Miss Violence
di Alexandros Avranas, con Themis Panou, Eleni Roussinou, Reni Pittaki.
Uscita: 31 ottobre
di Irene Merli
Grecia, giorni nostri. In una casa borghese si fa festa per gli 11 anni di Angeliki: palloncini, la torta sul tavolo, vestiti bianchi. Ma mentre passano le note di una struggente canzone di Leonard Cohen (Dance me to the end of love), la ragazzina si lancia improvvisamente dal balcone di casa, un sorriso stampato sul volto. Ed è qui che si inizia a essere avvinghiati con il cuore e con e la pancia a questo film, tanto bello quanto duro.
Il suicidio di Angeliki sembra inspiegabile, sia alla polizia che ai servizi sociali. E stranamente la famiglia, che continua a ripetere che si è trattato di un incidente, ben presto riprende a vivere normalmente, come se non fosse accaduta una tragedia. nessuno ne parla, la stanza della ragazzina viene svuotata dopo pochi giorni dalla sua scomparsa.
“Noi non abbiamo niente da nascondere” dice agli assistenti sociali l’unico uomo di casa, il pater familias che controlla con regole ferree la vita di moglie, figlia e nipoti.
Ma nulla si rivelerà più falso dell’affermazione di questo grigio impiegato statale, che come troppi nel suo Paese ha perso il posto e si vede costretto ad accettare un lavoro precario con uno stipendio da fame. Perché, come in un puzzle, man mano che la narrazione avanza, lo spettatore scopre che in quella famiglia si nasconde molto, nel silenzio assoluto, dietro innumerevoli mandate di chiavi e in un leit motiv di porte chiuse.
La loro è una normalità apparente, vissuta in mondo acromatico e claustofobico, che nasconde tutto il male possibile. il Padre dispone infatti dei corpi e delle anime dei suoi familiari con una violenza psicologica inimmaginabile e un orrore di cui si vede poco ma si intuisce tutto. Anche quando lui non è in una scena, se ne avverte la presenza gelida e soffocante. Dire di più non serve e rovinerebbe la visione.
Il regista dice di essersi ispirato a una storia vera, tre volte più dura, avvenuta in Germania. E a Venezia, dove Miss Violence ha vinto il Leone d’Argento per la regia e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, ha dichiarato di non voler mai lasciare fuori la società dal suo cinema e di attribuire un valore politico al film che tanto è piaciuto alla giuria di Bertolucci.
La sua non sarebbe quindi solo una storia di famiglia, ma una metafora della Grecia attuale, annichilita dalla crisi economica e valoriale. Una Grecia che a fatica finge una vita “normale” dopo la cura della trojka. In una scena alcuni personaggi (il padre, la figlia e un amico di lui) ballano sulle note de L’italiano di Toto Cotugno. Avranas ha spiegato così la sua scelta:” E’ stato un pezzo di grande successo da noi. Era però la canzone ballata dalle persone che in questo momento stanno distruggendo il nostro Paese” .
Parole pesanti come il piombo. Quanti servizi abbiamo visto sulle reali condizioni della Grecia, che negli ultimi anni si è impoverita del 40 per cento? Quanti articoli abbiamo letto sulla vera vita dei nostri vicini? Nella loro terra non c’è più pane, ma ci sono ancora rose. Prodotti culturali di alto valore, realizzati con i pochi mezzi restati a disposizione. Come questo film. Da vedere, anche se sarà un pugno nello stomaco per molti. E da capire, oltre le emozioni.