[author] [author_image timthumb=’on’]http://www.buongiornoafrica.it/wp-content/uploads/2012/06/raffa01.jpg[/author_image] [author_info]di Raffaele Masto. Faccio il giornalista e lavoro nella redazione esteri di Radio Popolare. Nei miei oltre venti anni di carriera ho fatto essenzialmente l’inviato. In Medio Oriente, in America Latina ma soprattutto in Africa, continente nel quale viaggio in continuazione e sul quale ho scritto diversi libri dei quali riferisco in altri spazi del blog www.buongiornoafrica.it. Insomma, l’Africa e gli africani, in questi venti anni, mi hanno dato da vivere: mi sono pagato un mutuo, le vacanze e tutto ciò che serve per una vita di tutto rispetto in un paese come l’Italia.[/author_info] [/author]
13 novembre 2013 – Dopo tanta attesa e tante speranze, alla fine, è stata rinviata a data da destinarsi l’attesa firma di un accordo di pace tra il governo congolese e la ribellione del Movimento del 23 marzo (M23). Lo hanno riferito fonti di stampa a Kampala, in Uganda, dove l’accordo doveva essere firmato.
Non sono chiari i motivi. Si sa solo che la delegazione congolese si è lamentata di avere ricevuto il testo dell’intesa in ritardo, di essersi vista ridotta la delegazione alle trattive e di un’altra serie di problemi che, di fatto, sembrano nascondere il fatto che non si è trovato un accordo sulla smobilitazione vera dei 1700 combattenti dell’M23 che si sono rifugiati in Uganda e delle altre centinaia che sono ancora in Ruanda.
Uganda e Ruanda sono accusate, con buone ragioni, di essere state sostenitrici del Movimento M23 e di tutti i movimenti che hanno combattuto nel Kivu congolese contro l’esercito di Kinshasa.
Sembra di capire che la delegazione dio Joseph Kabila tema che i miliziani dell’M23 possano divenire la forza combattente di altri movimenti, sempre sostenuti dai due vicini invadenti, che possono nascere in questa turbolenta e ricchissima regione.
Se è così Kinshasa ha buone ragioni per essere preoccupata. La storia recente lo dimostra: qualche hanno fa c’era l’esercito di Laurent Nkunda, poi questo è stato sostituito da quello di Bosco Ntaganda. Adesso c’è l’M23 del capo politico Bertrand Bisimwa e di quello militare Sultani Makenga. E, soprattutto, ci sono quasi duemila miliziani pronti a schierarsi e combattere con una nuova formazione.
A parte i motivi contingenti che hanno fatto saltare la firma dell’accordo non si può fare a meno di constatare che nel Kivu continuano a persistere tutti i motivi di instabilità che ne fanno una delle regioni più tubolente d’Africa. I motivi sono i soliti , cioè un mancato equilibrio raggiunto tra le potenze locali sull’uso del territorio. Ruanda e Uganda, potenti militarmente e politicamente, non hanno ricchezze e Kigali nemmeno terra.
In Congo invece, appena oltre la frontiera, ci sono minerali minerali preziosi e terra a volontà. In secondo luogo le immense ricchezze minerarie sono contese a livello internazionali tra multinazionali e imprese della vecchia Europa, dell’Occidente e, naturalmente, anche dalle potenze emergenti come la Cina che con Joseph Kabila sta praticamente ricostruendo la città di Kinshasa.
Insomma la mancata firma di Kampala rivela che tra tutti gli attori che giocano la loro partita nel Kivu non è stato trovato un equilibrio tale da consentire un’intesa.
La popolazione del Kivu deve attendere ancora. Non avranno la pace, almeno per il momento, e non avranno nemmeno le ricchezze del sottosuolo. E nemmeno la fertile terra delle colline congolesi che non potrà essere contivata per i continui combattimenti e per l’impazzare di movimenti guerriglieri al soldo di questo o quel signore della guerra.