L’Albania, per ben quarantasei anni di comunismo si è identificata con un unico nome Enver Hoxha. Il leader comunista ha lasciato ben 7mila pagine di ricordi dove lui racconta la sua versione dei fatti. Non quello che è stato, ma quello che avrebbe voluto che fosse
[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/11/Schermata-2013-11-07-alle-21.13.10.png[/author_image] [author_info]di Alda Kushi. Nata a Durazzo nel 1986 ha iniziato il suo percorso universitario a Tirana, presso l’ Università italiana “Nostra Signora Del Buon Consiglio”, dove ha conseguito la Laurea in Scienze Politiche. L’amore per lo studio e per la lingua italiana l’ hanno portata in Italia, presso l’ Università di Bari, a intraprendere ulteriori studi. Anche a Bari, con il massimo dei voti, ha conseguito la Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali. Ha ottimizzato al massimo questi anni conseguendo il Master in Euro-Mediterranean Master in Cultures and Tourism presso la Facoltà di Lingue e EMUNI- University e il Master in Etica della Pace, Diritto ed Educazione alla Cittadinanza e al Dialogo Interculturale. Durante il suo percorso di studi in Italia non è mai mancata la dedizione verso il suo paese, l’Albania. Dal 2006 fa parte delle strutture del Partito Socialista e attualmente è Leader dell’ Organizzazione delle Donne Socialiste di Durazzo. La sua più grande aspirazione è quella di insegnare nelle aule universitarie con l’auspicio che i suoi studenti vedano in lei quello che lei ha visto in chi le ha dato tanto in questi anni di studio.[/author_info] [/author]
tratto dalla rivista Iconocrazia
I popoli fanno la storia. Questo vecchio detto, tirato fuori dai libri di storia, sollecita una mia grande curiosità di ricerche e studi. Che cosa si intende realmente perpopoli, quando ciò che la storia ci tramanda è un insieme di nomi di individui e immagini di quest’ultimi che vengono raffigurati negli stessi libri di storia? Che cosa sappiamo del popolo macedone oltre alle conquiste e alla maestosità di Alessandro il Grande? I popoli sono quelli che hanno segnato di sangue le loro terre, ma la storia l’hanno fatta altri: Giulio Cesare, Napoleone, Hitler, Stalin …
Sono queste figure che hanno segnato la storia di questi grandi paesi. Libri, studi, ritratti infiniti dedicati a loro hanno creato intorno a queste figure un vero e proprio culto dell’individuo. Processo che nasce con l’ideologia totalitaria ma viene conservato e tramandato fino ai giorni nostri un po’ attraverso la storia un po’ per necessità del popolo di avere un’immagine di riferimento.
Anche la storia del mio piccolo paese affacciato sull’Adriatico, l’Albania, per ben quarantasei anni di comunismo si è identificata con un unico nome: Enver Hoxha.
Il leader comunista ha lasciato ben 7000 pagine di ricordi dove lui racconta la sua versione dei fatti. Non quello che è stato, ma quello che avrebbe voluto che fosse. Il ritratto che ha scolpito in queste pagine non era di certo quello che lui stesso vedeva allo specchio, ma quello che voleva gli altri vedessero. Ha imposto alla storia un’unica versione, la sua.
Chi sa se conosceva il detto “nessuno è cosi ricco da comprare il suo passato”? Ma la ricchezza non gli serviva, lui aveva il potere. La ricchezza non ha un valore, il potere è tutto. Gli permette di ricordare i suoi anni di “gloria” come lui avrebbe voluto, giustificando la violenza, le uccisioni, cancellando i suoi punti deboli e presentandosi come il “saggio padre” di una giovane nazione che lui stesso indirizza nella crescita. Nella sua versione della storia ha trasformato gli eventi, ha cancellato personaggi di grande personalità e ruolo nella vita politica albanese e ha costruito una storia con un unico protagonista, lui stesso, creando intorno a sè un vero e proprio culto dell’individuo.
Salito al potere senza una forma di legittimazione, lui ha cercato di conquistare il popolo creando intorno a se un’ immagine idealizzata. Come Max Weber ha detto, se la legittimazione del potere non è dovuta ad un processo ereditario o a procedure legali, allora bisogna ricorrere al terzo strumento, l’elemento carismatico. Conquistare la massa. E questo è diventato l’obbiettivo principale del leader comunista. Un obbiettivo che si impegnò a realizzare già dai primi anni di potere , ma che raggiunse l’apice solo negli anni settanta. Anni che paradossalmente coincidono anche con il suo ritiro fisico dalla scena pubblica. Le poche trasmissioni che abbiamo di Hoxha in quegli anni sono quelle girate nelle riunioni di partito e nei quali si capisce abbastanza bene che Hoxha soffriva di vuoti di memoria o addirittura delirio totale per alcuni minuti.
