[author] [author_image timthumb=’on’]https://fbcdn-sphotos-e-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn1/30586_117755678246365_6400426_n.jpg[/author_image] [author_info]Alfredo Somoza è presidente di Icei, direttore di dialoghi.info e collaboratore per Esteri, Radio popolare. www.alfredosomoza.com[/author_info] [/author]
28 ottobre 2013 – Secondo le cronache dell’epoca, la votazione del Senato statunitense tenutasi il 28 giugno 1902 fu pesantemente influenzata da un francobollo. All’ordine del giorno c’era la legge Spooner, che doveva decidere dove aprire il canale di collegamento tra gli oceani Atlantico e Pacifico.
Il luogo più adatto era il Nicaragua, sfruttando i laghi Managua e Granada (detto anche Lago Nicaragua). In questo Paese esisteva già un servizio misto tra navi e ferrovie che permetteva a merci e viaggiatori di spostarsi da un oceano all’altro. Ma all’inizio del ’900 la tecnologia, e soprattutto la volontà politica degli Stati Uniti, diventati potenza mondiale, consentivano la costruzione di un vero canale. Il Nicaragua era praticamente una colonia a stelle e strisce, e ciò rendeva ancora migliori le condizioni per realizzarlo.
Qui la storia si complica. A Washington, infatti, cominciò a circolare un francobollo emesso da Managua sul quale era riprodotto il porto di Momotombo con lo splendido omonimo vulcano, coronato da un pennacchio di fumo bianco. Porto Momotombo doveva essere il punto di partenza del canale. I lobbisti pro-Panama riuscirono a mettere in piedi a tempo di record un’operazione di propaganda ingannevole, accostando il vulcano immortalato nel francobollo con il Monte Pelée in Martinica, che nel 1902 aveva eruttato provocando 40.000 morti. I consensi per il canale del Nicaragua precipitarono a beneficio di Panama, e il resto è storia nota.
Nel terzo millennio, però, il Nicaragua avrà il suo canale. Il Parlamento di Managua ha infatti appena approvato il progetto di una società di Hong Kong, paravento della Cina, che investirà 40 miliardi di dollari USA per aprire una nuova via d’acqua tra Atlantico e Pacifico. In questo modo la Cina avrà un accesso strategico ai mercati centroamericani e dell’intera America Latina, uno dei principali sbocchi commerciali di Pechino.
Il canale “cinese” avrà anche il compito di scardinare definitivamente i rapporti un tempo privilegiati tra USA e America Latina, oggi già incrinati. Un’ipotesi di commercio navale alternativa a quella panamense consentirebbe di ridurre drasticamente il costo del trasporto di energia fossile e di cereali tra il Sudamerica e la Cina; e offrirà un’alternativa ad altri Paesi dell’area, come il Venezuela, non particolarmente entusiasti di pagare un salato pedaggio al Panama, il che equivale agli USA, ogniqualvolta una loro nave attraversa il canale di Panama.
Il canale del Nicaragua rappresenta una nuova puntata della sfida globale tra USA e Cina per la supremazia sull’economia di domani. Nel mondo multipolare cade così uno degli ultimi punti fermi: il monopolio statunitense sulla navigazione tra i due oceani, fondamentale per il controllo del cosiddetto “cortile di casa” centroamericano. Per la Cina si tratta di un’operazione che darà vantaggi concreti e anche simbolici: nemmeno l’Unione Sovietica aveva mai immaginato di avere un proprio canale. Insomma, grazie al suo potente commercio estero e alla sua “diplomazia degli affari”, la Cina sta riuscendo a spazzare via la geopolitica del ’900.