iniziativa, nello spogliatoio della squadra, non comandava nessuno, o comandavano tutti. Ogni decisione veniva presa a maggioranza, nell’unica forma di autogestione conosciuta di un club di football.
LA PUNTATA DI ”I RIBELLI DEL CALCIO”, PRODOTTO DA AL-JAZEERA, CONDOTTO DA ERIC CANTONA, DEDICATA A SOCRATES
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Perché il dottore (laureato in medicina, nonostante gli impegni calcistici ai vertici mondiali), figlio di immigrati mediorientali in fuga da una guerra, voleva dare un esempio. Quello della metafora di una società giusta, equa, dove tutti avevano uguale dignità. Dal magazziniere al grande campione, una testa un voto. Così si decideva la formazione da mandare in campo. In tanto si mandavano in bestia i militari della dittatura, che si ritrovavano un’icona popolare a dare lezioni di democrazia, che si definiva in prima serata tv “uomo di sinistra, anticapitalista”, mentre nelle strade i blindati arrestavano i dimostranti.
Socrates, si dice, ha lottato anche contro la corruzione nel mondo del calcio. Nel 1984 viene acquistato dalla Fiorentina. La sua classe cristallina, in Italia, pur disputando una buona stagione, non lascia il segno. Torna in Brasile dopo solo un anno. In molti, ancora oggi, sostengono che l’asso brasiliano non avesse accettato le pressioni dei compagni per vendersi le partite. Interi match in cui nessuno gli passava la palla.
Socrates ha lottato contro la povertà, anche dopo la dittatura, finita nel 1985. Faceva il medico, gratis, per tutti, nelle zone più povere della città. Ha lottato sempre, anche contro un rapporto controverso con la bottiglia. Perché nel suo sguardo, spesso, si intravedeva il dolore della gente che incontrava, aiutava, raccontava. Perché nella vita non si girava dall’altra parte, come era capace di fare in campo, lanciando di tacco un compagno percependone solo la presenza.
Dichiarò di “voler morire di domenica, il giorno che il Corinthians vince lo scudetto”. E’ accaduto davvero. Perché il dottore, il filosofo, il tacco di Dio, ha sempre avuto una visione di gioco immensa, perché era anche visione della vita, una visione che è sempre stata capace di andare oltre la linea di fondo.