Molti ritengono che sia questa la causa principale del suo ritiro dalla vita pubblica, il timore che sia lui stesso a minare la propria personalità. Proprio in questo periodo, la sua immagine idealizzata svolge al meglio la sua funzione. Nelle immagini gli anni non avevano segnato il suo viso, lui era sempre sorridente, potente, affascinante. Era stato il salvatore del popolo, il padre di questa giovane nazione, ma le sue spalle non ne avevano risentito, lui era sempre giovane, forte, orgoglioso, immortale come la nazione stessa. Enver Hoxha e l’Albania erano ormai diventati la stessa cosa. Se oggi nelle case si usa tenere una mappa dell’Albania un po’ per necessità un po’ per un sentimento di nazionalismo, in quegli anni si usava tenere al muro il ritratto di colui che aveva dato vita a questa nazione. Le foto avevano come sfondo grandi fabbriche industriali, colline tramutate in terra coltivabile e in primo piano c’era colui che aveva reso possibile tutto questo.
Tutti i successi di queste opere venivano attribuiti solo ed unicamente a lui. Il suo lungimirante obbiettivo aveva raggiunto il livello massimo, ma è riuscito Hoxha a provare un senso di soddisfazione? Su questo possiamo fare solo delle supposizioni personali perché dato il suo ritiro non è molto chiaro il grado della sua malattia mentale e invece della soddisfazione è molto più probabile che sia stato immerso nei dubbi e nelle paranoie del potere. Comunque sia, quell’obbiettivo rimane sempre uno degli elementi chiave del suo potere al quale aveva messo a disposizione già dai primi anni un’intera industria mediatica e cinematografica. Ogni immagine trasmessa veniva vista e rivista molte volte da persone esperte compreso Hoxha stesso, al fine di creare un’immagine perfetta. Lui era sempre ben sistemato, pettinato, sorridente e sicuro di sé. Le immagini trasmettevano un senso di euforia, di entusiasmo, erano piene di speranza e ottimismo.
Ma le immagini non autorizzate, scoperte e rese pubbliche dopo gli anni ‘90, presentavano tutt’altra persona. Qualcuno che lo ha conosciuto racconta così la sua esperienza:
“… Però, quando lo incontravo avevo timore di quell’uomo. Quando mi guardava avevo paura dei suoi occhi, del suo sguardo. Temevo che lui scandagliasse la mia mente e leggesse i miei pensieri. Cercavo in tutti i modi di reprimerli, di cambiarli, ma per quanto mi sforzavo lui li avrebbe letti lo stesso.” (1)
Tutt’altra cosa trasmettono le foto di Hoxha che lo ritraggono quasi sempre circondato da persone di età e ruoli diversi. Il messaggio lanciato è chiaro: lui è accettato e benvoluto da parte di tutti. Gli sguardi rivolti verso di lui tendono a trasmettere che tutti pendono dalle sue labbra e vedono in lui la speranza e il futuro. Anche il più anziano esprime una forma di rispetto e adorazione nei suoi confronti.
Hoxha nelle sue apparizioni pubbliche o nelle foto non si è mai presentato come un uomo potente che domina attraverso la violenza e il terrore. Il suo sorriso dava l’idea di un uomo pacifista e saggio. Molte foto lo ritraggono come una persona umile e semplice insieme a dei contadini e lavoratori ai quale stringe amichevolmente la mano. Dietro queste immagini c’è anche il fine nascosto di far vedere le grandi fabbriche costruite e i vasti terreni coltivati per trasmettere il benessere della nazione.
Situazioni che molto spesso ci riportano alla figura di Stalin. Analizzando le foto dei due leader comunisti possiamo notare molte similitudini. Di certo il culto che Stalin creò intorno a se stesso è stato un grande successo, a differenza di altri leader comunisti come Ceausescu che è finito per ridicolizzare la sua propria figura. Hoxha, diventato lui stesso vittima del culto dell’individuo di Stalin e provando per lui una grande ammirazione, decise di seguire questo modello di successo per creare il culto della propria personalità. Ma nonostante questo, Hoxha creò, man mano che si andava avanti, un modello tutto suo distaccandosi per certi versi da quello di Stalin e adattandosi sempre di più al contesto albanese. Entrambi si presentavano nelle foto con altri membri dell’elite politica, ma la differenza stava nella posizione gerarchica dei leader. Stalin stava sempre attento e rendere ben chiara la gerarchia interna del partito, come si nota in questa immagine nelle scale del Cremlino, nella quale in una maniera figurativa si rappresenta in modo alquanto chiaro la piramide gerarchica del potere.
