[note color=”000000″] Io arrampico. E trovo che lʼarrampicata sia una stupenda metafora di vita. Ma la vita, lʼaltra montagna, è piena di metafore. Perché ogni gesto, anche il più piccolo, è solo una parabola di qualcosa di molto, molto più universale. [/note]
di Alice Bellini
Allora, fatemi capire una cosa, perché forse (spero) non ho capito bene. Dunque, spiegatemi, siccome viene da una famiglia di poveri immigrati (italiani, per altro, noi che adesso non riusciamo neanche a tendere più una mano), ha una moglie afro-americana che fa la poetessa e due figli adolescenti, anche loro neri, allora il nuovo sindaco di New York è automaticamente un bravo governatore? Uno per la parità? Uno che sicuramente alla gente vuole bene e che combatte per i diritti dei più deboli? Davvero?
Speravo che il presidente premio nobel per la pace Barak Obama, quello che si commuove per la morte dei bambini che lui stesso ha ammazzato, o che si vergogna per lo spionaggio che lui stesso ha autorizzato, o che non s’indigna quando l’assassino di Trayvon Martin viene assolto da tutte le accuse, ecco, speravo che avesse reso abbastanza chiaro a tutti che non è il colore della pelle a fare un bravo presidente, come un bravo nulla. Ma evidentemente questo vizio della tolleranza superficiale è dura a morire.
Forse ho capito male io, ma credevo che la tolleranza si realizzasse davvero quando le differenze erano presenti, ma non erano soggette a nessun tipo di trattamento speciale, nel bene o nel male.
Provo a spiegarmi meglio: fare vanto delle proprie origini povere, affamate e discriminate, o della propria moglie nera, o dei propri figli neri e in età delicata non è tolleranza, o apertura mentale. Martin Luther King, o Malcom X, o Nelson Mandela, o Ghandi non hanno mai fatto vanto del colore della pelle delle proprie mogli o dei loro figli. Perché quella è bieca strumentalizzazione. Ma quando una cosa si strumentalizza, vuol dire che sotto c’è qualcosa si falso e forzato, qualcosa di perfettamente architettato, che serve a un fine ben preciso, spesso spietato. Le cose giuste non hanno bisogno di essere strumentalizzate.
Il punto è che se De Blasio avesse avuto la moglie caucasica, i figli adulti e delle discendenza nobili, non sarebbe cambiato assolutamente nulla rispetto a quelle che sono le sue effettive capacità governative e la sua apertura mentale.
Non sono il colore della pelle, la preferenza sessuale, la credenza religiosa o le discendenze familiari a determinare i valori interni di un essere umano. Ed è assolutamente superficiale pensare il contrario.
Se io fossi la figlia di De Blasio, o la moglie, m’incazzerei come una iena per l’uso da animale da vetrina che è stato fatto e continua ad essere fatto di me. Perché la strumentalizzazione priva di qualunque tipo di dignità umana, come se la persona strumentalizzato fosse un oggetto e, in quanto tale, incapace di intendere e volere, perché creato solamente con l’unico scopo di essere asservito al volere e ai bisogni altrui.
E non sto parlando di De Blasio di per sé, anche se mi pare che tutto questa spettacolarizzazione non gli abbia mai dato poi troppo fastidio. Non metto in dubbio la sua tolleranza, o l’amore per la sua famiglia. Ma del ritratto che la stampa, ferocemente, continua a farne. È stato eletto il presidente con la moglie nera – e tanto basta dire, generando un’immagine di tolleranza completamente falsata, ma perfetta per le necessità dei nostri tempi. Superficiale al punto giusto.
Se da una parte non metto in dubbio che siano comunque grandi passi avanti nella storia della tolleranza umana, metto in dubbio il modo in cui questi passi avanti vengono fatti, nel rischio, sempre più alto, di passare dall’intolleranza al finto buonismo, scordandosi di quello che la tolleranza è realmente.