Ancora più attento al primato del leader è Ceausescu. Quest’ ultimo per timore di dare troppa popolarità ai membri dell’elite politica non ha mai permesso la pubblicazione di foto insieme ad alcuno di loro. L’unica persona che si presenta al suo fianco è la moglie Elena, intorno alla quale si è creato un parallelo culto dell’individuo. L’apparato politico invece viene sfumato del tutto e oltre a Ceausescu, gli altri vivevano e operavano nell’ombra e nell’anonimato.
Le foto di Hoxha invece, insieme all’elite politica, distano molto dalla strategia dei due leader precedenti. Nelle sue immagini la gerarchia del potere non è sempre chiara. La sua posizione di leader non è sempre trasmessa attraverso le foto. Lui sembra più un “primus inter pares” in un governo collettivo. Come dimostra anche questa foto. Nonostante la sua posizione centrale nella foto lui sembra uno dei tanti.
La classe politica 1974. Entro sette anni quattro di loro sono stati fucilati e uno suicidato
Hoxha non si è posto il problema della rivalità. Lui poteva permettersi di presentarsi in pubblico con chiunque lui volesse, nessuno presentava un vero rischio per la sua personalità e se capitava che qualcuno riscuoteva popolarità e minava la sua figura si rincorreva ai mezzi tradizionali, violenza o addirittura eliminazione fisica.
In questa foto, oltre Hoxha, una posizione cruciale è quella di Shehu (Il numero due del partito dopo Hoxha). Lui si posiziona nel lato destro di Hoxha e quest’ultimo per distinguerlo dal gruppo lo tiene a braccetto. Questa foto oltre ad illustrare la sua strategia di “primus inter pares” illustra al meglio anche la politica interna di Hoxha tenendo conto che colui che sta al suo lato destro pochi anni dopo, quando ormai aveva raggiunto l’apice delle sue funzioni si “suicida”. Spesso, dov’era possibile, le foto venivano modificate e molte persone venivano tolte o sostituite da altri, com’è il caso di M. Shehu e di altri membri del partito in quest’alta foto.
Anche nelle foto individuali lo stile di Hoxha era diverso da quello dei due leader sopranominati. Lui si presenta come uno del popolo, si siede con la gente comune, parla, spesso vediamo non solo strette di mano ma addirittura degli abbracci amichevoli. Le foto è come se volessero dire: Lui è uno di noi!
Cosa che sarebbe alquanto strana per il dittatore rumeno il quale tendeva a presentarsi sempre come un grande e potente uomo di stato al quale è impensabile avvicinarsi amichevolmente come al compagno Hoxha.
Però bisogna dire che nonostante la differenza di strategie o modelli utilizzati per la creazione del culto della personalità lo scopo è sempre uno: inscenare un quadro con una personalità e un contesto maestoso e pensare a questi due elementi come strettamente legati. Nessuno dei due può essere pensato in una maniera distaccata dall’altro. Il salvatore del popolo, come Hoxha si presentò all’inizio, diventò ben presto il padre di questa giovane nazione, ruolo anche questo che lasciò alle spalle per qualcosa di più grande, l’identificazione con la nazione stessa. Le sue immagini coprivano le pareti di ogni istituzione pubblica, scuole, ospedali, bar e anche nelle case si vedeva il saluto sorridente di Hoxha. Oramai lui si trovava ovunque. Nei libri scolastici diventò obbligatorio lo studio delle sue opere. Alla radio i suoi discorsi erano l’unica musica che i cittadini potevano ascoltare.
In uno dei documenti del partito il nome “Enver” viene ripetuto 47 volte. A lui vengono attribuiti tutti i successi della guerra contro gli occupatori e i successi del partito comunista (2).
Ecco come si esprime un noto membro del Partito Comunista Albanese (PKSH), Nako Spiru, riguardo allo stile che il partito stava seguendo per la popolarizzazione della figura del leader idealizzando tutte le sue opere e oscurando l’importante ruolo di molti altri soggetti politici.
“… oggi anche in un menu troveremo di certo il nome di Enver (3)”
Nonostante l’uso eccessivo della sua immagine e del suo nome, Hoxha è riuscito a conservare il suo culto e a non ridicolizzare la sua personalità come è il caso di Ceausescu. Probabilmente l’elemento che ha fatto la differenza è l’apparizione fisica del leader. La sua apparizione frequente nei media o in pubblico può minare l’immagine idealizzata che si è creata di lui. Sembra paradossale ma il culto dell’individuo funziona meglio senza l’individuo stesso. La gente deve vedere solo quello che lui vuol far vedere attraverso le immagini che innalzano la sua figura: Stalin si presentava raramente in pubblico, lui evitava le telecamere e le macchine fotografiche. Ha viaggiato raramente e in molti posti dell’URSS non è mai stato, ma la sua immagine era ovunque ed era quella che aveva plasmato il pubblico. Anche Hoxha, specialmente verso la fine degli anni settanta ha iniziato a ridurre di molto le sue apparizioni e ha lasciato il ruolo principale alla sua immagine ben inscenata.
Ceausescu invece scelse una strategia diversa: lui si presentava al pubblico come una persona fisica, era sempre presente nei media per presentare in modo dettagliato tutte le sue attività, le visite nei vari cantieri di lavoro e nelle fabbriche. Ha fatto scoprire se stesso rendendo sempre più evidente la differenza tra lo sfondo magico creato intorno a lui e l’immagine reale di quello che era. Per questo Il culto innescato da lui, ben presto si tramutò nel suo contrario, tanto che il popolo rumeno ridicolizzò la sua figura dicendo che questa è la ragione per cui in Romania non esisteva ancora la rivista “Playboy”: perché avrebbe avuto una copertina alquanto sgradevole. Le strategie di Hoxha al contrario basate sul modello staliniano vengono considerate strategie di successo tenendo conto che il suo culto è stato uno tra quelli che è sopravissuto più a lungo e che ha lasciato segni profondi nella storia, nonostante il suo modello di riferimento fosse stato condannato da tempo.
Quando il culto di Stalin venne attaccato Hoxha si trovò di fronte ad un grande dilemma: proteggere il suo modello di riferimento fino alla fine o unirsi alle aspre critiche di Kruscev per conservare il rapporto ravvicinato con il grande mondo comunista? Condannare il culto dell’individuo di Stalin avrebbe significato condannare anche se stesso, ma d’altro canto non farlo sarebbe stato altrettanto rischioso perché avrebbe significato rendere pubblico il divorzio ideologico con il più grande stato comunista e non solo, lo stesso protettore del regime albanese nell’arena internazionale. La scelta era difficile, ma in attesa di una decisone finale iniziarono le accuse contro il culto di Stalin.
In queste tre foto, tre fasi dell’immagine pubblica di Enver Hoxha: 1. Anni ’40 Stile Tito 2. Anni ‘50 Stile Kruscev 3. Anni ’70 Stile Mao
Per essere coerente con le politiche del Cremlino viene inscenata una “lotta” contro il culto dell’individuo anche in Albania, con la differenza però che culto dell’individuo venne considerato non quello reale del leader del partito ma quello innescato dai dirigenti degli ufficio pubblici per sfruttare a loro vantaggio il ceto medio basso.
Sul culto dell’individuo del leader non si è mai parlato. Quello era un processo che partiva dal basso, dal popolo, era una semplice forma di adorazione e dimostrazione spontanea di affetto da parte di questi nei suoi confronti e lui non poteva fare altro che rispettare la volontà del suo popolo.
Quando attenersi alle politiche del Cremlino iniziò a significare ristabilire i rapporti con Tito, Hoxha voltò pagina, tornando al vecchio stile staliniano.
La storia dei suoi quarantuno anni di potere ha conosciuto vari rapporti di odio e amore con altri leader del blocco comunista. Sentimenti che venivano raffigurati anche nella sua immagine pubblica. Il suo modo di vestirsi cambiava a seconda dele alleanze politiche e non si sa se fosse un modo per imitarli, per avere un rapporto più stretto con i propri alleati o non piuttosto un fatto interno: avvicinare il popolo agli alleati, far loro conoscere un nuovo mondo, un nuovo stile di vita, per accettarlo ed ammirarlo come faceva lui. Questo rimane un mistero da scoprire forse in un altro studio, quello che è sicuroè il diverso stile iconografico di Hoxha in base ai suoi “amori” temporanei.
(1) Bashkim Shehu, Interviste “Opinion”, Tv Klan, maggio 2004
(2) Blendi Fevziu “Enver Hoxha”, UET Press, Tirane 2011
(3) Nako Spiru, Discorso nel plenium di Berat, novembre 1944, AQSH